Queste difficoltà, però, una volta comprese costituiscono punti di partenza utili per tracciare delle linee di indagine, avanzare ipotesi, immaginare possibili strumenti da costruire. La storia del nostro universo inizia con il Big Bang, o meglio con la teoria che ipotizza che tutta la materia contenuta nell'universo fosse concentrata in un unico punto, per poi espandersi successivamente a seguito di una perturbazione all’interno di questo plasma primordiale altamente denso e concentrato.
Non sto qui a ripetere la storia del modello, che parte con Georges Lemaître e le osservazioni di Edwin Hubble sull'espansione dell'universo. Il modello che emerse dalle discussioni accademiche era abbastanza semplice (almeno da spiegare): se l'universo si espande, deve esserci stato indietro nel tempo un istante iniziale quando tutta la materia era concentrata in un unico punto dello spaziotempo. Poi l'espansione.
Da qui, però, la necessità di introdurre un processo di nucleosintesi in grado di spiegare la presenza degli atomi della tavola periodica. A rispondere a ciò ci pensa l'articolo $\alpha \beta \gamma$(1), così denominato dai suoi tre autori Ralph Alpher, Hans Bethe e George Gamow, in rigoroso ordine di firma.
La teoria di Alpher e Gamow è ancora oggi la base più importante su cui poggia la teoria della nucleosintesi del Big Bang: a quel primo articolo ne seguirono altri, alcuni a firma dei singoli autori, che, ad esmpio, costruirono un affresco in grado di spiegare molto bene l'abbondanza degli isotopi di idrogeno ed elio(2).
La nota curiosa nella vicenda è la presenza di Bethe tra i firmatari dell'articolo: inserito su richiesta di Gamow per supportare il gioco di parole con le letere greche $\alpha$ per Alpher, $\beta$ per Bethe e $\gamma$ per Gamow, non fu mai completamente perdonato da Alpher, all'epoca dottorando di Gamow e che probabilmente per questo concesse (rispetto all'usuale pratica dei baroni) al suo allievo di scrivere e firmare da solo alcuni articoli sulla nucleosintesi.
Lasciando da parte le curiosità sugli inizi dela teoria, l'indagine sull'universo si fa via via più serrata, sia sperimentalmente sia teoricamente, aggiungendo ulteriori tasselli, come ad esempio il modello inflazionario. Proposto da Alan Guth agli inizi degli anni Ottanta del XX secolo(3), il modello suggerisce che all'incirca $10^{-36}$ secondi dopo il Big Bang lo spaziotempo subì un'espansione esponenziale, che si concluse tra i $10^{-33}$ e i $10^{-32}$ secondi dopo la singolarità iniziale. Durante tale periodo lo spaziotempo si sarebbe espanso a una velocità superiore a quella della luce, senza però alcuna violazione della relatività di Albert Einstein, visto che la materia, ancorata allo spaziotempo stesso, non ha superato il limte imposta dalla velocità della luce. Come scritto in altri post (vedi, ad esempio, la serie de Le grandi domande della vita), all'interno della descrizione teorica della realtà manca ancora l'unificazione della gravità alle altre tre forze fondamentali. Questa unificazione si suppone passi attraverso la gravità quantistica, e così molti teorici si sono messi al lavoro sulla questione. In particolare dal lavoro di Gerard t'Hooft, Leonard Suskind e Juan Maldacena(4) è emersa l'ipotesi di un principio olografico per l'universo, sebbene le sue origini si potrebbero in parte ritrovare nelle ipotesi sul cervello olografico di Karl Pribram e David Bohm.
Il fatto che, secondo i modelli olografici (come per la teoria delle stringhe, al cui contesto il principio olografico appartiene, anche in questo caso sono stati generati un numero disparato di modelli), l'universo è (simile a) un ologramma non implica che esso sia finto (come suggerirebbe il senso comune relativamente agli ologrammi), ma semplicemente che i gradi di libertà necessari per descriverlo sono minori rispetto a quelli che sarebbero necessari per un universo tridimensionale.
Per chiarire rivediamo ciò che scrive Susskind a proposito:
(...) la combinazione di meccanica quantistica e gravità richiede che il mondo tridimensionale sia una immagine di dati che possono essere conservati in una proiezione bidimensionale, come una immagine olografica (...) abbastanza ricca da descrivere tutti i fenomeni tridimensionali.(5)E' scontato che il modo di vedere l'universo come ologramma che viene dato in giro è leggermente differente rispetto a quello suggerito dalla matematica. Il punto essenziale è che non abbiamo bisogno di un modello completamente quadridimensionale per descrivere il nostro universo. D'altra parte, sempre riprendendo Susskind, la materia che osserviamo si trova sulla superficie tridimensionale di una varietà quadridimensionale, ovvero noi siamo un po' come le formiche che passeggiano sulla buccia di una mela, che nel frattempo si espande. La buccia è imersa in uno spazio tridimensionale, ma poiché essa è bidimensionale, non deve necesariamente essere descritta da tutti i parametri necessari per descrivere la mela nella sua totalità.
Ora, a quanto pare, un gruppo di ricerccatori composto da Niayesh Afshordi, Claudio Corianò, Luigi Delle Rose, Elizabeth Gould e Kostas Skenderis ha testato alcuni modelli olografici non-geometrici confrontandoli con i dati sperimentali(6), rilevando la loro capacità di essere aderenti (entro gli errori) alle osservazioni sperimentali legate all'universo primordiale.
Se ciò dovesse trovare ulteriore conferma, saremmo di fronte a un primo passo verso la grande unificazione, visto che avremmo per le mani una quantizzazione della gravità particolarmente efficace.
- Alpher, R., Bethe, H., & Gamow, G. (1948). The Origin of Chemical Elements Physical Review, 73 (7), 803-804 DOI: 10.1103/PhysRev.73.803 ↩
- Una raccolta di articoli tra cui queli del 1948 di Alpher e Gamow ↩
- Guth, A. (1981). Inflationary universe: A possible solution to the horizon and flatness problems Physical Review D, 23 (2), 347-356 DOI: 10.1103/PhysRevD.23.347 (pdf) ↩
- Maldacena, J. (1998). The large $N$ limit of superconformal field theories and supergravity Advances in Theoretical and Mathematical Physics, 2 (2), 231-252 DOI: 10.4310/atmp.1998.v2.n2.a1 (arXiv) ↩
- Susskind, L. (1995). The world as a hologram Journal of Mathematical Physics, 36 (11), 6377-6396 DOI: 10.1063/1.531249 (arXiv) ↩
- Afshordi, N., Corianò, C., Delle Rose, L., Gould, E., & Skenderis, K. (2017). From Planck Data to Planck Era: Observational Tests of Holographic Cosmology Physical Review Letters, 118 (4) DOI: 10.1103/PhysRevLett.118.041301 (arXiv) ↩
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