sabato 11 aprile 2015

Great Pacific: l'immondizia del Pacifico


Great Pacific, fumetto di Joe Harris e Martin Morazzo tra #politica, #ecologismo e #misticismo: una salsa non completamente efficace
Great Pacific di Joe Harris e Martin Morazzo è costruito, come molte serie televisive, con l'intreccio narrativo di temi differenti. Tutto, però, ruota intorno al nodo centrale della così detta grande chiazza di immondizia del Pacifico, interpretata come una sorta di isola di lattine e altri rifiuti plastici di vario tipo. Una interpretazione grafica e narrativa che, come vedremo, è errata e fuorviante, che poi è solo uno dei problemi di Great Pacific.
La grande chiazza di immondizia del Pacifico
A partire dagli anni Cinquanta del XX secolo, le nazioni industrializzate e quelle in via di sviluppo hanno riversato in mare detriti e spazzatura di tipo plastico. I materiali plastici, a differenza di quelli organici, subiscono un processo detto di fotodegradazione, ovvero, a causa dell'azione della luce del sole, si disintegra
(...) in pezzi sempre più piccoli fino alle dimensioni dei polimeri che la compongono, la cui ulteriore biodegradazione è molto difficile.(1, 2)
Così scomposta, la plastica ottiene delle dimensioni e un comportamento idrostatico simile a quello del plancton, e viene così facilmente catturata e digerita dagli abitanti del mare, entrando nel ciclo alimentare. Il problema non sarebbe ingestibile, o comunque non di proporzioni eccessive se non fosse che, come mostrato in uno studio del NOAA di Robert Day, David Shaw e Steven Ignell(3), il gioco di correnti nell'Oceano Pacifico avrebbe dovuto creare un'area in cui tutta la plastica si sarebbe raccolta creando la ben nota grande chiazza di immondizia del Pacifico, nome proposto per la prima volta dall'oceanografo Curtis Ebbesmeyer(2). La sua estensione non è nota precisamente, e questo è dovuto a un fatto semplice ma apparentemente non così banale, visto che sovente si parla di isola: semplicemente non lo è. E' una chiazza dai contorni indistinti, un vortice di immondizia i cui bordi, almeno quelli visibili, dipendono dalle correnti e dalla quantità di immondizia presente (stimata in 3.5 milioni di tonnellate(1)). E' ovvio che, a causa della fotodegradazione non è possibile essere certi dei propri occhi, anche se l'osservazione diretta è sempre meglio di una simulazione. In questo senso senza Charles Moore(2) oggi della grande chiazza si ignorerebbero probabilmente non pochi dettagli. Moore che, tra l'altro, ha fondato l'Algalita Marine Research Foundation proprio per tenere sotto controllo questa particolare chiazza, ma anche le altre sparse negli altri oceani della Terra, e ha anche mostrato come il rapporto plastica-plancton dell'area sia di 6 a 1.
Nonostante questi numeri, la grande chiazza è un ecosistema che vibra di vita, in particolare microscopica, definito dai ricercatori plastisfera(4), costituita da innumerevoli specie di diversi organismi (dando un'occhiata all'articolo di Zettler e soci ho spannometricamente contato circa 150 specie differenti di batteri), di cui alcuni potenzialmente dannosi.
Il problema della grande chiazza e delle sue sorelle non è di facile risoluzione e, a mio parere, le azioni di sensibilizzazione, come l'installazione artistica di Maria Cristina Finucci, il Garbage Patch State patrocinato dall'UNESCO, non sono per nulla sufficienti al momento per invertire la tendenza. Il problema è, infatti, essenzialmente economico.
In questa fase storica, infatti, il maggiore contributo alla plastica oceanica proviene dai paesi in via di sviluppo, Cina e India in testa. Il motivo di questa alta produzione è in parte da ricercarsi nella popolazione costiera, ma soprattutto in un particolare problema strutturale interno di questi paesi. E' infatti emerso dall'esame che 16 dei primi 20 produttori di immondizia hanno sì avuto un grande e veloce sviluppo economico, affiancato però da una mancanza nello sviluppo e nella gestione delle infrastrutture dedicate alla spazzatura(5).
Quando si vanno a fare le proiezioni di crescita della spazzatura nel mondo, dato per buono un modello in cui i paesi si svilupperanno in maniera più o meno identica uno con l'altro, sarà molto difficile arrivare a un picco di produzione prima del 2100, mentre la quantità di plastica che verrà immessa negli oceani dovrebbe oscillare tra le 100 e le 250 milioni di tonnellate(5). Sono numeri spaventosi, cui non si può sperare di porre un limite con, per esempio, il controllo della popolazione. D'altra parte sarà difficile anche limitare la crescita economica dei paesi in via di sviluppo (posizione che non viene nemmeno presa in considerazione), quindi, nell'attesa che tali paesi, oggi Cina e India, domani i paesi costieri africani, sviluppino dei sistemi di smaltimento dei rifiuti efficienti, i paesi industrializzati
(...) possono agire immediatamente riducendo gli sprechi e riducendo la crescita della plastica mono-uso.(5)
Onestamente la soluzione più semplice e logica che ridurrebbe drasticamente la previsione dei ricercatori sarebbe quella di fornire supporto tecnico ai paesi in via di sviluppo, ma questa soluzione, come potete immaginare, andrebbe a scontrarsi con l'economia di tipo concorrenziale imposta dai paesi industrializzati per cui gli altri non sono visti come potenziali collaboratori, ma come affamati concorrenti.
Un simbolo del consumismo
