Con questa nuova puntata, arrivata un po’ lunga sia per il rallentamento estivo, sia per la pausa del carnevale della matematica, concludo la serie degli articoli de Le grandi domande della vita dedicati alla Terra. Ovviamente il nostro pianeta potrà comparire in qualcuna delle domande minori nelle prossime puntate, ma al momento non prevedo una domanda principale a esso dedicata.
Nelle tre puntate precedenti de Le grandi domande della vita abbiamo esaminato la terra piatta, la terra cava e la terra crescente. A questo punto è più che legittimo chiedersi quale sia la forma della Terra.
Visto dallo spazio, il nostro pianeta è approssimativamente sferico (una sfera leggermente schiacciata ai poli, come si dice tradizionalmente), ma se andiamo a disegnare il geoide terrestre, scopriamo qualcosa di interessante.
Il geoide è la forma che la superficie degli oceani prenderebbe sotto l’influenza della gravità terrestre e della rotazione ed escludendo influenze esterne come venti e maree. Il primo a descrivere tale forma, definendola la figura matematica della Terra, fu Carl Friederich Gauss. Essa dovrebbe risultare irregolare, dipendendo dalla distribuzione della massa sul pianeta. Questo vuol dire che riuscire a determinare con precisione il geoide terrestre ci fornirebbe dati sulla struttura interna del pianeta. Tale compito è stato assegnato al Gravity Recovery And Climate Experiment, noto anche come GRACE, costituito da due satelliti, Grace 1 e Grace 2, che presero il posto dell’europeo GOCE (Gravity Field and Steady-State Ocean Circulation Explorer).
I risultati ottenuti da GRACE, che si è concluso il 27 ottobre 2017 a causa di alcuni problemi tecnici su uno dei due satelliti, ci restituiscono una Terra dalla forma che ricorda una patata con bozzi e rientranze sparsi qua e là in dipendenza dell’anomala distribuzione della densità della materia del pianeta. E più o meno tali anomalie coincidono con le catene montuose o con le valli.
Inoltre GRACE è stato utilizzato anche per una delle tante verifiche sulla relatività: l’effetto di trascinamento relativistico, scoperto nel 1918 da Josef Lense e Hans Thirring, è in pratica il trascinamento dello spaziotempo da parte di un oggetto rotante. Tale effetto è piccolissimo ed è stato possibile verificarlo proprio con GRACE.
venerdì 31 agosto 2018
mercoledì 29 agosto 2018
Il gatto in noi
Come ricorda Alan Weisman, i gatti sono i più grandi serial killer mai creati dal genere umano. Indubbiamente è da considerarsi come una classica iperbole, ma neanche troppo distante dalla realtà: come scrive lo stesso Weisman ne Il mondo senza di noi, studiando i gatti, non solo quelli di campagna, ma anche quelli di città, non appena messe le zampe fuori di casa, si trasformano in spietati cacciatori, uccidendo topi e roditori vari e non per necessità, ma per puro capriccio, proprio come gli esseri umani.
Potremmo dire che tutto ciò William Burroughs lo aveva già capito: amante dei gatti, ha scritto un breve quanto bel libro dedicato ai gatti della sua vita, Il gatto in noi, in cui, però, ha anche esplorato la parte più intimamente felina dell'essere umano.
Se amate i gatti (e, mannaggia a me, anche se a casa, quella di paese, abbiamo avuto sempre cani - che i gatti, anche quelli domestici, stanno sempre per strada - mi piacciono!) questa è decisamente una lettura da recuperare, per riportare alla memoria la parte gatta in ognuno di noi (in altri termini direi anarchica, ma lasciamo da parte qualunque considerazione politica, per una volta!).
Potremmo dire che tutto ciò William Burroughs lo aveva già capito: amante dei gatti, ha scritto un breve quanto bel libro dedicato ai gatti della sua vita, Il gatto in noi, in cui, però, ha anche esplorato la parte più intimamente felina dell'essere umano.
