venerdì 18 febbraio 2022

Ritorno alla Terra

Il secondo album degli Ayreon, uscito un anno dopo The final experiment, a parte per lo stile musicale e la presenza di numerose guest star, è un unicum nella produzione del gruppo di Arjen Anthony Lucassen, non raccontando alcuna storia con le canzoni scritte: in termini più diretti, è l'unico a non essere un concept album nella discografia degli Ayreon. Sono però presenti alcuni dei temi cari a Lucassen, come la costruzione di una realtà virtuale dentro cui perdersi in Computer Eyes, le commistioni con il fantasy come in Beyond the Last Horizon, o l'esplorazione spaziale, come in Back on Planet Earth.
Settima e penultima traccia della versione originale dell'album, Back on Planet Earth racconta del ritorno sulla Terra di una missione spaziale e si apre proprio con lo scambio di comunicazioni tra il centro di controllo di Houston e l'Eagle nel momento dell'allunaggio. Lo storico evento sarebbe stato ufficialmente omaggiato da Lucassen in One Small Step, una delle tracce di Universal Migrator, ma qui costituisce semplicemente un elemento di colore, un inizio che deve fornire all'ascoltatore il contesto in cui ci troviamo: una navicella che sta rientrando sulla Terra.
20220218-kerbal-ritorno-terra
Il problema del rientro dopo una missione spaziale non è per nulla banale. I problemi da risolvere sono essenzialmente due: non bruciare all'ingresso dell'atmosfera e non schiantarsi sulla superficie.
Il primo problema può essere risolto con la combinazione di due elementi: un opportuno angolo di ingresso, che permetta un riscaldamento graduale e non estremo della parte esterna del pod, e uno scudo termico in grado di resistere allo sbalzo di temperatura cui è soggetta la navicella al rientro.
Superato questo primo momento critico, l'altro momento delicato è quello dell'atterraggio vero e proprio. Questo può essere rallentato con degli eventuali piccoli razzi laterali, nel caso siano stati previsti e soprattutto non si siano persi all'ingresso con l'atmosfera, ma soprattutto con dei paracadute, che invece non è possibile utilizzare per l'arrivo sulla Luna. In questo caso anche il tempismo nell'apertura risulta essenziale. I paracadute non possono essere aperti troppo presto, per non correre il rischio che si brucino a causa dell'attrito con l'atmosfera, né troppo tardi, quando non hanno il tempo di rallentare il pod.
A questo proposito una delle cose curiose della comunicazione con cui si apre Back on Planet Earth è che se trasformiamo la quota di 4200, l'altezza dalla superficie lunare, da miglia a chilometri otteniamo qualcosa come poco più di 6700 chilometri, che possiamo considerare come una quota limite (ma proprio limite, almeno se consideriamo la mia esperienza su Kerbal!) per l'apertura del paracadute in caso di ammaraggio. Se il terreno è accidentato, invece, andrebbe considerata una quota maggiore, anche a costo di far annoiare gli astronauti!

2 commenti:

  1. A proposito dell'atterraggio, un ricordo di molti anni fa. Mio papà aveva preso una delle prime calcolatrici programmabili HP (parliamo di una calcolatrice da tavolo con visore a fosfori rossi, niente grafica in assoluto). Nel manuale HP che insegnava i rudimenti di programmazione, c'era un gioco che simulava l'atterraggio sulla Luna (mi pare). Dovevi gestire i motori dosando il carburante, considerata l'accelerazione di gravità, per non schiantarti sulla superficie. Inserivi i dati e il "sistema" ti dava altezza e altri parametri. Provai molti allunaggi, e non era affatto facile arrivare sani e salvi! Il tutto in una riga di numeri e basta, ma era divertente... https://www.stardust.blog/2011/02/branduardi-allunaggi-e-notazioni/

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sembra molto simile al lunar landing di cui ho scritto qui: https://edu.inaf.it/approfondimenti/insegnare-astronomia/gamification-il-progetto-dei-cosmo-explorers/

      Elimina