venerdì 13 febbraio 2009

Proteste

La sera del 13 novembre a Stoccolma pioveva a dirotto. (...)
Fuori dall'ambasciata americana in Strandvägen e lungo le strade che vi conducevano, quattrocentododici poliziotti si stavano scontrando con un numero quasi doppio di dimostranti. Gli agenti erano equipaggiati con lacrimogeni, pistole, fruste, manganelli, auto, motociclette, radio a onde corte, megafoni a batteria, cani antisommossa e cavalli isterici. I dimostranti erano armati di una lettera e di cartelli che si afflosciavano sempre più a causa della pioggia battente. Era difficile ritenerli un gruppo omogeneo, poiché erano costituiti da persone di tutti i tipi immaginabili: dalle scolare tredicenni in jeans e montgomery ai seriosi studenti politicamente impegnati, dai provocatori agli attaccabrighe professionisti, fino ad arrivare all'artista ottantacinquenne con basco e ombrello di seta blu. Qualche solido motivo comune li aveva spinti a sfidare la pioggia e tutto ciò che sarebbe potuto accadere. Sull'altro versante, la polizia non era esattamente costituita dalla ''crème'' delle proprie forze. Gli uomini erano stati radunati da ogni possibile distretto cittadino, ma qualsiasi agente che avesse come amico un medico o che conoscesse l'arte di svignarsela, era riuscito ad eludere quell'ingrato mandato. Erano rimasti quelli che sapevano quel che facevano, e lo facevano volentieri, e quelli che nel gergo del sindacato erano chiamati «polli», e che erano troppo giovani ed inesperti per osare tirarsi indietro e che, tra l'altro, non avevano idea di quel che stavano facendo e tanto meno perché lo facevano. I cavalli si impennavano mordendo il freno, gli agenti tenevano la mano sulle fondine delle pistole e caricavano in continuazione con i manganelli. Una ragazza portava un cartello con la memorabile scritta: FAI IL TUO DOVERE! FOTTI PIU' SBIRRI CHE PUOI! Tre agenti sugli ottantacinque chili si gettarono su di lei, spezzarono il cartello, trascinarono la ragazzina in una delle loro vetture, dove le torsero le braccia e la afferrarono per il petto. Lei aveva compiuto tredici anni proprio quel giorno, e il petto non aveva ancora avuto il tempo di svilupparsi.
In totale vennero fermate oltre cinquanta persone. Molte erano sanguinanti. Alcuni erano dei cosiddetti VIP, gente che poteva scrivere sui giornali oppure lagnarsi alla radio o in TV. Alla sola vista di queste persone, i poliziotti di turno nei vari distretti venivano colti da brividi di febbre e mostravano loro la porta con sorrisi di scuse e rigidi inchini. Altri non se la spassarono troppo durante gli interrogatori d'obbligo. Un poliziotto a cavallo era stato colpito alla testa da una bottiglia vuota, e qualcuno doveva averla tirata. L'operazione fu condotta da un ufficiale di polizia addestrato in un'accademia militare. Lo si riteneva un esperto in questioni di ordine pubblico, ed egli osservava sottisfatto il totale caos che era riuscito a creare.

(da Il poliziotto che ride di Maj Sjöwall, Per Wahlöö, trad. di Renato Zatti)

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