sabato 9 maggio 2015

Corpicino

Se osserviamo il libro dal punto di vista distaccato di Renato Giraldi, l'identità dell'assassino del piccolo Marcellino Diotisalvi è assolutamente irrilevante. Non è tanto (o solo) una questione rituale che, in un modo o nell'altro, ci trasciniamo e rinnoviamo dai tempi ancestrali dei nostri antenati. L'attenzione di Tuon Pettinato in Corpicino è infatti rivolta alla stampa e su come essa interagisce con le persone coinvolte: familiari, presunti colpevoli, conoscenti, compaesani, semplici passanti. Tutti, persino gli esperti, sembrano avere qualcosa da nascondere, ma anche un forte desiderio di raggiungere una qual certa forma di notorietà.
Pettinato, infatti, grazie al personaggio del pluriomicida Mangusta, afferma un concetto molto semplice:
La vostra presenza deforma gli intervistati. Piantate loro in faccia i riflettori. Li fate sentire speciali.
In realtà ciò che conta non è la verità, o il racconto della verità, ma trovare un modo per vendere quel racconto. Anche a costo di trasformarlo in qualcosa di diverso.
La verità allora su perde, si diluisce all'interno del racconto. L'osservatore influenza l'osservato, ma non se ne rende conto, o non se ne cura, adattando invece i propri comportamenti a quell'influenza: alla fine ciò che è realmente importange è il gico, lo spettacolo, la fabula, e soprattutto essere uno dei protagonisti.
Ancora una volta Pettinato si rivela un autore al tempo stesso leggero e profondo, che, per riprendere quanto espresso dal bimbo fango nell'introduzione, anche quando riesce a strappare una risata, questa un po' muore in gola, perché lascia quel gusto dolce-amaro che producono i neuroni quando pensano. Non c'è pancia, non c'è malinconia, non c'è Storia, ma solo noi stessi con il nostro mondo.

P.S.: nota di merito per la confezione editoriale del volume, un oggetto molto ben curato che quasi dispiace mettere in mezzo agli altri fumetti, che poi si deprimono per l'invidia!

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