venerdì 20 settembre 2024

2001: Odissea nello spazio

Devo essere onesto: quando ho avuto la possibilità di vedere per intero, dall'inizio alla fine, e per giunta al cinema 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick sono uscito con dei sentimenti ambivalenti. Da un lato ero esaltato per la cura e il dettaglio con cui la scienza era stata trattata: praticamente ogni tecnologia umana descritta nel film era descritta come poi l'avremmo sviluppata nei decenni successivi, design a parte. Dall'altro, però, avevo trovato in particolare l'ultima parte lenta e noiosa, scoprendomi alla fine di essere caduto in una probabilmente ristretta cerchia di persone che si inserisce tra i due gruppi di coloro che amano incondizionatamente da un lato e di coloro che non sopportano il film di Kubrick. In ogni caso pensavo che tutta la prima parte del film fosse dovuta essenzialmente ad Arthur C. Clarke, che aveva collaborato con Kubrick alla stesura del film, mentre a quest'ultimo era dovuta la parte finale che non mi era piaciuta per nulla. E in un certo senso già questo mi predisponeva per le conclusioni cui sono giunto dopo la lettura del romanzo.
Scrittura parallela
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Come ricorda la wiki sulla voce del romanzo, la scrittura della sceneggiatura e del romanzo si è svolta in maniera contemporanea, con Kubrick e Clarke che si sentivano spesso al telefono per sviluppare i vari dettagli del progetto. Il romanzo, però, uscì con qualche settimana di ritardo, questo perché Kubrick non voleva che gli spettatori arrivassero alla visione del film sapendo già molte delle informazioni che il film voleva passare. Inoltre Kubrick riteneva che il film non dovesse essere per nulla chiaro, e anzi riteneva un fallimento se le persone fossero uscite dal cinema avendo la sensazione di aver compreso tutto.
Il problema di questo approccio sta, però, proprio in quella insoddisfazione di fondo che, per come viene generata dalla pellicola, non è né positiva, né fruttuosa, a differenza, invece, di quello che trasmette il romanzo, che, ancora una volta, risulta superiore rispetto all'opera cinematografica. Questo effetto, però, non risiede solo nella capacità del romanzo in generale di entrare nella mente dei personaggi, affiancando descrizioni intimiste a quelle paesaggistiche, che sono indubbiamente rese in maniera molto efficace sul grande schermo, ma anche da un certo rispetto mostrato da Clarke nei confronti del lettore, sicuramente un rispetto maggiore di quello mostrato da Kubrick.
In questo senso è secondo me emblematica proprio quella porzione del film dedicata ad HAL 9000. Nel romanzo è ben chiaro che il conflitto interno nel computer è dovuto alla sua progressiva incapacità di gestire informazioni nascoste: secondo quanto progettato, infatti, gli astronauti che gestivano l'astronave dovevano restare all'oscuro del vero obiettivo della missione, che invece era noto ai membri dell'equipaggio posti in ibernazione. In pratica HAL impazzisce perché non è in grado di mentire!
E' interessante come una posizione simile sia analoga all'idea presente in Atom di Tezuka o in Pluto di Urusawa secondo cui un'intelligenza artificiale può ritenersi perfetta (o comunque in grado di essere paragonabile a quella umana), solo quando è in grado di concepire il male. Cosa che HAL non è mai stato in grado di fare, visto che tutti i suoi comportamenti erano volti alla sopravvivenza degli astronauti, senza soffermarsi realmente a pensare, come avrebbe fatto un umano, se queste azioni non si sarebbero rivelate sul lungo periodo nocive. Ovviamente c'è anche il tema della preservazione di se stessi, evidente quando HAL prega di non essere spento, ma questo si aggiunge, semplicemente, alle considerazioni precedenti.
Anche il finale, per quanto intimista e filosofico, risulta molto più chiaro nella scrittura chiara di Clarke rispetto alle visioni del film di Kubrick e, a differenza di quest'ultimo, lascia sul serio un senso di meraviglia e di esaltazione perché a Bowman sono state letteralmente aperte le porte dell'universo!
Piccola curiosità finale: la descrizione fornita da Clarke nel romanzo della differente luminosità dei due emisferi della luna di Saturno, Giapeto, è compatibile con quella osservata dalla Voyager 2 nel corso del suo sorvolo. Solo che mentre il romanzo è del 1968, la missione della Voyager 2 risale al 1981! Alla fine fu lo stesso Carl Sagan a conglaturarsi con Clarke per aver previsto l'osservazione della sonda.

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