Stomachion

sabato 31 gennaio 2015

Magnum Chaos

Tra il 1533 e il 1534 (la data l'ho stabilita supponendo che il testo di riferimento, monco, sia scritto con criterio cronologico) Lorenzo Lotto consegnò al Consorzio della Misericordia Maggiore di Bergamo il cartone in chiaroscuro dell'opera chiamata Magnum Chaos e realizzata materialmente dall'ebanista Giovan Francesco Capoferri. La figura principale è quella di un sole dotato di braccia e gambe e con un occhio al centro. Il Magnum Chaos è un'immagine indubbiamente inquietante, ma al tempo stesso surreale, utilizzata da (o forse di ispirazione per) Grant Morrison in almeno due occasioni: per la creazione di Solaris, l'avversario della JLA in One Million, e per la creazione di Gentry, anche se in questo caso, come rilevo nel lungo articolo di approfondimento su Multiversity, sono da considerare anche alcune ispirazioni alchemiche, che hanno prodotto l'inquietante immagine presente nell'albo.
Gli aspetti surreali del Magnum Chaos di Lotto diventano però evidenti nel video di Rino Stefano Tagliaferro, una animazione nello stile del cinema di Georges Melies:

lunedì 26 gennaio 2015

la tartaruga che disegna sulla sabbia

I laboratori svizzeri del programma Disney Research, dopo la ricerca sugli occhi continuano a sfornare innovazioni. In questo caso ecco un piccolo robottino a forma di tartaruga in grado di disegnare sulla sabbia varie forme e in maniera completamente autonoma, partendo da alcuni modelli caricati nella sua memoria.

domenica 25 gennaio 2015

Il (non) carnevale della fisica #5

E siamo giunti, con l'ultima domenica di gennaio 2015, alla quinta edizione del (non) carnevale della fisica, appuntamento che, spero, sia atteso da sempre più lettori. L'introduzione di questa edizione è dedicata a Philipp Eduard Anton von Lenard, che ha vinto il quinto Nobel per la fisica, nel 1905, per il suo lavoro sui raggi catodici.
Nato il 7 giugno del 1862, iniziò a interessarsi dei raggi catodici nel 1888. I raggi catodici sono un fascio di elettroni prodotti all'interno di un tubo di vuoto. Vennero osservati per la prima volta nel 1869 da Johann Hittorf e successivamente chiamati come raggi catodici nel 1876 da Eugen Goldstein. I raggi venivano prodotti all'interno di tubi di vetro parzialmente evacuati con al loro interno elettrodi di metallo, dove veniva posto un alto voltaggio. C'erano alcune difficoltà nel loro studio, che dipendevano dal fatto che si trovavano all'interno di tubi di vetro sigillati, di difficile accesso, e anche a causa delle molecole di aria rimaste. Lenard riuscì a superare questi problemi costruì all'interno del tubo delle piccole finestre metalliche (che saranno chiamate "finestre di Lenard", spesse abbastanza da sopportare la differenza di pressione tra le varie sezioni del tubo, ma non tanto da impedire il passaggio degli elettroni. Grazie a questo sistema di finestre, Lenard fu in grado di "trasportare" i raggi catodici, per esempio all'interno di una camera completamente svuotata: fu così in grado di rilevare i raggi e misurare la loro intensità grazie a dei fogli di carta rivestiti da materiale fosforescente(1).
Le osservazioni di Lenard furono decisamente importanti, e si conclusero, di fatto, con la scoperta degli elettroni: innanzitutto l'intensità dei raggi risultò proporzionale alla densità del materiale attraversato, il che era in contraddizione con l'idea che questi raggi fossero una sorta di radiazione elettromagnetica; inoltre, attraversando piccoli spessori di aria alla densità usuale, essi venivano diffusi, dimostrando che dovevano essere costituiti da particelle più piccole delle molecole dell'aria. Confermò, quindi, il lavoro di Thomson, secondo cui i raggi catodici dovevano essere costituiti da particelle di carica negativa, proponendo vari nomi (primo fra tutti "quanti di elettricità") fino a quello attuale di elettroni(2). E' interessante osservare come fu proprio Lenard che, a partire dalle sue osservazioni e da altre coeve sugli atomi, concluse come, al loro interno, gli atomi fossero costituiti di ampi spazi vuoti.
Fu, poi, Lenard che, studiando il tubo di Crookes, scoprì l'effetto fotoelettrico, che venne successivamente spiegato da Albert Einstein, consentendo a quest'ultimo di ottenere il Nobel per la Fisica nel 1921 (o a essere precisi permettendo al comitato del Nobel di avere una motivazione inattaccabile per l'assegnazione del premio).
Macchia non così semplicemente perdonabile in una biografia scientifica di tale importanza è la sua adesione all'ideologia nazista, ma ciò, per fortuna, non ci impedisce di vedere i meriti dello scienziato (che sui demeriti come uomo non siamo sicuramente nella posizione di poter giudicare).
Chiusa questa introduzione storica, possiamo dare ufficialmente il via alla quinta edizione del (non) carnevale!

