venerdì 10 giugno 2022

La regola dei pianeti

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In fisica i modelli teorici sono di diversa natura. Il modello cui tende qualunque teorico che si rispetto è un modello in grado di prevedere tutto possibilmente senza aver bisono di alcuna costante. Queste, al massimo, emergono man mano che le condizioni al contorno evolvono. I modelli generalmente più sottovalutati sono, invece, quelli fenomenologici, ovvero basati sui dati sperimentali, che forniscono poche previsioni e che, soprattutto, non permettono di formulare alcuna congettura sulle cause del fenomeno stesso: lo descrivono e basta.
Uno dei modelli fenomenologici più famosi in particolare in astronomia è la legge, o più precisamente la regola di Titius-Bode. A farla chiamare così è, essenzialmente, la sua natura fenomenologica. Per farla breve, indipendentemente uno dall'altro, forse partendo da fonti simili, gli astronomi tedeschi Johann Daniel Titius e Johann Elert Bode formularono una legge matematica che descriveva le posizioni dei corpi celesti nel Sistema Solare, fornendo anche alcune predizioni sulle posizioni di possibili nuovi oggetti.
Dal punto di vista matematico la regola era descritta dalla formula \[a = 0.4 + 0.3 \cdot 2^n\] La formula era stata progettata per fornire valore 1 in corrispondenza della Terra, cui è associato \(n=1\) (in pratica siamo a una vera e propria prima definizione dell'unità astronomica).
La formula restò per diverso tempo una specie di curiosità matematica. A un certo punto, però, venne scoperto Urano: era il 1781 e a quel punto Bode, ringalluzzito dal fatto che il pianeta era stato trovato in una posizione molto vicina a quella prevista dalla sua legge (il valore previsto era quasi del 2% superiore rispetto a quello effettivo), spinse affinché gli astronomi dell'epoca iniziassero a cercare un pianeta in una posizione intermedia tra Marte e Giove. Ed effettivamente all'iniziop del 1801 ci fu una scoperta da parte dell'astronomo italiano Giuseppe Piazzi di Cerere in una posizione prevista proprio dalla legge di Titius-Bode. L'attenzione su questa formuletta era così stata destata ben bene.
Come però succede spesso agli amori improvvisi, anche questa passione bruciò relativamente in fretta. Furono in particolare due i fatti che raffreddarono buona parte dell'interesse. Da un lato la scoperta che Cerere era solo uno dei corpi rocciosi di quella che oggi conosciamo come la fascia principale degli asteroidi e, soprattutto, la scoperta di Nettuno in un luogo non previsto dalla legge.
Se la regola di Titus-Bode, almeno in questa formulazione si rivelò fallace, l'idea dietro di essa aveva però seminato qualcosa che diversi decenni più tardi portò a una sua nuova formulazione ad opera di Mary Blagg, astronoma di Oxford, che nel 1913 propose qualcosa del genere: \[d = a \cdot 1.7275^n \cdot \left ( b + f (\alpha + n \beta) \right )\] La prima cosa da notare è che la progressione geometrica a differenza della regola originaria non era più basata su 2 ma su 1.7275. Inoltre troviamo la presenza di una funzione \(f\), che però la Blagg non specificò, né mai riuscì a specificare in una formulazione matematica che partiva da principi primi. Tutte le stime di \(f\), infatti, partivano dai dati sperimentali, ne erano degli sviluppi in serie, in pratica.
Il destino di questa regola, però, fu analogo a quella di Titius-Bode, e questo nonostante la nuova formula fosse decisamente molto più precisa rispetto a quella dei due astronomi tedeschi. E il suo successo era anche arrivato fino al punto da descrivere molto bene i sistemi di satelliti intorno ai pianeti più grandi come Giove o Saturno. E ancora una volta con grande precisione.
L'interesse verso questo genere di regole, però, ebbe un nuovo ritorno di fiamma nel 1945 quando D. E. Richardson, senza conoscere in alcun modo il lavoro della Blagg, tirò fuori una formula analoga, ovvero una progressione geometrica basata su 1.728.
Se le due regole moderne da un lato mostrano come il problema della regola originale era nel 2, il punto fondamentale di tutta la storia è che la formula che descrive le orbite dei pianeti intorno a una stella secondo una progressione geometrica fa esattamente quello che ho scritto: descrive a partire da dati sperimentali. Non c'è alcun principio primo che interviene per spiegare perché i pianeti si trovano esattamente in quelle posizioni e non in altre. Ed è essenzialmente il motivo per cui alcune riviste, come ad esempio Icarus, respingono a prescindere gli articoli che cercano di migliorare la regola. Questo non vuol dire che non ci sono stati teorici che hanno provato a fornire una spiegazione della formula, ma, almeno per quel che a me sembra, non c'è ancora nulla di conclusivo in questa direzione.

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