Stomachion

venerdì 21 dicembre 2018

La storia di Freddie il fotone

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Dopo una lunga gestazione durata diversi anni, arriva finalmente al cinema il film dedicato a Freddie Mercury e ai Queen, Bohemian Rhapsody, come il titolo di una delle canzoni più note e di successo della band inglese di nerd e disadattati che ha rivoluzionato il mondo del rock e della musica in generale. Indubbiamente un film su Freddie Mercury ha nella colonna sonora il suo punto di forza, grazie alla forza trascinante della musica dei Queen: devo, in effetti, confessare che le ho cantate più o meno tutte, ovviamente sottovoce, e ho stentato a trattenermi dal tenere il ritmo come se fossi a un loro concerto, in particolare in occasione di We will rock you, peraltro uno dei pezzi scritti da Brian May, e che in effetti rappresenta molto bene l'altra rivoluzione che i Queen hanno portato nella musica, il coinvolgimento del pubblico durante i live.
Nel complesso il film, pur di fronte a differenze, anche abbastanza importanti, nella biografia, risulta molto ben fatto e ben recitato. D'altra parte il compito per gli attori non era agevole: muoversi sul palco come degli animali da palcoscenico come i Queen era abbastanza arduo, in particolare il compito di Rami Malek che interpretava Mercury. D'altra parte, se pensiamo un attimo all'impianto del film, le licenze che Anthony McCarten si è preso nella sceneggiatura sono in qualche modo giustificabili. Il film, infatti, ruota intorno a quello che viene considerato non solo il concerto migliore della band, ma il live migliore in assoluto nella storia della musica: la performance di 20 minuti sul palco del Live Aid nel 1984 a Wembley. In questo senso risulta incredibilmente emozionate, oltre che ben interpretata nelle movenze, proprio la scena che sintetizza questi mitici 20 minuti, e questo anche grazie alla regia di Bryan Singer e Dexter Fletcher, che lo ha sostituito quando Synger, a film quasi ultimato, è stato licenziato.
Se il Live Aid era da considerarsi punto di partenza e di arrivo della narrazione, il resto del compito del film è stato quello di raccontare la personalità di Mercury, i suoi obiettivi e in parte i suoi eccessi, enfatizzando gli eventi e le persone che in qualche modo hanno contribuito a questi eccessi. Emerge un personaggio molto partecipe non solo nella musica, ma anche nei rapporti con molte delle persone che lo circondavano: in qualche modo è proprio questa forte partecipazione emotiva che lo spinse verso l'eccesso (mi spingerei a fare dei paragoni con alcuni fisici teorici che ebbero una porzione della loro vita ricca di eccessi, ma preferisco evitare).
Dato in particolare quest'ultimo come compito del film, le licenze poetiche di McCarten sono quasi comprensibili, e per approfondirle vi rimando alla sezione relativa sulla pagina di en.wiki del film.
Nel resto dell'articolo vorrei, invece, soffermarmi sulla canzone, scritta proprio da Freddie Mercury, che in qualche modo fornisce il titolo del post, Don't stop me now.
Viaggiare alla velocità della luce
Come scriveva Alexis Petridis sul Guardian, la canzone è ricca di edonismo e promiscuità. D'altra parte molti versi sono un inequivocabile, quanto addirittura esplicito riferimento al sesso. Inoltre il testo è scritto per essere calzante sia per un uomo, come sarebbe ovvio per una band maschile, ma anche per una donna, frutto della doppia sensibilità sessuale di Mercury.
Nel testo ci sono, però, alcuni riferimenti scientifici abbastanza interessanti che potrebbero anche essere una diretta influenza della presenza di Brian May nel gruppo. Scorrendo il testo i primi riferimenti scientifici sono di tipo astronomico:
I'm a shooting star, leaping through the sky
Like a tiger defying the laws of gravity
In due versi introduce due concetti differenti: da un lato un oggetto astronomico, una stella cadente, ovvero un frammento di un asteroide che si incendia mentre sta cadendo sulla superficie terrestre dopo essere stato catturato dalla gravità del pianeta, dall'altro l'immagine di una tigre che sfida la legge di gravità evidentemente provando un balzo rischioso per lanciarsi sulla sua preda.
I'm burnin' through the sky, yeah
Two hundred degrees
That's why they call me Mister Fahrenheit
In questo caso il chiaro riferimento è alla scala di temperature utilizzata nel mondo anglosassone, che vede la temperatura di ebollizione dell'acqua a 212° invece che a 100° come nella scala Celsius. Da qui il nomignolo che il protagonista della canzone si "merita".
I'm traveling at the speed of light
I wanna make a supersonic man out of you
Qui la questione scientifica è evidente e al tempo stesso sottile. Il protagonista viaggia alla velocità della luce (poco meno di 300000 km/s), ma si definisce uomo supersonico (più avanti donna supersonica), visto che la velocità della luce è un limite invalicabile per qualunque oggetto che si muove nell'universo, come Mercury evidentemente ben sapeva proprio grazie al buon Brian May! Questo vuol dire che, pur viaggiando alla velocità della luce, poteva al massimo essere supersonico.
Yeah, I'm a rocket ship on my way to Mars
Life on Mars di David Bowie era uscita nel 1971, mentre il progetto Apollo era stato sospeso giusto l'anno dopo, eppure il sogno di andare su Marte era in qualche modo ancora vivo nella cultura popolare, come testimonia il verso qui sopra.
Non c'era, però, solo il sogno, ma anche l'incubo: la guerra fredda era ancora in corso e il rischio di una guerra calda nucleare non era ancora sopito. Allora Mercury prova, evidentemente, a esorcizzare questo rischio con un tris di versi di chiaro riferimento erotico:
I am a sex machine, ready to reload
Like an atom bomb about to
Oh, oh, oh, oh, oh explode
I Queen, dopo i Radiohead (e forse gli Offspring), sono uno dei gruppi più acculturati del panorama musicale mondiale e anche una semplice canzone dal ritmo incessante e travolgente e dal testo decisamente ammiccante (mi sa che sono stato piuttosto buono!) mostra questa propensione culturale della band, che già era evidente sin da quel capolavoro che è A night at the opera.
Ovviamente potrei provare a raccontarvi altri ganci scientifici, alcuni forzati altri meno, con la vasta produzione dei Queen, ma vi rimando al blog di Ilaria Arosio per approfondire qualcosa su '39, tratta proprio da A night at the opera e scritta dall'astronomo del gruppo, Brian May.

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