giovedì 7 marzo 2019

Alita, l'angelo della battaglia cinematografica

Alita è stato il primo manga che ho letto, e direi che non potevo iniziare con un'opera migliore il mio rapporto con il fumetto giapponese. Era il 1997 e avevo acquistato l'edizione della Panini(1): era da tempo che desideravo accostarmi a questo genere di fumetto, che peraltro presentava anche una implicita difficoltà nel senso di lettura. Se da un lato mi risultò abbastanza veloce e naturale adattarmi (e devo dire che all'inizio mi era difficile tornare al senso di lettura occidentale, cosa che oggi è di molto ridotta se non quasi scomparsa), dall'altro venni letteralmente colpito dalla storia postapocalittica e fortemente cyberpunk e dalla struttura narrativa: Yukito Kishiro, infatti, inseriva spesso degli inserti di spiegazioni tecniche delle armi e delle armature che rendevano in qualche modo ancora più "immersiva" la lettura dei vari episodi. Inoltre i personaggi tormentati, la ricerca di Alita della sua umanità, i disegni dettagliati senza alcuna vera cartoonizzazione delle figure (a parte gli ovvi stilemi del genere manga) mi colpirono positivamente, rendendo di fatto Alita una pietra di paragone con qualunque altro manga che mi capitò poi di scegliere.
Ora, dopo anni di attesa, il personaggio di Kishiro arriva finalmente al cinema in una pellicola girata da Robert Rodriguez, il regista di Sin City, e con la sceneggiatura (e produzione) di James Cameron. Ovviamente le critiche all'estetica, in particolare alla scelta di dotare l'attrice protagonista, Rosa Salazar, con degli occhioni sistemati in post-produzione, mi erano noti, ma avevo già deciso di mettere da parte questo dettaglio per gustarmi nel modo migliore possibile il film. Il problema, almeno dall'ottica del lettore di Alita, è la densità narrativa. Stiamo indubbiamente parlando di un manga ricco d'azione, ma è evidente nel film l'intenzione di Rodriguez e Cameron di mettere sin da subito più informazioni possibili, come le origini marziane di Alita e la sua nascita risalente a molti secoli prima. In pratica i due autori comprimono e mescolano insieme i primi due volumi dell'edizione statunitense di Alita, corrispondenti all'incirca ai primi 4 volumetti della prima edizione Panini, insieme con alcuni elementi dell'anime del 1993, come ad esempio il personaggio di Chiren. La stessa presenza di Desty Nova, il grande avversario di Alita che si palesa nel corso dei tankobon successivi, diventa nel film molto più evidente e invasiva all'interno della Città di ferro, che sostituisce l'originale Città discarica. Inoltre viene subito introdotto il Motor Ball, mentre nel finale scompare qualunque riferimento alla follia che colpisce Hugo. Questi, però, alla fine sono dei semplici dettagli di aderenza alla storia, visto che il film risulta in ogni caso autoconsistente, fedele quanto meno ai caratteri dei protagonisti che dal manga vengono riportati su pellicola e gestito in ogni caso con un buon ritmo. Il finale aperto promette di portarci nelle magiche e adrenaliniche atmosfere del Motor Ball nel più che probabile seguito, mentre i flashback, che in qualche modo si staccano anche visivamente dal resto del film con una fotografia molto più da videogioco rispetto al resto della pellicola, suggerirebbero che il progetto Alita di Cameron e Rodriguez potrebbe essere più complesso e in qualche modo ancora più compresso di quanto visto in questo primo film.
Nel complesso un film godibile, ma che nel confronto con il manga è mancato in qualcosa, che non è tanto l'aderenza alla storia o la scelta estetica, ma in una qual certa piattezza di molti dei personaggi che gravitano intorno ad Alita: i loro tormenti scompaiono, persino quelli del cyborg che si confronta con l'angelo della battaglia, mentre per contro Ido viene approfondito forse eccessivamente. Probabile la scelta di puntare tutto sull'estetica e la cinematica del Motor Ball nel secondo film, lasciando probabilmente qualunque considerazione filosofica al probabile terzo capitolo.


  1. La prima pubblicazione italiana di Alita era di qualche anno prima ad opera della Granata Press sulle pagine della rivista Zero, ma non venne portata a conclusione a causa del fallimento dell'editore. 

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