sabato 24 gennaio 2015

Soil #1: incrinare la perfezione

A partire da Lost in particolare (ma si potrebbe già citare Il prigioniero della BBC degli anni Sessanta del XX secolo, o la più recente Alias, sempre restando al pre-Lost) le serie televisive hanno iniziato a ragionare in maniera molto più "supereroistica", se così si può dire, ovvero proponendo episodi con una forte continuity interna, esaltata da una trama forte, come i sopravvissuti da un incidente aereo nel caso di Lost, o un agente segreto che cerca di fuggire da un intero paese nel caso dello storico serial britannico. In un certo senso Soil sembra essere a metà strada tra Lost e Il prigioniero, se pensiamo all'esistenza di una sorta di "controllore", senza dimenticare una spruzzata di Pleasantville o, soprattutto, di Twin Peaks, altra serie televisiva rivoluzionaria non solo per l'uso della continuity, ma soprattutto per le trovate, non solo visive, al limite del surreale.
Il manga di Atsushi Kaneko (che è un po' tutto questo) è ambientato nella cittadina di Soil New Town, un micromondo pulito e perfetto come l'omonima cittadina del film Pleasantville, descritto da una carrellata asettica e quasi inquietante all'inizio del Block 1.1. Se nel caso della pellicola statunitense il motore che rompe questo equilibrio è l'arrivo di due giovani dall'esterno, nel caso di Soil è l'improvvisa sparizione di un'intera famiglia (e di un poliziotto di pattuglia) a incrinare quella che, procedendo con la lettura, si rivelerà una semplice facciata dietro cui gli abitanti della moderna cittadina giapponese nascondono peccatucci e invidie di vicinato che non verranno a galla nemmeno durante le indagini dei due investigatori incaricati, l'antipatico e ottuso sergente Yokoi e la giovane investigatrice Onoda, vessata verbalmente dal superiore.

venerdì 23 gennaio 2015

Sanditon

Tra romanzi brevi e incompiuti con Sanditon ho finalmente concluso quella che considero la lettura preparatoria alle opere più corpose di Jane Austen (che però non so ancora quando inizierà...).
La brillante scrittrice inglese con questo incompiuto propone la tipica ambientazione della periferia britannica, in questo caso nell'omonima località balneare, dove Mr Parker prova ad avviare un'attività per rendere Sanditon una località turistica ambita. L'idea di fondo del frammento sembra abbastanza chiara: mettere alla berlina una certa borghesia e aristocrazia di campagna, che prova a guidare il cambiamento sociale e di costume avvenuto nelle grandi città per ottenere (o mantenere) la migliore posizione sociale. L'ironia di fondo, mai veramente spinta al massimo, la leggerezza della narrazione e una caratterizzazione dei personaggi abbastanza semplice e ironica fanno di Sanditon una lettura leggera e, insieme agli altri brevi della Austen, perfetta per accostarsi a questa interessante scrittrice.

giovedì 22 gennaio 2015

Il tetrabassotto

Il ritorno di Uncle Scrooge propone ai lettori d'oltreoceano una storia di Rodolfo Cimino e Romano Scarpa con una copertina di Giorgio Cavazzano: via alla news!

mercoledì 21 gennaio 2015

Telescopio a riflessione

Un telescopio a riflessione (detto anche riflettore) è un telescopio ottico che utilizza uno specchio singolo o una combinazione di più specchi curvi che riflettono e formano un'immagine. Il telescopio a riflessione è stato inventato nel XVII secolo come alternativa al telescopio a rifrazione che, all'epoca, era un progetto che soffriva di una grave aberrazione cromatica. Sebbene il telescopio a riflessione produca altri generi di aberrazioni ottiche, il suo progetto permette obiettivi di diametro molto grande (fino a 6 metri). Quasi tutti i maggiori telescopi utilizzati nella ricerca astronomica sono riflettori. I telescopi riflettori sono disponibili in diversi design e possono impiegare strumentazioni non ottiche per migliorare la qualità dell'immagine o porre l'immagine in una posizione meccanicamente vantaggiosa.
Nella foto il telescopio a riflessione di Giovan Battista Amici del 1811, modificato nel 1839, restaurato nel 1996 e ora presso l'Osservatorio Astronomico di Brera.
Anche questa foto partecipa a instascience15.

