lunedì 20 aprile 2020

Il contagio che distrusse la civiltà

L'uomo e la scienza si erano evoluti, col tempo, ma anche virus e batteri avevano seguito la loro evoluzione, e adesso gli ultimi ritrovati nel campo degli antibiotici si rivelavano inefficaci contro generazioni di virus che, sopravvissuti, avevano sviluppato una immunità all'attacco delle medicine. I medici avevano riconosciuto da tempo che un virus modificato da radioattività ambientale, o dal naturale bombardamento di raggi cosmici, poteva compiere passi da gigante nella scala dell'evoluzione, e raggiungere uno stadio che rendeva inutili tutti i tentativi della scienza umana. Il virus di Hueste apparteneva probabilmente a questo tipo.
L'epidemia era cominciata in Cina pochi mesi prima. Nessuno sarebbe mai riuscito a scoprire come si era formato il virus, al quale il dottor Ludwing Hueste aveva dato il nome ma non una spiegazione. In Cina le vittime della nuova malattia erano state milioni.
Il resto del mondo, dapprima scettico sulle notizie provenienti dall'Oriente, aveva poi accettato il fatto di quella nuova epidemia di origine orientale considerandola con preoccupazione, ma non con terrore, una specie di colera, o di asiatica. L'OIRV del resto aveva fatto di tutto per evitare che si spargesse il panico, e sulla malattia al pubblico arrivavano soltanto notizie precedentemente censurate, addomesticate ed edulcorate.
Questa, in breve, è la trama de Il grande contagio dello scrittore britannico Charles Eric Maine, uno degli pseudonimi utilizzati da David McIlwain, ed è tremendamente simile al romanzo di fantascienza che stiamo vivendo in questi giorni. Che poi è il motivo per cui l'ho cercato e letto.
Protagonisti sono Pauline Brant e il marito Clive. La prima è una scienziata dell'OIRV, l'Organizzazione Internazionale Ricerche Virus; il secondo è un giornalista. La storia dei due, un matrimonio giunto al termine, si intreccia con il contagio causato da un nuovo virus asiatico la cui letalità è devastante: si calcola, infatti, che alla fine la popolazione mondiale risulterà decimata della metà circa.
A quel punto, mentre i ricercatori del campo sono impegnati nella ricerca di un anti-virus, parola con la quale McIlwain intende non solo un vaccino, ma anche una cura a una malattia che ha, però, un decorso repentino (uccide il malato in poche ore dopo l'insorgere del coma), la politica è impegnata a mantenere il controllo dell'informazione tramite la censura. Per non diffondere il panico, si dice. E soprattutto per non far trapelare la notizia che un po' in tutto il mondo sono stati costruiti dei rifugi sotterranei per il governo, buona parte dei dipendenti pubblici e tutti coloro che sono ritenuti essenziali per il funzionamento dello stato.
E, in questo senso, ancora una volta McIlwain sembra cogliere perfettamente nel segno, visto che ancora una volta l'arrivo di un contagio a livello mondiale spinge i governi a controllare più o meno direttamente i mezzi di informazione, mentre le attività industriali vengono mantenute aperte in funzione di criteri non proprio trasparenti e i cittadini non vengono visitati e diagnosticati tutti allo stesso modo, ma in funzione esattamente del ruolo che rivestono.
McIlwain, allora, descrive anche l'esatta conseguenza di questo stato di cose: una rivolta sociale da parte della popolazione, che cerca di stanare i politici dai loro rifugi e di prendere il controllo della situazione, sia in Gran Bretagna, sia nel resto del mondo. Ovviamente la reazione del governo non si fa attendere, forte anche dell'anti-virus trovato dagli scienziati, a sua volta una sorta di virus che ha come effetto collaterale quello di fiaccare fino alla morte i sopravvissuti al virus.
In pratica Il grande contagio è in parte un romanzo distopico, in parte un romanzo apocalittico: Maine, alla fine, si ferma giusto un attimo prima di raccontare al lettore come si conclude questa guerra civile umana, lasciando alla sensibilità del lettore parteggiare per la salvezza o l'autodistruzione. Personalmente ho la sensazione di avere capito quale sia l'opzione che McIlwain avrebbe scelto.
P.S.: in effetti questa è stata una rilettura, ma in questa occasione, tra scrivere una nuova recensione e aggiornare quella vecchia, ho scelto la prima opzione, vista la situazione attuale.

2 commenti:

  1. Gli antibiotici combattono i batteri, però, non i virus. Da sempre, non solo ora.
    Contro i virus sono sempre stati inutili.
    McIlwain avrebbe dovuto studiare meglio.

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    1. E' un dettaglio che durante la lettura mi era sfuggito, in effetti, ma adesso che mi ci fai riflettere, hai ragione...
      Questo non inficia eccessivamente la qualità del libro, a mio giudizio: d'altra è e resta una buona lettura su cui riflettere, anche alla luce di quello che stiamo vivendo.

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