giovedì 20 febbraio 2020

Luna Propaganda

Nell'ultimo dei tre giorni disponibili, il 17, 18 e 19 febbraio, sono riuscito ad andare al cinema per vedere Lunar City, docufilm di Alessandra Bonavina. Quello che segue, però, è il parere emerso non semplicemente dalla visione del film, ma anche dalla discussione successiva fuori dal cinema con chi mi ha accompagnato per vederlo.
Avevo proposto la visione a mia sorella e a una nostra amica, Alberta, entrambe statistiche e, dunque, non addentro alla materia. Il giudizio tra le due è stato di un film noioso, cui Alberta ha aggiunto un parere ancora più estremo: un gigantesco spot pubblicitario senza alcun vero contributo informativo, a parte i primi dieci minuti. E dalla mia discussione successiva con Alberta, alla fine non posso sentirmi completamente in disaccordo con lei. Vediamo quali sono i punti a supporto di quella che può essere considerata una vera e propria propaganda per quelli che di fatto sono stati i committenti del film, ASI e NASA.
Il docufilm si concentra sulla nuova missione lunare guidata dalla NASA i cui limiti temporali sono stati spostati da Donald Trump fino al 2024, anticipando il nuovo sbarco sulla luna di quattro anni. Il progetto prevede la costruzione di una stazione spaziale orbitale, anch'essa modulare e in collaborazione con altre agenzie spaziali, prima fra tutte l'ASI, e di una successiva base lunare, evocata dal titolo del film, Lunar City. Di questa città lunare, però, si sa ben poco se non che la sua "prima pietra" dovrebbe essere il modulo di allunaggio, la capsula Orion: il documentario non mostra alcun rendering o progetto su questa base lunare permanente, né alcun confronto con il passato, come invece si vede all'inizio del film, che inizia con una cronologia serrata di alcune delle tappe più importanti dell'esplorazione del Sistema Solare da parte degli occidentali (USA soprattutto ed Europa).
Se si può tranquillamente digerire la dimenticanza del contributo sovietico all'esplorazione spaziale, diventa già più difficile non notare che l'attuale amministratore della NASA, Jim Bridenstine, trumpiano di ferro, non sembra mostrare alcun problema al fatto che Trump abbia imposto alla NASA un anticipo del programma di ben 4 anni, che evidentemente ha avuto come conseguenza il posticipo (se non l'abbandono) di alcuni dei programmi previsti da qui fino al 2024. Passiamo, però, oltre anche a questa nota politica e uno dei punti che colpisce di più del film, in particolare della parte iniziale, è la presenza di astronauti e tecnici (architetti e ingegneri) che ci accompagnano, grazie a stampe 3d, realtà virtuali e modelli in scala 1:1, all'interno dei progetti della nuova stazione spaziale orbitale, la Gateaway. Il loro entusiasmo è palpabile e in alcuni punti addirittura contagioso, ma sono veramente pochi quelli che vengono intervistati nel corso del documentario. Il loro posto viene ben presto preso dai CEO e ruoli similari, molti dei quali comunicano con un entusiasmo prossimo allo zero o si adagiano in veri e propri proclami che fanno intravedere le difficoltà della sfida, senza far comprendere sul serio come questa sfida venga affrontata.
Ne ho scritto in varie occasioni, dopo il ritorno dalla visita alla Altec e alla Thales, e quello che ho appreso, sul momento della visione, mi ha permesso di completare questa carenza informativa, ma non di comprendere appieno la sua mancanza, cosa che invece è stata notata proprio da Alberta, che ovviamente esprimeva un concetto molto semplice: mi sarebbe piaciuto ascoltare queste cose nel documentario e non uscita dal cinema dalla tua voce.
Per cui la più che ovvia conclusione è che Lunar City ha sbagliato quasi completamente in quello che doveva essere il suo obiettivo principale: comunicare ai non esperti la sfida che i ricercatori devono affrontare per riportare l'uomo sulla Luna e questa volta in maniera più stabile e duratura, come primo avamposto per proseguire nell'esplorazione umana dello spazio, che dovrebbe portarti come tappa successiva su Marte.
Piccola curiosità marziana: a un certo punto della pellicola, nella parte ambientata alla Thales, si vede la costruzione di un oggetto che, in realtà, non andrà sulla Gateaway, ma è destinato ad andare su Marte con la nuova missione europea, la ExoMars 2020.

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