I naufraghi del tempo

L'Editoriale Cosmo recupera una nuova serie classica della fantascienza a fumetti francese, "Inaufraghi del tempo" di Jean-Claude Forest e Paul Gillon
Ci sono tutti gli elementi per rendere la saga fantascientifica di Jean-Claude Forest e Paul Gillon una parodia in stile Guida galattica. Il protagonista, Chris Cavallieri, è un uomo del XX secolo che ha dormito per mille anni fino a risvegliarsi in un futuro al tempo stesso alieno per tecnologia e familiare per intrighi. I suoi avversari sono i Trasse, un popolo di roditori spaziali(1), e un uomo dalle fattezze di un tapiro. Viaggia nello spazio a bordo di un'astronave che sembra un tostapane e attraversa un immenso lombrico che vive al confine tra due universi.
Se il soggetto sembra perfetto per uno dei romanzi della serie di Douglas Adams, la storia scritta da Forest è, invece veloce e avventurosa, e nelle storie raccolte nel secondo volume della ristampa dell'Editoriale Cosmo si nota un netto miglioramento nella gestione delle scene e della suspance narrativa, che appare meno forzata rispetto alle storie del primo volume.
Spettacolari e dettagliati i disegni di Gillon, sia nella descrizione dei personaggi, sia in quella degli ambienti, anche se il suo punto di forza sono le scene spaziali, che in quest'edizione in bianco e nero permettono di apprezzare al meglio il lavoro certosino del fumettista francese.
Se sul primo volume si restava perplessi sul valore dell'opera come classico della fantascienza, questa seconda uscita ripaga della fiducia accordata.
(1) Il fedele lettore della Giuida si ricorderà sicuramente dei topi, la razza più intelligente sulla Terra.

martedì 20 gennaio 2015

Telescopio a rifrazione

Un telescopio a rifrazione o telescopio rifrattore è un tipo di telescopio ottico che utilizza una lente come obiettivo per formare un'immagine. Il progetto del telescopio a rifrazione fu originariamente utilizzato per i telescopi da terra e quelli astronomici. Sebbene i grandi telescopi rifrattori erano molto popolari nella seconda metà del XIX secolo, per la maggior parte degli scopi di ricerca sono stati sostituiti dai telescopi a riflessione che permettono aperture più larghe. L'ingrandimento di un rifrattore è calcolato dividendo la lunghezza focale del tubo ottico per la lunghezza focale dell'oculare.
Modello in scala 1:4 del telescopio a rifrazione collocato nella Cupola Schiaparelli presso l'Osservatorio Astronomico di Brera. Foto pubblicata originariamente su instagram per il concorso instascience15 (se avete un account e la foto vi piace o se volete partecipare, non tiratevi indietro!)

Il trittico del tempo

Ogni tanto capita anche a me, trovare una lettura che non mi piace per nulla. Trittico del tempo di Michele Branchi, acquistato perché uscito presso un meritorio editore come Frilli, esperto in gialli e noir italiani, è, in ultima analisi, un verbale dei carabinieri che si è travestito da romanzo: non solo non riesce a dare al lettore la partecipazione necessaria, ma cade costantemente nei cliché del genere, che l'autore più o meno esplicitamente vuole rifuggire. E cosa, poi, c'entri il tempo e cosa sia il trittico del titolo, onestamente non lo so: ho lasciato la lettura più o meno a metà (forse prima), quando si è arrivati allo scontatissimo incontro intimo tra il cinquantenne protagonista e una trentenne che ha incontrato nel corso della vicenda.
Se già in questo Branchi non riesce a scrollarsi i cliché, non ho osato immaginare quali altri si sarebbero presentati nel corso di una lettura tutto sommato abbastanza pesante e noiosa. Mi dichiaro sconfitto...

