Era da diverso tempo che non scrivevo nulla su Turing. Poi l'astrografica dedicata al gioco dell'imitazione mi ha spinto a cercare qualche fonte ispirativa, trovando alla fine questo articolo di Bernardo Gonçalves uscito l'anno scorso su Nature, e che provvedo a tradurvi.
Il matematico Alan Turing ha proposto che le macchine un giorno saranno in grado di pensare e comportarsi come gli umani. Questa visione fu messa in discussione dal neurochirurgo Geoffrey Jefferson, che per esempio sostenne che le macchine non potevano essere classificate come in grado di pensare fino a che non avessero padroneggiato il linguaggio e scritto un sonetto.
Per rispondere a queste obiezioni, nel 1950 Turing sviluppò un testo per esplorare la capacità di una macchina di mostrare comportamenti apparentemente intelligenti, suggerendo al contempo il suo concetto matematico dell'imitazione basato sul calcolo universale. La sua questione scientifica era se un individuo di un qualche genere poteva imitare stereotipi di un individuo di un altro genere.
Vedere il test di Turing dalla prospettiva dei suoi caposaldi o del suo uso improprio da parte del pubblico fa perdere il punto della sua argomentazione. Così come le idee sul significato dell'universo erano un tempo staccate dalla Terra, Turing cerò di espandere il significato del "pensare" e staccarlo dall'antropocentrismo che contribuisce alla visione umana sia della società che della natura.
E' importante sviluppare sviluppare parametri per il controllo pubblico dell'intelligenza artificiale generativa, ma anche avere una prospettiva storica. Oggi viviamo in uno dei molti possibili futuri di Turing, in cui le macchine possono passare per quello che non sono. Turing aveva buone ragioni per sperare in alcuni di questi futuri, ma invitava l'umanità a evitarne altri.
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