Prima di vedere come è stata scoperta la più piccola carica elettrica negativa libera in natura, andiamo però a vedere un breve giro storico sull'elettricità. L'esistenza dell'elettricità era nota sin dagli antichi Greci, che osservavano come l'ambra era in grado di attirare piccoli oggetti che erano stati sfregati con un panno di pelle. Insieme con il fulmine, queste erano le prime esperienze umane ricordate con i fenomeni elettrici. Il nome, a tali fenomeni, venne però assegnato da William Gilbert nel suo trattato del 1600, De Magnete: prendendo spunto dal nome greco dell’ambra (elektron), Gilbert coniò il nuovo termine latino electricus.
Poco più di un secolo dopo, agli inizi del XVIII secolo, Francis Hauksbee e François du Fay scoprirono, indipendentemente l'uno dall'altro, due distinti generi di ellettricità prodotti per sfergamento, quello dovuto al vetro e quello dovuto alla resina. Questo spinse du Fay a teorizzare l’esistenza di due distinti fluidi elettrici. Per parte sua Benjamin Franklin propose, invece, l’esistenza di un unico fluido elettrico che mostrava un eccesso (+) o un difetto (-), fornendo così la base per la moderna nomenclatura delle cariche. Franklin pensava che a venire trasportate fossero le cariche positive, ma non riuscì a fornire alcuna ipotesi su quando ci fosse un eccesso e quando un difetto di carica.
Tra il 1838 e il 1851 Richard Laming sviluppò l’idea che l’atomo fosse costituito da un nucleo di materia con delle cariche elettriche che vi ruotavano intorno. Nel 1874 George Johnstone Stoney suggerì che doveva esistere una "singola definita quantità di elettricità". Utilizzando la legge di Faraday sull’elettrolisi fu in grado di stimare il valore di e, ma non pensava fosse possibile separarla dall'atomo. Nel 1869 George Johnstone Stoney scoprì che all'interno di un gas rarefatto dove veniva applicato tramite due pezzi di metallo (un catodo e un anodo) un campo elettrico, veniva prodotto un flusso di energia che partiva dal catodo. Tale raggio venne chiamato raggio catodico da Eugen Goldstein.
Nel frattempo William Crookes mostrò una serie di proprietà dei raggi catodici: essi venivano prodotto dal catodo e finivano la loro corsa nell'anodo; inoltre venivano deflessi da un campo magnetico. Dalla curva realizzata dai raggi catodici Crookes fu in grado di dimostrare che i raggi catodici erano costituiti da cariche elettriche.
I risultati di Crookes vennero riprodotti e migliorati da Arthur Schuster che nel 1890 fu in grado di misurare il rapporto carica/massa dei raggi catodici: per la prima volta si iniziava a pensare che l'elettricità, in particolare quella negativa, fosse costituita da particelle.
Quella che usualmente è considerata la scoperta ufficiale dell’elettrone è, però, assegnata a Joseph John Thomson che, insieme con John Townsend e Harold Wilson, realizzò un esperimento che dimostrò inequivocabilmente che i raggi catodici erano costituiti da particelle uniche e non da onde, atomi o molecole come si riteneva in precedenza(1). Thomson fece una buona stima sia della carica e sia della massa m, scoprendo che le particelle dei raggi catodici, che egli chiamava corpuscoli, avevano circa un millesimo della massa dello ione meno massivo conosciuto: l'idrogeno. Inoltre dimostrò che il rapporto tra carica e massa era indipendente dal materiale di cui era costituito il catodo. Infine mostrò che le particelle negative prodotte da materiali radioattivi, riscaldati e illuminati erano universali. A questo punto mancava solo il nome: a proporre elettrone ci pensò Stoney, il primo a suggerire l’esistenza dell’unità di carica elettrica. A fornire gli ultimi dettagli ci pensò Henri Becquerel che nel 1896 aveva scoperto la radioattività. Nel 1900 il fisico francese mostrò che i raggi beta emessi dal radio potevano essere deflessi da un campo magnetico e il rapporto carica/massa di questi raggi era compatibile con quello dei raggi catodici(2): questa scoperta indicava che gli elettroni erano una componente dell'atomo.
La loro posizione all'interno di questo componente non sarebbe stata chiara ancora per una quindicina d’anni o poco più, così nel frattempo bisogna accontentarsi del fomoso esperimento della goccia d'olio di Robert Millikan e Harvey Fletcher. Nel 1909 i due fisici statunitensi nebulizzarono alcune gocce d'olio all'interno di una camera posta sopra un condensatore cui era applicato un campo elettrico. Le gocce, che scendevano per gravità, finivano all'interno del condensatore attraverso un'apertura posta sulla faccia superiore. Misurando la velocità di caduta Millikan e Fletcher furono in grado di misurare la cairca elettrica e con una precisione maggiore rispetto a quanto fatto da Thomson una decina di anni prima(3). I risultati vennero pubblicati nel 1911, l'anno in cui Thomson scoprì il nucleo atomico. Questa, però, è già un'altra storia!
- Thomson, J. J. (1897). XL. Cathode rays. The London, Edinburgh, and Dublin Philosophical Magazine and Journal of Science, 44(269), 293-316. doi:10.1080/14786449708621070 (pdf)↩
- Becquerel, H. (1900). “Déviation du Rayonnement du Radium dans un Champ Électrique”. Comptes rendus de l’Académie des sciences. 130: 809–815.↩
- Millikan, R. A. (1913). On the elementary electrical charge and the Avogadro constant. Physical Review, 2(2), 109. doi:10.1103/PhysRev.2.109↩
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