lunedì 19 gennaio 2015

Torno indietro e uccido il nonno

Nonno! Dove va il tempo che passa?
Come ho scritto in Paradosso cosmico, il paradosso del nonno venne introdotto volta nel 1943 dallo scrittore francese René Barjavel ne Il viaggiatore imprudente: un nipote torna indietro nel tempo e uccide suo nonno prima che incontri sua nonna, rendendo quindi impossibile la sua nascita e di conseguenza anche il suo viaggio a ritroso nel tempo. Il racconto diventa lo spunto per lo spettacolo Torno indietro e uccido il nonno (trailer su vimeo) che è stato programmato (oggi l'ultimo giorno) per una settimana al Teatro Libero di Milano.
Sul palco c'è ancora Andrea Brunello, che aveva incantato le mie accompagnatrici, mia sorella e AlbertaIsotta, due statistiche, con Il principio dell'incertezza, dove Brunello si è confrontato con la meccanica quantistica, che presenta un grado di statistica abbastanza elevato (si potrebbe concludere, dall'esito familiare dello spettacolo, che anche gli statistici sono in grado di comprendere la meccanica quantistica!). Questa volta è accompagnato da Roberto Abbiati, il nipote, che brilla per una comicità fisica dirompente, ispirata a Buster Keaton e a Stan Laurel, mentre la maggior parte del parlato cade sulle spalle di Brunello, che comunque riesce a non sfigurare nel confronto fisico con il collega sul palco.
Sempre basato su un testo del Jet Propulsion Theatre, Torno indietro e uccido il nonno si concentra proprio sul concetto del tempo, in una impresa decisamente più difficile da raccontare rispetto al precedente spettacolo. D'altra parte, come ho scritto nella recensione di OraMai, il tempo non è di semplice definizione. Persino Albert Einstein lo definiva come
Quella cosa che si misura con l’orologio.
D'altra parte, come ricordano nello spettacolo, a differenza della luce, che vive solo nello spazio, noi viviamo nel tempo e, come tutto l'universo, subiamo gli effetti della freccia del tempo di Ilya Prigogine: l'evoluzione di un sistema viene, infatti, guidata dall'entropia. Ovvero un qualunque sistema termodinamico seguirà la strada che ne massimizza il valore (o, al meglio, che lo mantiene costante). In termini più semplici, un sistema tenderà al massimo disordine possibile.
Con questo concetto, risulta abbastanza difficile non immaginare, per esempio, come destino ultimo dell'universo, la sua così detta morte termica, senza alcuna possibilità di ritorno verso il punto di inizio, il big bang, a meno di un intervento dall'esterno, il che implicherebbe che l'universo sta evolvendo all'interno di un contenitore più grande. Ad ogni modo, dal punto di vista teatrale, la parte più interessante diventa proprio la spiegazione della freccia del tempo e dell'entropia, fatta con un esperimento sul palco: si getta in una boccia d'acqua un po' di colore rosso e si vede cosa succede (in effetti è chiaro ciò che succede, ma è utile per spiegare come funzionano l'entropia, i microstati e i macrostati). In effetti l'unico difetto, di difficile eliminazione visto il tema trattato, è il forte contenuto filosofico dello spettacolo, enfatizzato anche da alcune delle più note canzoni dei Radiohead.
In definitiva uno spettacolo interessante, meno efficace del precedente, ma che, giusto per non far uscire gli spettatori con il magone (emblematico il monologo in stile: se il destino dell'universo è la morte termica, allora tutto ciò che facciamo è vano), ecco poche frasi: c'è una speranza, per l'universo, grazie alla meccanica quantistica: è possibile che, in effetti, l'universo esista in un unico stato immutabile, un istante eterno non rilevabile da noi, piccoli, insignificanti abitatori, dotati di pensiero, certo, ma sempre piccoli e insignificanti.

L'uomo che vedeva gli atomi

Un meccanico "anarchico", Bud Gregory, è l'unico in grado di salvare la Terra dai disastri, più o meno naturali, che si stanno abbattendo sul pianeta.
L'unico scienziato in grado di comprendere tali pericoli e apprezzare l'abilità intuitiva di Gregory nel costruire oggetti in grado di sfruttare leggi della fisica appena intuite se non addirittura non scoperte è David Murfree.
I due, grazie a macchine che sembrano in grado di produrre una sorta di moto perpetuo microscopico, o comunque qualcosa che gli si avvicina, vivranno una serie di avventure senza respiro, via via sempre più complesse e pericolose, in cui solo gli stimoli di Murfree riusciranno a spingere Gregory ad agire in favore della Terra.
Al di là del genere, il bel romanzo di Murray Leinster sembra suggerire che, senza una guida razionale e scientifica, nessuna società, nemmeno una anarchica o libertaria, sarebbe in grado di sopravvivere.

domenica 18 gennaio 2015

L'isola dei segreti

Anne: Lo zero. E' un numero?
Jamie: Si e no. Puoi dire che lo è, perché lo usi come un numero all'interno di sistemi numerici. O almeno, lo usi nello stesso modo in cui usi i numeri. Per esempio, nel numero 507 lo zero si comporta come un numero. Significa che non ci sono decine nel numero, solo centinaia e unità. D'altro canto, dato che tutto il senso dello zero è che indica l'assenza di un numero, non può essere davvero uno di loro.
Ne La scacchiera di John Brunner, quando uno dei "pezzi" si rende conto di essere stato manipolato come un pezzo su una scacchiera, decide di ribellarsi al gioco, trasformandosi in una sorta di variabile impazzita. Più o meno è quello che succede in quasi tutti i romanzi distopici: c'è qualcuno che si rende conto della manipolazione che avviene dall'alto e decide di opporsi al sistema.
La destrutturazione televisiva di questa trama ha trasformato un soggetto dalla forte connotazione di critica sociale e socialista nel così detto filone dei reality show, la cui prima interpretazione è stata quella di chiudere un gruppo di persone a stretto contatto una con l'altra in una location limitante: ad esempio una casa o un'isola deserta.
E' quello che succede ai protagonisti di Bright Young Things di Scarlett Thomas, giunto in Italia con il titolo de L'isola dei segreti: Anne, Jamie, Thea, Bryn, Emily, Paul vengono selezionati con un annuncio per menti brillanti e spediti su un'isola deserta da un misterioso mecenate. I ragazzi scopriranno di essere stati selezionati come cavie di un non meglio specificato esperimento.
Posti di fronte al dilemma se provare a ricontattare il mondo esterno o restare su un'isola sostanzialmente autosufficiente, la risposta sarà forse scontata, ma non per questo meno appagante.
Scarlett Thomas, in questo caso, si concentra su una tematica molto da reality, in un percorso che trae ispirazione anche dal classico Il signore delle mosche di William Golding. In questo caso, però, i giovani naufraghi troveranno anche le motivazioni per collaborare tra loro, nonostante le divergenze di carattere, mentre la scrittrice potrà mostrare le sue abilità nella gestione di un gruppo variegato di personaggi.
Esistono, poi, almeno due ulteriori tematiche oltre al gioco letterario/sociale delle interazioni: innanzitutto una lettura politica, essendo ognuno dei protagonisti un qualche tipo di reietto, di alienato dalla società, una "mente brillante" che, staccandosi dal controllo statale, può costruire nella realtà una società utopistica autosufficiente; e infine una tematica religiosa, che va in sottotraccia (e che la Thomas ripescherà rendendola quasi centrale Il nostro tragico universo), che può essere condensata nella citazione qui sotto:
Anne: Se il contrario di qualcosa è il suo opposto assoluto, tipo la sua immagine allo specchio o una cosa del genere, allora il contrario di uno deve essere meno uno. Lo zero si trova giusto tra i due e da significato a entrambi. Perciò credo che zero non sia un numero. Credo che lo zero sia Dio.

