venerdì 9 marzo 2018

I rompicapi di Alice: Contare i granelli di sabbia

Morte di Archimede di Francesco Bonvi
Nessuno potrà mai cacciarci dal paradiso che Cantor ha creato per noi
Così commentava David Hilbert la scoperta dei numeri transfiniti e la formalizzazione della teoria degli insiemi frutto del lavoro immane di Georg Cantor.
La definizione di paradiso non è nemmeno così casuale se pensiamo che con le sue scoperte Cantor permise alla matematica di avvicinarsi e contare veramente gli infiniti, che erano tradizionalmente riservati alle divinità o a coloro che erano in grado di intercedere tra il divino e l’umano, come ad esempio gli oracoli dell’Antica Grecia.
Ad esempio la Pizia risponde ai messaggeri di Creso giunti a lei per conoscere la durata delle sue sventure con queste parole(1):
Io conosco il numero dei grani di sabbia
D’altra parte il Siracide si apre così:
La sabbia del mare, le gocce della pioggia e i giorni del mondo chi potrà contarli? L’altezza del cielo, l’estensione della terra, la profondità dell’abisso chi potrà esplorarle?
(…)
A chi fu rivelata la radice della sapienza? Chi conosce i suoi disegni? Uno solo è sapiente, molto terribile, seduto sopra il trono.(2)
Possiamo considerare queste delle vere e proprie parole di sfida per l’uomo di ingegno, in particolare quando quest’uomo si chiama Archimede. Il grande matematico e fisico dell’antichità, infatti, apre l’Arenarius così(1):
[Vi sono] alcuni, o re Gelone, [che] stimano il numero [dei grani] d’arena essere indeterminabile nel numero, [e] non mi riferisco [già] soltanto a [quei grani d’arena che stanno] attorno a Siracusa o nel resto della Sicilia, ma anche a quelli [diffusi] per ogni parte della Terra, abitata o inabitata che questa sia. Vi sono poi altri che, pur non considerando questo numero infinito, credono tuttavia [che sia] impossibile definire un numero [che esprima una] grandezza tale da superare [quella] quantità.
(...)
Con dimostrazioni geometriche che potrai logicamente seguire e [servendomi] dei numeri definiti ed esposti negli scritti [inviati] a Zeuxippo, io proverò a mostrarti che alcuni [numeri] non solo superano il numero [dei grani] d’arena per un volume [supposto] eguale quello della Terra [e di questi] riempita come appunto s’è detto, ma anche di quelli per un volume eguale all’[intero] cosmo.
E’ evidente come la sfida di Archimede non sembri dissimile da quella che affrontò quasi due milleni dopo Cantor. Prima, però, di approfondire i ragionamenti di Archimede facciamo un passo indietro verso il modello cosmologico pitagorico.
Il sistema astronomico pitagorico
Archimede nel suo trattato prende le mosse dal modello eliocentrico di Aristarco, proposto per la prima volta dai pitagorici Filolao ed Eraclide pontico e a Siracusa da Iceta ed Ecfanto(1).
Il modello di Filolao però, non è esattamente eliocentrico: infatti non solo la Terra e i pianeti, ma anche il Sole, ruotano tutti insieme lungo orbite circolari intorno a un centro detto Centro di fuoco.
Giovani Stobeo così descrive il modello del pitagorico:
Filolao afferma che al centro c’è il fuoco ... e ancora fuoco nel punto più alto e intorno a ogni cosa. Secondo natura il mezzo è il primo, e intorno a esso ballano dieci corpi divini: il cielo, i pianeti, poi il sole, quindi la luna, poi la terra, poi la controterra, e dopo tutti loro il fuoco che tiene la posizione al centro. La parte più alta dell’intorno, dove gli elementi si trovano nella loro purezza, egli la chiama Olimpo; le regioni sotto l’orbita dell’Olimpo, dove si trovano i cinque pianeti con il sole e la luna, egli chiama la mondo; la parte sotto di essi, essendo sotto la luna e intorno alla terra, in cui si trovano generazione e cambiamento, egli la chiama il cielo.(3)
A modificare questa visione ci pensa proprio Aristarco, il cui lavoro, andato perduto, viene riferito da Archimede proprio nell’Arenarius, dove si trovano riferimenti anche al modello geocentrico:
Suppone questi infatti che le stelle fisse ed il Sole siano immobili, che la Terra ruoti descrivendo una circonferenza di cui il centro è il Sole, che la sfera delle stelle fisse, il cui centro sia pure posto nel Sole, abbia tale grandezza che il cerchio [descritto], lungo il quale egli suppone che la Terra rivolga attorno al Sole, abbia rispetto alla distanza dalle stelle fisse lo stesso rapporto che il centro della sfera ha rispetto alla sua superficie.(1)
Archimede, nel passo successivo, rigetta no tanto l’eliocentrismo di Aristarco, quanto il fatto che l’astronomo tratti la Terra e i corpi celesti come puntiformi: rigettando quest’unico elemento, Archimede può compiere tutte le proporzioni necessarie per calcolare il numero di granelli di sabbia necessari per riempire l’universo.
L’universo è un sacco di sabbia
Le difficoltà prima nella concezione dei numeri infinitamente piccoli e poi in quella dei numeri infinitamente grandi derivavano dal sistema di numerazione in uso nell’Antica Grecia (e poi nell’Antica Roma). Tale difficoltà viene superata da Archimede in maniera brillante adottando le miriadi. La definizione della miriade in termini moderni è $10^4 = 10000$.
A questo punto il matematico costruisce una serie di ottadi:
  • la prima ottade va da 1 a $10^{8}$;
  • la seconda ottade va da $10^{8}$ a $10^{8} \cdot 10^{8} = 10^{16}$;
  • e così via fino alla costruzione dell’ottade corrispondente alla miriade di miriadi, ovvero quella il cui estremo superiore è $10^{8 \cdot 10^{16}}$
Interessante osservare come alla fine di quest’opera di definizione/scoperta Archimede ponga le basi per il calcolo esponenziale, dimostrando un teorema fondamentale per questa branca della matematica e che in termini moderni equivale a dimostrare che $10^n \cdot 10^m = 10^{n+m}$. (1, 4)
A questo punto Archimede è in grado di calcolare il numero di granelli di sabbia nell’universo e, soprattutto, dimostrare che la mente umana, grazie alla matematica, è in grado di concepire e afferrare numeri ritenuti di portata divina.
Per eseguire il calcolo, Archimede parte dal seme di papavero, stimato in $1/40$ di dito e che può essere riempito con 10000 granelli di sabbia. Da qui arriva alla ragguardevole cifra di $10^{63}$ granelli di sabbia necessari per riempire tutto il cosmo!
Però la sottigliezza per cui oggi possiamo dire che questo trattato è l’ennesima dimostrazione della vicinanza di Archimede ai concetti di Cantor (e più in generale alla matematica moderna, pur non possedendone il formalismo) si trova nella frase che conclude la parte del trattato in cui il matematico definisce i suoi nuovi numeri, le ottadi:

È chiaro che così sarà per quante ottadi si considerino(1)

  1. Archimede - Arenario, traduzione con commento di Heinrich F. Fleck (pdf)
  2. via lachiesa.it
  3. da en.wiki
  4. via akille1

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