All'interno di questo contesto ecologico ed economico Joe Harris trasforma la grande chiazza in un simbolo della società industrializzata consumistica e irresponsabile, che inquina senza pensare minimamente alle conseguenze. L'idea è quella di dare una scossa alle coscienze attraverso il protagonista, Chas Worthington, rampollo ed erede di una ricca famiglia statunitense, descritta come una delle principali responsabili del disastro ecologico che macchia letteralmente i nostri oceani. Il giovane ereditiero, infatti, decide di terraformare, utilizzando un progetto fantascientifico realizzato dai suoi laboratori, la grande chiazza, e per fare ciò la elegge a stato sovrano. Per ottenere questo obiettivo, la grande chiazza viene rappresentata da harris e Morazzo come una vera e propria isola, con una sua consistenza e fisicità, che solo nelle rare inquadrature dal basso si perde, ottenendo una trasparenza molto più realistica dell'agglomerato plastico descritto in Great Pacific. E', però, abbastanza chiaro che questa descrizione è da prendersi come licenza narrativa: non si potrebbe raccontare quel genere di storia che Harris ha in testa utilizzando la grande chiazza vera e propria, che quindi deve necessariamente diventare un'isola.
Ad ogni buon conto, la possibilità che una porzione di oceano possa venire in qualche modo terraformata sembra interessare molto più il governo degli Stati Uniti che non la famiglia di Chas, fornendo alla serie un forte contesto politico. E', infatti, evidente il confronto tra delle istituzioni al tempo stesso corrotte e corruttrici e il giovane Chas, rappresentato in una delle copertine come un eroe americano bardato dalla bandiera a stelle e strisce, quindi metaforicamente difensore di quei valori fondativi che il governo ha dimenticato. Letto in questo modo, il contesto ecologico all'interno di Great Pacific perde di interesse, diventa sostanzialmente marginale, mentre quello politico si pone all'attenzione del lettore. Anche questo, però, risulterà parzialmente monco.
Isole libertarie
Il principale interesse che mi ha spinto all'acquisto di Great Pacific è stato, infatti, non tanto l'aspetto ecologico (che invece ho successivamente approfondito) bensì il contesto politico: la proclamazione di un'isola di rifiuti come stato indipendente. Uno dei principali sogni libertari è, infatti, quello di creare un'isola autosufficiente e abbastanza lontana da qualunque stato per poter costruire una società anarchica dove le esigenze dell'individuo non solo vengono rispettate, ma nemmeno calpestate in nome di una solo apparente solidarietà sociale. Il vero problema nel momento in cui si accosta la chiazza di immondizia di Chas al sogno delle isole libertarie è l'accostamento nazionalista del protagonista con gli Stati Uniti, e non c'è nulla di meno nazionalista di un libertario.
Gli aspetti politici in Great Pacific non si limitano solo a questo (debole) spunto libertario, ma anche alle influenze da guerra fredda presenti nel primo volume: sull'isola di immondizia, infatti, è presente anche un gruppo di pirati e mercenari alla ricerca di un aereo russo contente materiale radioattivo, da recuperare e rivendere al migliore offerente. Se già tutto ciò vi sembra complicato, Harris vi complica ulteriormente la trama introducendo anche una sorta di autoctoni per la grande chiazza con una struttura sociale basata su una sorta di mistica religione non meglio identificata.
Il tutto viene raccontato con un ritmo senza respiro, scene d'azione abbastanza veloci intercalate da flashback di Chas che si confronta con la sua ingombrante famiglia, mentre non solo le situazioni e le trame risultano tutte appena abbozzate, ma persino i personaggi subiscono un trattamento del genere, Chas incluso, anche se è uno dei personaggi più approfonditi di tutto il volume. Esempio di questa pessima gestione del personaggio è proprio la scena iniziale, che è anche un sunto dell'incompiutezza del volume: Chas si ritrova a partecipare a una azione di caccia in Africa. Alla fine di questa, nonostante la disavventura per un occidentale alla sua prima caccia, i locali decidono di donare la criniera del leone, diventato per l'occasione da predatore preda, a Chas, che, con l'idea di voler rispettare le loro tradizioni, rifiuta. L'intera scena, anche grazie all'ultima vignetta di Morazzo, da la sensazione dell'ennesimo occidentale che, più che rispettare una tradizione accettandola, se ne distacca, quasi sentendosi superiore, rifiutando un dono fatto con il massimo rispetto e umiltà.
Ad ogni buon conto, in questo guazzabuglio non è, quindi, così strano che il personaggio meglio riuscito, sia come scrittura sia come descrizione grafica, sia il polipo gigante femmina che stringe una singolare amicizia con il giovane erede dei Warthington: la sua morte è, infatti, uno dei momenti più toccanti e meglio riusciti di tutto questo primo volume.
Lo stesso Morazzo ai disegni, forse influenzato dalla molta carne al fuoco che andava raccontata, si propone al lettore con un tratto certamente pulito, ma ancora un po' legnoso. Le potenzialità, però, ci sono tutte, come mostrato in alcune scene particolarmente spettacolari, soprattutto quelle con la piovra di cui sopra.

(1) Pacific trash vortex: it.wiki
(2) Charles Moore, Great Pacific Garbage Patch (archive.org)
(3) Quantitative distribution and characteristics of neustonic plastic in the North Pacific Ocean, 1985-88 (pdf)
(4) Zettler E.R., Mincer T.J. & Amaral-Zettler L.A. (2013). Life in the “Plastisphere”: Microbial Communities on Plastic Marine Debris, Environmental Science , 47 (13) 7137-7146. DOI: http://dx.doi.org/10.1021/es401288x (pdf)
(5) Jambeck J.R., C. Wilcox, T. R. Siegler, M. Perryman, A. Andrady, R. Narayan & K. L. Law (2015). Plastic waste inputs from land into the ocean, Science, 347 (6223) 768-771. DOI: http://dx.doi.org/10.1126/science.1260352 (pdf)

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