Traduzione di Massimo Bocchiola

Assemblaggio di un telescopio

sabato 17 gennaio 2015

Lo Hobbit di Peter Jackson annotato

Dopo il successo, non certo esente da critiche, della trilogia cinematografica de Il Signore degli Anelli, per Peter Jackson era importante affrontare la sfida de Lo Hobbit, il romanzo che ha, in un certo senso, dato inizio a tutto.
Approcciando il libro, Jackson ha fatto una scelta cinematograficamente opportuna, trasformando il testo tolkeniano in una trilogia prequel della precedente(1). Dato questo punto di partenza, Jackson ha poi dovuto risolvere altri problemi, primo fra tutti i toni favolistici del romanzo.
Le immagini, laddove diversamente indicato, sono di David T. Wenzel disegnatore de Lo Hobbit a fumetti
Un viaggio inaspettato
In una caverna sotto terra viveva uno hobbit. Non era una caverna brutta, sporca, umida, piena di resti di vermi e di trasudo fetido, e neanche una caverna arida, spoglia, sabbiosa, con dentro niente per sedersi o da mangiare: era una caverna hobbit, cioè comodissima.
Questo è l'incipit de Lo Hobbit, che sin da subito identifica l'obiettivo della storia: essere letta soprattutto dai bambini. Il romanzo, infatti, era in origine una storia scritta e raccontata esclusivamente per i suoi figli e solo per caso finì sulla scrivania dell'editore Allen & Unwin di Londra, che, dopo averla fatta esaminare dal suo esperto di fiducia (il figlio!), la diede alle stampe nel 1937.
Partendo da una inaspettata riunione nel salotto di Bilbo Baggins, sponsorizzata da Gandalf il grigio, una compagnia di nani guidati da Thorin Scudodiquercia, con l'aggiunta del signor Baggins, si avvia verso la Montagna Solitaria dove dimora Smaug e dove un tempo aveva sede il re dei nani, il Re sotto la Montagna.
I colori brillanti di Hobbitville sono, probabilmente, un modo semplice, già utilizzato nella precedente trilogia, per rendere le atmosfere favolistiche, che vanno via via sfumando nel corso del primo film, abbastanza aderente al testo, a parte il coinvolgimento di Sauron.
In realtà questo coinvolgimento era già originariamente presente in potenza, e sarebbe stato sviluppato organicamente in seguito durante lo sviluppo dell'universo fantastico tolkeniano:
A quanto pareva, Gandalf si era recato a un grande consiglio di stregoni bianchi, maestri di dottrina e magia buona; ed essi erano finalmente riusciti a snidare il Negromante dalla sua oscura tana a sud di Bosco Atro.
Questo Negromante iniziale verrà, successivamente, identificato in Sauron, come ben evidente nell'appendice B de Il Signore degli Anelli: nel 2340 (anno della Terza Era) Sauron ritorna a Dol Guldur e inizia a popolare Moria con le sue creature a partire dal 2480.
Nel 2850:
Gandalf torna a Dol Guldur e scopre che effettivamente il padrone del luogo è Sauron, il quale sta raccogliendo tutti gli Anelli e cerca accanitamente notizie a proposito dell'Unico Anello e dell'Erede d'Isildur.
L'anno successivo Gandalf, durante un Adunanza del Bianco Consiglio
(...) esorta ad assalire Dol Guldur. Saruman respinge la sua proposta.
Come si suol dire "la curiosità uccise il gatto": Saruman, infatti, inizia a fare ricerche indipendenti, partendo da Campo Gaggiolo. Il nostro si avvicina pericolosamente a Sauron fino a che nel 2939 non scopre, in parte, i suoi piani: ma tace con il Consiglio.
Arriviamo, così, al 2941, anno de Lo Hobbit:
Thorin Scudodiquercia e Gandalf vanno a trovare Bilbo nella Contea. Bilbo incontra Sméagol-Gollum e trova l'Anello. Seduta del Bianco Consiglio: Saruman acconsente all'attacco contro Dol Guldur, poiché ora vuole impedire a Sauron di cercare nel Fiume. Sauron ha elaborato i propri piani e abbandona Dol Guldur. Nella Valle avviene la Battaglia dei Cinque Eserciti. Morte di Thorin II. Bard di Esgaroth uccide Smaug. Dáin dei Colli Ferrosi diventa Re sotto la Montagna (Dáin II).
E' dunque evidente che, nelle vicende narrate ne Lo Hobbit, Sauron gioca comunque un ruolo, per quanto marginale, che da Peter Jackson viene posto come la motivazione principale dell'appoggio di Gandalf alla compagnia di Thorin. Di conseguenza l'attacco contro la Montagna di Bolg e Azog è, nel film, direttamente ispirato da Sauron, mentre nel romanzo è conseguenza dell'uccisione del Re degli Orchi, ma su questo torneremo più avanti.

