lunedì 10 settembre 2012

Studio, in classe, delle biotracce di un pianeta extrasolare

Le Olimpiadi Internazionali dell'Astronomia sono una competizione tra studenti delle scuole superiori di tutto il mondo con test riguardanti l'astronomia. Come paese partecipante, l'Italia ogni anno organizza le selezioni nazionali durante le Olimpiadi Italiane dell'Astronomia, organizzate dalla Società Italiana dell'Astronomia in collaborazione con l'INAF. L'attività delle Olimpiadi è inoltre inclusa nel programma per l'educazione d'eccellenza del MIUR. La presidenza del Comitato Olimpico Italiano ha base presso l'Osservatorio Astronomico di Brera, ed è da questa istituzione che negli ultimi due anni sono partiti i lavori per realizzare una piattaforma didattica di supporto alle Olimpiadi. La piattaforma, basata su Moodle, al momento in fase di progettazione e di test, contiene una prima serie di voci di uno snello syllabus astronomico, e propone test (esercizi e prove pratiche) e problemi di preparazione alle prove di accesso. Per il futuro, però, si vorrebbe trasformare la piattaforma stessa in un supporto didattico completo per gli insegnanti e le scuole che aderiranno all'iniziativa. Da qui nasce l'interesse di testare su questo blog possibili materiali didattici, al momento extra-olimpici, e raccolti sotto una apposita categoria.

