martedì 29 novembre 2011

Pellegrini

Gli eroi tipici giapponesi sono sicuramente i Transformers, quei robot giganteschi che si nascondono trasformandosi di volta in volta in auto, aerei o altri giganteschi oggetti della modernità. Gli eroi dell'occidente, invece, sono granitici, fermi, difensori dello status quo, non sono realmente in grado di trasformarsi, se non dalla propria identità civile calandosi una maschera sulla faccia. L'essenza dell'eroismo giapponese è dunque la capacità di trasformarsi anche in funzione degli stimoli esterni. Queste considerazioni (e altre ancora) sono presenti in Autostop con Buddha di Will Ferguson, che, all'epoca insegnante di inglese presso la Nexus in Giappone, decide di intraprendere un viaggio per le isole nipponiche seguendo la via dei sakura, i fiori di ciliegio.
Il libro è pieno di storie di persone, famose e non, e una in particolare mi ha colpito, quella di Ichikawa Danzo VIII:
(...) Ichikawa Danzo VIII (...) era un famosissimo attore Kabuki che, con la sua morte, diede la sua ultima esibizione, la più grande, uno spettacolo che lo avrebbe reso immortale.
Ichikawa fece la sua prima apparizione sul palcoscenico quando era ancora in fasce. Il ritiro dalle scene coincise con il suo ottantaduesimo anno di carriera. Dopo i festeggiamenti e l'ultimo spettacolo d'addio, si recò a Shikoku e percorse in solitaria la Via degli Ottantotto Templi del Kobo Daishi. Fu un'impresa notevole per un uomo della sua età, e secondo l'opinione di alcuni non si sarebbe mai aspettato di portare a termine il pellegrinaggio ma, al contrario, di morire strada facendo. Ichikawa, invece, portò a termine il percorso alla fine di maggio, dopo che i sakura erano caduti e il cerchio si era chiuso. Non aveva più nulla da fare. Partì per Shodo, a quanto pare con l'intenzione di completare anche il pellegrinaggio dell'isola, ma qualcosa gli fece cambiare idea.
Perché avesse scelto di lasciare l'ultimo cerchio incompiuto rimane un mistero. Forse era soltanto stanco. Trascorse i suoi ultimi giorni di vita da solo in una piccola pensione di Shodo, prima d'imbarcarsi su un traghetto di mezzanotte per Osaka. La pioggia scrosciava sul ponte, quando Ichikawa andò a poppa e salì sul parapetto per gettarsi tra le scure onde del mare. Nessuno lo vide mai più. Era come se il suo corpo fosse scomparso. Aveva scelto con cura il momento propizio per uscire di scena; la nave stava attraversando le forti correnti orientali del Mare Interno, e lui fu risucchiato nei Vortici di Naruto e nelle loro infinite spire.
La morte di Ichikawa divenne leggenda, l'estremo gesto d'indipendenza, il pellegrino che decide personalmente come porre fine al suo viaggio. Nei Pellegrini giapponesi, Oliver Statler scrive: "Il suo non fu un atto di disperazione, bensì di risoluzione. Abbandonò la vita con la stessa compostezza con cui abbandonava il palco".
(trad. Claudio Silipigni)
Penso più o meno la stessa cosa di Mario Monicelli, che il suo non fu un atto di disperazione, ma nemmeno una risoluzione, piuttosto una ribellione, un modo per scegliere il suo addio. Furono le circostanze a renderlo così eclatante come è stato, altrimenti avrebbe fatto proprio come Ichikawa, andandosene allo stesso modo con cui immagino si concludevano i suoi film al cinema: con gli applausi!

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