2014: un anno su LSB

Anche se un po' in ritardo, vorrei ricapitolare i miei articoli usciti nel 2014 su Lo Spazio Bianco. Tra approfondimenti, recensioni, e brevisioni e altre cose, l'attività è riassumibile come segue:
Superman: The men of tomorrow:
parte 1 (R), parte 2 (B), parte 3 (B), parte 4 (R), parte 5 (R)
Quindi nel complesso 4 approfondimenti, 15 recensioni, 11 brevisioni, 1 intervista, 5 news per un totale di 36 post che rendono il 2014 uno dei miei anni più prolifici su LSB, ma anche piuttosto particolare, con la momentanea decisione, per esempio, di abbandonare la scrittura delle brevisioni (su cui non approfondisco, ma che al momento mi lascia in una fase di perplessità, di fronte a un paio di brevi recensioni che non so se pubblicare qui o sottomettere sul forum redazionale). Per parte sua il 2015 è iniziato in maniera decisamente interessante, con 4 post di cui 3 news e una aggregazione al gruppo dei newser, i cacciatori e caricatori di news.
Vedremo questa nuova avventura dove porterà, per intanto date un'occhiata agli articoli che vi sembrano più interessanti.

venerdì 16 gennaio 2015

Anteprima recensione: Annhilator e il buco nero di Fraser Irving

Questa volta estraggo, ma non come screenshot, una parte della recensione di "Annihilator", ultimo fumetto di Grant Morrison che sta arrivando in Italia a ridosso dell'edizione originale
I conigli sono degli animali estremamente prolifici, quasi leggendari nel loro tasso di riproduzione, tanto che Leonardo Fibonacci proprio grazie a questi simpatici roditori scoprì la serie che oggi porta il suo nome: 1 1 2 3 5 8 13 21 e così via, e dove ogni numero è la somma dei due precedenti.
È però stupefacente notare quanto sia pervasiva all'interno della natura questa serie numerica: possiamo ritrovarla, per esempio, nella disposizione dei semi dei girasoli(1), nella struttura dei carapaci delle tartarughe, nelle spirali delle conchiglie. O, ancora, nelle galassie a spirale(2).

M51 (Whirlpool Galaxy) - fonte: reddit, NASA
Viaggiando nell'universo
La materia galattica, infatti, ruota intorno al suo centro realizzando, spesso, delle strutture spiraleggianti, bracci di materiale solido e gassoso che prendono delle forme descrivibili proprio grazie alla serie di Fibonacci mentre cadono verso il centro, fagocitate lentamente da un oggetto apparentemente assurdo ma assolutamente reale che porta il nome di buco nero supermassiccio. All'interno di ogni galassia a spirale si trova proprio un buco nero(3, 4), che al tempo stesso rappresenta il motivo dell'esistenza(5) e il destino ultimo di strutture come la nostra Via Lattea, al cui centro si trova Sagittarius A*(6).
Quasi nulla sfugge dall'orizzonte degli eventi di questo mostro cosmico: immaginate la materia mentre, strato dopo strato, cade al suo interno, scomposta nei suoi costituenti fondamentali, e l'unica traccia di questo pasto è una semplice, piccola radiazione X(7), un leggero calore che riesce a sfuggire, la prova di una digestione millenaria. È in questa zona di confine che viene portato Max Nomax, avventuriero e genio, alla ricerca di "una cura per la morte", un modo per ricongiungersi in vita con la sua amata, protagonista di una classica storia di fantascienza cosmica scritta dall'altrettanto geniale Ray Spass, sceneggiatore hollywoodiano in crisi creativa e tormentato dal suo manager, che lo pressa per ottenere la sceneggiatura per una nuova serie di film, Annihilator.

