Attratto dal titolo e dall'idea dell'autore, Eugenio Dario Lai, di voler dare una lettura differente di Aspettando Godot di Samuel Beckett, mi avvicino al libro in quel di Torino per acquistarlo. E sin dalle prime pagine mi rendo conto di avere fatto un acquisto non così buono come credevo.
E' sin troppo evidente, infatti, che siamo di fronte al romanzo di un esordiente: i dialoghi risultano in alcuni punti forzati e artificiosi, mentre i personaggi lasciano ben poco di memorabile nel lettore e la narrazione, in prima persona, risulta in certi punti ingenua per soluzioni narrative proposte.
A questo c'è da aggiungere il doppio filone della reinterpretazione di Godot: da un lato quello matematico, piuttosto debole con, peraltro, alcuni errori che dimostrano proprio ciò che l'autore vorrebbe tenere lontano dalla sua tesi, ovvero che i numeri possono essere interpretati a proprio piacimento (almeno quando dietro non è presente un apparato matematico sufficientemente solido); dall'altro un'interpretazione vicina alla mitologia norrena, che risulta più credibile (o quanto meno accettabile), in cui i personaggi che appaiono nella rappresentazione vengono visti come una delle divinità di quel pantheon.
In effetti è soprattutto questo parallellismo, su cui si regge la seconda parte del romanzo, che risolleva un po' un libro nel complesso abbastanza brutto, pessimo sia come saggio venduto come romanzo, sia come fantasy, peraltro ambientato nel XX secolo.