Stomachion

martedì 1 maggio 2012

Aspartame, 2012

C'è in giro una storia sull'aspartame che ha prodotto un paio di pareri contrastanti(1, 2). E poi ci sono così tanti studi che c'è veramente da perderci la testa. Però, solo nel 2012, sono uscite un po' di cosine interessanti. Ecco alcuni estratti dai relativi abstract (mi sono limitato alla prima pagina di Scholar: lo so, non è molto ma è comunque un inizio):
Diabetes and obesity is the main cause of various chronic diseases mainly cardiovascular. As part of eating plan, limit the amount of carbohydrates in each day diet and LCSs (like aspartame) are one easy tool to help for follow eating plan.(3)
These data suggest that lifetime exposure to aspartame, commencing in utero, may affect spatial cognition and glucose homeostasis in C57BL/6J mice, particularly in males.(4)
The results of this experiment indicate that long-term consumption of aspartame leads to an imbalance in the antioxidant/pro-oxidant status in the brain, mainly through the mechanism involving the glutathione-dependent system.(5)
Thus, the administration of aspartame alone or in the presence of mild systemic inflammatory response increases oxidative stress and inflammation in the brain, but not in the liver.(6)
A questi aggiungerei un parere del 1983 di RJ Wurtman, sostenitore dell'aspartame, che all'epoca sembrava aver trovato prove contro l'aspartame, da opporre contro l'idea :
My laboratory has undertaken pilot studies suggesting that such an increase in aspartame's use may cause neurochemical changes that could have functional or behavioral consequences, particularly in people with certain underlying diseases.(7)
Prima dei saluti, però, vorrei innanzitutto contestare il servizio di Report che ha scatenato la discussione: non è proprio ineccepibile. Da fisico e non esperto in materia, trovo strano (come l'ho trovato nel servizio sulle onde elettromagnetiche) che non si chiariscano concetti come rilevanza statistica e non li si rappresentino con dei grafici che sono certamente più semplici da spiegare ai profani.
Per contro Report fa il suo lavoro ogni qual volta propone punti di vista che non sono abbastanza diffusi: sta poi alla buona volontà dell'ascoltatore approfondire. E ad ogni modo Report rappresenta abbastanza spesso un modo di operare quanto meno sospetto da parte dei produttori interessati più a vendere che a salvaguardare la salute degli acquirenti(8).
Ad ogni modo, al di là del potere cancerogeno dell'aspartame o dell'ineccepibilità del servizio di Report, il vero nocciolo della questione è proprio quest'ultimo: quando entrano in gioco gli affari, la scienza è sempre secondaria e questo, mi spiace dirlo (per gli altri, of course!), in giro lo ha scritto solo Paolo(1).

P.S.: Emanuele Menietti cita tre lavori, di cui due referati, sulla non pericolosità dell'aspartame. In particolare uno di questi due è pubblicato dalla stessa rivista che ha pubblicato l'articolo della nota (5). Da questo immagino che questo secondo lavoro sia stato condotto almeno con gli stessi criteri del lavoro del 2007 citato da Emanuele.

(1) Paolo Gifh. L'aspartame della discordia
(2) Emanuele Menietti. L'aspartame visto da Report
(3) Mohammad Asif. Health effect of aspartame: A low calories sweetener. The Pharma Research, vol.6, n.2 (2012)
(4) Kate S. Collison et al. Gender Dimorphism in Aspartame-Induced Impairment of Spatial Cognition and Insulin Sensitivity, PlosOne. April 2012
(5) M. Abhilash et al. Long-term consumption of aspartame and brain antioxidant defense status, Drug and Chemical Toxicology. March 2012
(6) Omar M. E. Abdel-Salam, Neveen A. Salem, Jihan Seid Hussein. Effect of Aspartame on Oxidative Stress and Monoamine Neurotransmitter Levels in Lipopolysaccharide-Treated Mice. Neurotoxicity Research vol.21 n.3 (2012)
(7) RJ Wurtman. Neurochemical Changes Following High-Dose Aspartame with Dietary Carbohydrates. N Engl J Med 1983; 309.
(8) Gli effetti nocivi di una sostanza non colpiscono tutti e certo non allo stesso modo. Se in effetti ragioniamo in termini percentuali, per molte malattie potremmo concludere che non vale la pena cercare delle cure o spendere soldi per produrre medicinali. Per la scienza, invece, queste percentuali più o meno basse sono già un motivo più che sufficiente per cercare le cure e le cause, mentre per il mondo delle grandi multinazionali sono semplicemente delle piccole fette di mercato di cui si può tranquillamente fare a meno. La sensazione, però, è che in casi come questo le multinazionali non sono tanto interessate a coprire qualcosa di certo (anche se le percentuali segnalate da Paolo nel suo post - vedi nota (1) - lasciano pochi dubbi), ma piuttosto a non voler scoprire un effetto nocivo che potrebbe ostacolare le vendite, costringendo magari a dover anche finanziare delle nuove ricerche per la realizzazione di prodotti più salutari.

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