Hackerare la satira

E' notizia di oggi quella del Corriere che mette in piedi un volume dedicato a Charlie Hebdo utilizzando le vignette dei fumettisti italiani, semplicemente dimenticandosi di contattarli per chiedere il permesso e magari un file in alta risoluzione (cose che non solo sono educate, ma fanno smadonnare i grafici un po' meno di quanto avranno probabilmente fatto...).
Al di là delle polemiche sul metodo utilizzato dal Corriere o dalla difesa del diritto d'autore, penso che chiunque abbia il diritto di hackerare la rivista, a maggior ragione per un numero andato a ruba e altrimenti irrecuperabile, a maggior ragione per un periodo che ha visto chiunque saccheggiare le vignette della rivista. Gli altri numeri, invece, andrebbero, se possibile, acquistati. Ma solo se la rivista vi piace, così, almeno, evitiamo che altri pazzi si mettano in testa strane idee.
P.S.: link per scaricare non ve ne metto: tanto non ci vuole molto per ottenere il pdf del numero.

martedì 13 gennaio 2015

Dimostrazioni senza parole: somma di una serie infinita

Sulla copertina di RM #199 (pdf) c'è la dimostrazione senza parole della somma di una serie: \[\sum_{k=0}^\infty (-1)^k (1/3)^k\]
Come ricordano i Rudi, la dimostrazione (che potete vedere su reasearchgate.org) è di Hasan Unal(1), che a sua volta trae ispirazione da Richard Mabry (della Louisiana State University)
Il post vuole essere una sorta di contenuto extra regalato ai Rudi che, riguardo la cover, hanno candidamente ammesso:
No, non abbiamo dei link.
E allora eccoli serviti!
(1) Unal H. (2009). Proof Without Words: Sum of an Infinite Series, The College Mathematics Journal, 40 (1) 39-39. DOI: http://dx.doi.org/10.4169/193113409x469695 (reasearchgate.org)