Come ho cercato di raccontare nel lungo post dedicato al SETI, l'arrivo di Kepler ha permesso una vera e propria rivoluzione nella ricerca dei pianeti extrasolari, dando anche un'impulso allo sviluppo di tecniche in grado di determinare se un pianeta è abitabile o meno. Il metodo utilizzato da Kepler è quello del transito, che può essere riprodotto in laboratorio, ma che abbinato a una tecnica particolare può essere utilizzato anche per determinare differenti combinazioni di acqua, superficie, rocce, vegetazione, ovvero le così dette biotracce. Ad esempio un pianeta che potrebbe supportare la vita (almeno quella cui siamo abituati sulla Terra) presenterà una superficie rocciosa, coperta da una certa percentuale di acqua. Questa tecnica si chiama spettropolarimetria:
It measures the intensity spectrum of the reflected light (spectroscopy) and also its degree of polarization (polarimetry).(1)
Utilizzando pochi e relativamente semplici strumenti, anche questa esperienza può essere riprodotta in classe, ma per farlo in modo opportuno, Gorazd Planinsic e Rick Marshall consigliano di approfondire separatamente i due concetti di base di spettro e polarizzazione.
Per realizzare l'esperienza si utilizza una lampadina a bulbo smerigliato, o comunque una a incandescenza della potenza di 60W(3) (ad esempio del diametro di 8cm), come modello della stella, e una palla di polistirolo (o di qualunque altro materiale e del diametro di circa 6 cm) dipinta di verde come modello del pianeta. A questo punto si posizionano stella e pianeta su un tavolo al centro della stanza dell'esperimento, in modo che i centri siano allineati, si invitano gli studenti a mettersi intorno a questo sistema solare muniti di opportuno filtro polarizzatore(4) e si spegne la luce della stanza. Dopo aver acceso la luce della lampadina, si inizia ad osservare il sistema con i filtri, o mettendo in rotazione il sistema stesso, o facendo girare gli studenti intorno al sistema, in modo da osservare le differenze nella luce emessa in base alla posizione relativa del pianeta rispetto alla stella.
Già in questa fase è possibile scattare delle foto: ad esempio si possono scattare, come hanno fatto Planinsic e Marshall, due foto dello stesso punto del sistema(5) ma con il filtro in due posizioni differenti, quella orizzontale e quella verticale. Per apprezzare poi le differenze tra le due foto si possono utilizzare alcuni software di photo editing usando l'opzione di sottrazione(6). Con questa operazione si sottrae
(...) the brightness of each pixel on one image from that of the same pixel on another image and then takes the absolute value of the result. If making a difference image of the colour images the resulting image has unusual colours. To avoid this distracting effect we converted our difference images into greyscale images that show only intensity variation. The brightness of the resulting image is largest where the emitted light is linearly polarized in a vertical or horizontal direction. In our case this is the part of the exoplanet from which the light is reflected. All surfaces that emit non-polarized light (such as the middle of the bulb) or emit light polarized at 45° with respect to the vertical appear dark (in the latter case this is because the intensities of the light transmitted by perpendicular polarizers are the same). Light scattered by the glass surface of the bulb is also partially polarized in the direction perpendicular to the glass. This explains the bright halo around the edge of the bulb image. Note that the dark spots at approximately 45° are consistent with our previous statement.
Questo modello, però, è piuttosto semplice, visto che il pianeta viene rappresentato come una palla sostanzialmente liscia. Per avvicinarsi a un pianeta decisamente più realistico basta, utilizzando la colla, ricoprire la superficie di sabbia. Quindi, una volta asciutto questo primo strato, incollare alcune foglie per simulare la vegetazione e della carta igienica bagnata per simulare laghi, fiumi, oceani. Così preparato il pianeta, la classe è pronta a ripetere l'esperienza e scattare nuove fotografie. Raccolto e rielaborato il materiale, sarà semplice notare come la luce riflessa da differenti materiali abbia luminosità differenti, mentre per alcuni di essi la luminosità è addirittura dipendente anche dall'angolazione della macchina fotografica.
La tecnica della sottrazione, per quanto basilare, non è sufficiente per ricavare dati sensibili sul sistema stella-pianeta. Il motivo è facilmente intuibile e basta pensare a quanto piccoli ci appaiono oggetti molto lontani, e così sono anche i pianeti e le stelle all'esterno del sistema solare anche per il più raffinato degli strumenti osservativi oggi costruiti. Qualcosa che, però, si può fare con la luce raccolta è studiarne la composizione a partire dallo spettro.
La tecnica usata allo scopo è la spettropolarimetria, che combina la spettroscopia, ovvero lo studio dello spettro di luce, con la polarimetria, ovvero lo studio della polarizzazione della luce. Questa tecnica era stata sviluppata già da diversi decenni(7) ed è stata recentemente proposta per studiare i pianeti extrasolari, testandola a partire dai dati relativi alla Terra(2).
L'idea è semplice:
(...) reflected light is partially polarized while that which comes directly from the star is not polarized at all.
In questo modo l'operazione di sottrazione non viene più fatta tra due immagini a polarità differente ma tra due spettri a polarità differente.
Per realizzare a scuola questo passo avanzato c'è sicuramente bisogno di attrezzatura dedicata come uno spettrometro per la luce visibile. A questo punto il set up sperimentale non è troppo difficile da montare:
The light bulb star and the styrofoam sphere exoplanet can be projected on a screen using a convergent lens (we used one with a focal distance of 27 cm). Cut the screen from white cardboard and make a small hole in it. Then push the optic fibre through the hole and fix it using a clamp. Use another clamp to fix the polarizing filter between the optical fibre and the lens. Mount all three elements on the stand shown in figure.
By moving the stand or the individual components you should be able to arrange that the image of the bulb or the image of the sphere appears at the location of the optic fibre. The spectra of the light emitted from the bulb and light reflected from the sphere can be recorded separately for both directions of polarization simply by rotating the polarizing filter by 90° .
A questo punto si possono realizzare vari tipi di spettri: quello della lampadina da sola,
quello della lampadina con la pallina,
confrontando poi i risultati per le due polarizzazioni orizzontale (curva nera) e verticale (curva bianca). Si conclude alla fine l'esperienza sottraendo gli spettri per entrambi i casi (in verde scuro la lampadina da sola, in bianco il sistema lampadina-pallina).
Ovviamente la tecnica utilizzata nel caso della Terra è molto più complessa di quella qui proposta, ma costituisce certamente un'utile esperienza, probabilmente adatta per un liceo scientifico (la prima parte, invece, potrebbe essere interessante da svolgere in qualsiasi tipo di scuola), per introdurre o ripetere concetti come la riflessione, lo spettro, la polarizzazione della luce, dando anche agli studenti l'opportunità di impratichirsi con strumenti e tecniche d'analisi avanzate.
(1) Planinsic, G. & Marshall, R. (2012). Is there life on exoplanet Maja? A demonstration for schools, Physics Education, 47 (5) 588. DOI: 10.1088/0031-9120/47/5/584
(2) Sterzik, M.F., Bagnulo, S. & Palle, E. (2012). Biosignatures as revealed by spectropolarimetry of Earthshine, Nature, 483 (7387) 66. DOI: 10.1038/nature10778
(3) A breve bisognerà aggiornare l'esperimento a causa della messa al bando nei paesi dell'Unione Europea di queste lampadine.
(4) Un filtro rudimentale, ma utile per delle osservazioni spannometriche, con un pezzetto di nastro adesivo su una delle lenti di un paio di occhiali da sole.
(5) Cosa che si può ottenere mettendo la macchina su un cavalletto.
(6) Nell'articolo viene consigliato ImageJ, che può essere scaricato dal sito dell'Università del Wisconsin, ma sembra esserci anche un sito ufficiale, dove c'è anche una versione per Linux
(7) Leggi ad esempio Spectropolarimetry and the nature of NGC 1068 di Antonucci e Miller del 1985

3 commenti:

  1. Un esperienza che renderei obbligatoria nei programmi ministeriali di qualsiasi corso di scienze! Bellissimo. :)

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  2. Se avrò la possibilità, cercherò di proporre quanto meno la prima parte dell'esperimento.

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  3. Davvero molto interessante! Grazie, Gianluigi! :)

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