lunedì 17 novembre 2003

L'orrore

La prima cosa è il nome, la seconda quegli occhi, la terza un pensiero, la quarta la notte che viene, la quinta quei corpi straziati, la sesta è fame e la settima è orrore, l'orrore, che scoppia di notte - di nuovo la notte - l'orrore, la ferocia, il sangue, la morte, l'odio, fetido orrore. Si sono impossessati di una botte, e il vino si è impossessato di loro. Alla luce della luna un uomo mena gran colpi con un'ascia sulle legature della zattera, un ufficiale cerca di fermarlo, gli saltano addosso e lo feriscono a coltellate, torna sanguinante verso di noi, tiriamo fuori le sciabole e i fucili, sparisce la luce della luna dietro le nubi, è difficile capire, è un istante che non finisce più, poi è un'onda invisibile di corpi e urla e di armi che si abbatte su di noi, la cieca disperazione che cerca la morte, subito e sia finita, e l'odio che cerca un nemico, subito, da trascinare all'inferno - e nella luce che va e sparisce io ricordo quei corpi correre contro le nostre sciabole e lo schioccare dei colpi di fucili, e il sangue schizzare fuori dalle ferite, e i piedi scivolare sulle teste schiacciate tra le assi della zattera, e quei disperati trascinarsi con le gambe spezzate fino a noi e, disarmati ormai, morderci alle gambe e rimanerci attaccati, ad aspettare il colpo e la lama che li spezza, alla fine - io ricordo - due dei nostri morire, fatti letterarmente a morsi da quella bestia inumana venuta fuori dal nulla della notte, e morire decine di loro, squarciati e affogati, si trascinano per la zattera guardando ipnotizzati le loro mutilazioni, invocano santi mentre immergono le mani nelle ferite dei nostri a strappargli le viscere - io ricordo - un uomo mi si getta addosso, mi stringe le mani al collo, e mentre cerca di strozzarmi non smette un attimo di piagnucolare "pietà, pietà, pietà", spettacolo assurdo, c'è la mia vita sotto le sue dita, e c'è la sua sulla punta della mia sciabola che alla fine gli entra nel fianco e poi nel ventre e poi nella gola e poi nella testa che rotola in acqua e poi in quello che rimane, pasticcio di sangue, incartocciato tra le assi della zattera, fantoccio inutile in cui si inzuppa la mia sciabola una volta, e due e tre e quattro e cinque

(da Oceano mare di Alessandro Baricco)

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