venerdì 29 febbraio 2008
Una gabbia grande quanto un corpo
Con l'accordo tra il Partito Democratico ed i Radicali, con il ritorno sulla scena politica di Veronesi, e soprattutto con l'intervento del papa contro l'eutanasia, si ricomincia a parlare della così detta dolce morte. L'argomento ritorna quindi a far parlare e, con una coincidenza incredibile, ho da poco finito di leggere Perché mi torturate, struggente racconto di un tretraplegico quasi completo che da 18 anni oramai (18 anni!!!) sta attendendo la morte e con essa la fine delle sue sofferenze.
Il libro, raccolto e scritto da Gabriele Vidano e Letizia Moizzi, uscito per le Edizioni Tea nella collana Esperienze, è strutturato in varie parti, di cui l'ultima è la testimonianza della moglie Agnese, che chiarisce in maniera ancora più forte se vogliamo la terribile ed insostenibile situazione in cui versa Adolfo Baravaglio, indomito combattente pro-eutanasia. Ciò che colpisce di più nel racconto di Adolfo è la sua disperazione da un lato e la sua speranza dall'altro. Disperazione per la sua condizione assolutamente insostenibile, impossibilitato a muoversi, costretto in un letto e limitato nei movimenti dal solo collo e da un braccio, quello destro, che si conclude con una mano insensibile che, come egli stesso dice, sbatte sopra il telecomando nel tentativo di cambiare canale nelle poche ore che si concede di veglia. Dall'altra parte c'è la speranza, un po' macabra per noi che stiamo bene e possiamo ogni giorno andare al lavoro, che la prossima malattia che lo colpirà sia quella definitiva, quella che lo porterà verso l'agognata morte. Lo si può biasimare? Si può dire a quest'uomo che la vita è un bene prezioso, quando lui e la moglie sono costretti a vivere con la sola assistenza statale, poiché la moglie deve assisterlo continuamente? La sua risposta, che potrete trovare nel libro o in vari articoli su Repubblica (basta cercare) è, in un certo senso, con un'altra domanda: secondo voi è vita, una vita dignitosa, quella che conduco?
Spero di aver interpretato bene il suo pensiero, soprattutto perché è sempre molto lucido, e il ragionamento conclusivo è molto semplice: in un mondo in cui una morte naturale, intesa come una morte che giunge per vie naturali, diventa sempre più improbabile (ogni malattia, con l'andare dei secoli, se presa per tempo, per quanto mortale, grazie agli interventi chimici può essere procrastinata nel tempo), non ha più molto senso chiudere gli occhi e mettere da parte il problema dell'eutanasia e del testamento biologico.
L'appendice del libro citato, poi, raccoglie in una prima parte i tentativi italiani di introdurre una legge coerente sull'eutanasia, in linea con l'articolo 36 della nostra Costituzione (che a Dicembre ha compiuto 60 anni), e le legislazioni belga e olandese.
Alla fin fine si potrà anche non essere d'accordo con l'eutanasia per se stessi, ma certo questo libro ribadisce un concetto fondamentale, rimarcato anche dal fatto che Adolfo ed Agnese si mettono a nudo completamente di fronte al lettore, ed importante per la nostra società: dare a tutti la libertà di poter scegliere il proprio destino, ovviamente nei limiti del vivere con gli altri.
Per approfondire:
Exit-Italia
Libera Uscita
The World Federation of Right to Die Societies
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