domenica 11 gennaio 2015

The imitation game: quando il cinema manca di coraggio

In un post su Google+, +Marco Cameriero cita il riassunto che una spettatrice fa all'uscita dal cinema al marito tornato a prenderla:
Parla di uno scienziato pazzo che costruisce una macchina per tradurre i messaggi dei tedeschi, poi la usa quando dice lui perché si crede Dio. Però alla fine forse lo era visto che hanno vinto la guerra. Poi si scopre che era frocio così gli hanno fatto prendere gli ormoni e lui allora s'è ucciso con una mela avvelenata come Biancaneve
Si sta riferendo a The imitation game, il film che racconta di come Alan Turing vinse la seconda guerra mondiale.
Il gioco dell'imitazione
Il titolo del film pone enfasi su un gioco, noto anche come test di Turing, sviluppato dal matematico in un paio di articoli come test per determinare se una intelligenza artificiale è in grado di diventare indistinguibile da una umana:
[Il gioco] viene giocato da tre persone, un uomo (A), una donna (B) e l'interrogante (C), che può essere dell'uno o dell'altro sesso. L'interrogante viene chiuso in una stanza, separato dagli altri due. Scopo del gioco per l'interrogante è quello di determinare quale delle altre due persone sia l'uomo e quale la donna. Egli le conosce con le etichette X e Y, e alla fine del gioco darà la soluzione "X è A e Y è B" oppure "X è B e Y è A". L'interrogante può far domande di questo tipo ad A e B: "Vuol dirmi X, per favore, la lunghezza dei propri capelli?" Ora suopponiamo che X sia in effetti A, quindi A deve rispondere. Scopo di A nel gioco è quello di ingannare C e far sì che fornisca un'identificazione errata. La sua risposta potrebbe perciò essere: "I miei capelli sono tagliati à la garçonne, e i più lunghi sono di circa 25 centimetri". Le risposte, in modo che il tono di voce non possa aiutare l'interrogante, dovrebbero essere scritte, o meglio ancora, battute a macchina. La soluzione migliore sarebbe quella di avere una telescrivente che mettesse in comunicazione le due stanze. Oppure le domande e le risposte potrebbero essere ripetute da un intermediario. Scopo del gioco, per il terzo giocatore (B), è quello di aiutare l'interrogante. La migliore strategia per lei è probabilmente quella di dare risposte veritiere. Essa peò anche aggiungere alle sue risposte frasi come "Sono io la donna, non dargli ascolto!", ma ciò non approderà a nulla dato che anche l'uomo può fare affermazioni analoghe. Poniamo ora la domanda: "Che cosa accadrà se una macchina prenderà il posto di A nel gioco?" L'interrogante darà una risposta errata altrettanto spesso di quando il gioco viene giocato tra un uomo e una donna? Queste domande sostituiscono quella originale: "Le macchine possono pensare?"(1, 2)
Nel momento in cui Turing lo cita, all'interno del dialogo immaginario con l'altrettanto immaginario detective Nock sembra, in un certo senso, una difesa della sua diversità e con essa del diritto a sentirsi diversi di ciascun essere umano. Questa conclusione, però, non è esplicita e deve essere lo spettatore, per conto suo, a doverla estrarre dal contesto. La scena, infatti, si svolge nella sala interrogatori della polizia in una indagine che non parte esplicitamente per la sua omosessualità ma per una accusa di spionaggio che, tra l'altro, nella realtà non c'è mai stata, come ricorda Alex von Tunzelmann sul Guardian. Diverso, invece, sarebbe stato il peso della difesa di Turing in un'aula di tribunale mentre il matematico ribadisce, con distacco, la sua normalità di fronte a una giustizia ingiusta, proprio come, per esempio, hanno fatto Francesca Riccioni e Tuono Pettinato in Enigma, romanzo a fumetti che nel complesso ha il pregio di essere riuscito a trovare delle immagini emozionali più efficaci di The imitation game.
Il regista, Morten Tyldum, nel complesso ha portato a casa un semplice compitino, dirigendo un film per certi versi incompiuto, che non sa decidersi se essere una storia di guerra, una storia di spionaggio o un film romantico, risultando alla fine un mix, per altro non troppo ben fatto, di tutti e tre i generi. Il film nel complesso si regge sulla bravura degli attori, il protagonista in particolare, ma nulla più: dal punto di vista estetico, mentre la fotografia suggerisce le atmosfere di una spy story o di un giallo, sono completamente assenti guizzi registici che avrebbero potuto rendere il film interessante anche per un pubblico non interessato alla storia romantica. La scena della costruzione di Cristopher (per altro la sua macchina non aveva questo nome!) è lineare e, personalmente, poco emozionale: mi sono, infatti, chiesto come sarebbe stata resa da, per esempio, Ron Howard, o ancora meglio come la mente matematica di Turing sarebbe stata rappresentata da Ridley Scott e dal suo team di lavoro di Numb3rs.
Altro punto particolarmente delicato nella descrizione di Turing è la sua passione per la corsa e la cura del suo corpo: in particolare con la corsa Turing si concentrava, isolandosi dagli stimoli esterni, mentre nel film la corsa sembra essere utilizzata come un mezzo per scaricare le proprie colpe, come emerge dalla scena in cui Benedict Cumberbatch cade in ginocchio di fronte al sole al tramonto alla fine del suo allenamento. Cumberbatch è sicuramente un bravissimo attore, ma, seguendo la sceneggiatura, drammatizza eccessivamente una figura in cui i nodi drammatici sono probabilmente concentrati nell'inizio e nella conclusione della sua vita. In questo punto il film decide di non mostrare il suicidio di Turing, menzionato con delle didascalie nella scena finale.
Sia questa mancanza, sia l'assenza di una rappresentazione più coerente della diversità, anche sessuale, di Alan Turing, lasciata al massimo alla voce di Joan Clarke durante un litigio quasi sicuramente inesistente, mostra infine uno scarso coraggio da parte degli sceneggiatori, che evidentemente temevano di realizzare, alla fine, uno spot a favore della diversità.
E' parzialmente confortante osservare come queste critiche non siano troppo distanti da quelle di Andrew Hodges, biografo di Turing, sul cui lavoro si dovrebbe basare il film.

venerdì 2 gennaio 2015

Esercizi di stile

Era una notte buia e tempestosa è stata resa diffusamente famosa da Snoopy in una serie di strisce e tavole domenicali (su cinque cose belle una selezione) di Charles Schultz all'interno della serie dei Peanuts. In effetti il primo a utilizzare la frase all'interno di un romanzo fu Edward Bulwer-Lytton in Paul Clifford del 1830. Anche Alexandre Dumas sr. (padre) utilizza questa frase (ovviamente in francese) ne I tre moschettieri (sarebbe interessante capire se indipendentemente da Bulwer-Lytton), così come Ray Bradbury nel suo Constance contro tutti. In Italia ci sono stati omaggi a questa frase da parte di Umberto Eco ne Il nome della rosa e di Andrea Camilleri ne Il birrario di Preston, ovviamente in quest'ultimo caso con una versione in siciliano!

giovedì 1 gennaio 2015

Esiste un centro dell'universo?

E' stata lunga la strada verso la scoperta che la Terra non è il centro del Sistema Solare, della Via Lattea, o dell'universo; grandi pensatori da Aristotele a Bruno si sono cimentati con ciò per millenni. [Per esempio] Giordano Bruno suggerì che le stelle fossero soli che probabilmente avevano i propri pianeti, e che l'universo fosse infinito. Quest'idea non è andata troppo avanti...
Ma se non siamo al centro dell'universo, dove siamo?