Se amate i gatti (e, mannaggia a me, anche se a casa, quella di paese, abbiamo avuto sempre cani - che i gatti, anche quelli domestici, stanno sempre per strada - mi piacciono!) questa è decisamente una lettura da recuperare, per riportare alla memoria la parte gatta in ognuno di noi (in altri termini direi anarchica, ma lasciamo da parte qualunque considerazione politica, per una volta!).
martedì 28 agosto 2018
Barbagrigia
Alla domanda su ciò che accadrebbe all'ecosistema planetario subito dopo la nostra scomparsa più spesso sostituiamo la domanda su come ci estingueremo. Nella versione più positiva, attenderemo la fine stessa dell'universo dopo aver colonizzato gli altri corpi celesti abitabili del Sistema Solare e di altri sistemi stellari più o meno lontani. La versione più realistica, invece, ritiene che sarà difficile per il genere umano superare le divergenze tra gli stati-nazione necessari per avere una visione unitaria e comune del futuro. Così l'estinzione della razza umana avverrebbe ad opera del Sole, sempre che non intervengano fatti cui non riusciremmo a porre rimedio, come un cambiamento climatico tale da costringere gli uomini a un progressivo ritiro verso i poli, come avviene ne Il mondo sommerso di Ballard, o a causa di una progressiva diminuzione delle risorse a disposizione o, peggio ancora, da un evento astronomico che ha mutato le condizioni di vita sulla Terra.
Proprio quest'ultimo genere di apocalisse è quella alla base di Barbagrigia di Brian Aldiss: in un lontano futuro un esperimento nucleare ha distrutto le fasce di Van Allen consentendo alle radiazioni cosmiche di colpire indisturbate la superficie del pianeta, rendendo così il genere umano sterile. Il protagonista, il quarantenne Algernon Timberlane, a causa dell'invasione di ermellini nel villaggio inglese di Sparcot, inizia una peregrinazione in un mondo dove la natura sta prendendo il sopravvento insieme con la moglie Martha.
La società umana che i coniugi Timberlane, ormai tra i più giovani sul pianeta, incontrano nel loro peregrinare è sconfortata, autodistruttiva, violenta quasi come un ultimo rigurgito di orgoglio, preda di superstizioni e alla ricerca di una speranza rappresentata da un ipotetico bambino nato chissà dove e venerato come una divinità per il semplice fatto di poter esistere.
In effetti il romanzo è intriso di una tristezza e di una disperazione profonde e il messaggio di speranza rappresentato dalla possibilità che da qualche parte una donna sia riuscita a procreare rappresenta quella stessa speranza che aveva Aldiss di rivedere i figli dopo il divorzio dalla sua prima moglie. Inevitabilmente la sua condizione morale ha influenzato la stesura di un libro che forse senza tale condizione non avrebbe avuto quella vivida forza disperata che invece possiede.
Proprio quest'ultimo genere di apocalisse è quella alla base di Barbagrigia di Brian Aldiss: in un lontano futuro un esperimento nucleare ha distrutto le fasce di Van Allen consentendo alle radiazioni cosmiche di colpire indisturbate la superficie del pianeta, rendendo così il genere umano sterile. Il protagonista, il quarantenne Algernon Timberlane, a causa dell'invasione di ermellini nel villaggio inglese di Sparcot, inizia una peregrinazione in un mondo dove la natura sta prendendo il sopravvento insieme con la moglie Martha.
La società umana che i coniugi Timberlane, ormai tra i più giovani sul pianeta, incontrano nel loro peregrinare è sconfortata, autodistruttiva, violenta quasi come un ultimo rigurgito di orgoglio, preda di superstizioni e alla ricerca di una speranza rappresentata da un ipotetico bambino nato chissà dove e venerato come una divinità per il semplice fatto di poter esistere.
In effetti il romanzo è intriso di una tristezza e di una disperazione profonde e il messaggio di speranza rappresentato dalla possibilità che da qualche parte una donna sia riuscita a procreare rappresenta quella stessa speranza che aveva Aldiss di rivedere i figli dopo il divorzio dalla sua prima moglie. Inevitabilmente la sua condizione morale ha influenzato la stesura di un libro che forse senza tale condizione non avrebbe avuto quella vivida forza disperata che invece possiede.
lunedì 27 agosto 2018
Il mondo senza di noi
La gola di Olduvai e altri siti di resti fossilizzati di ominidi, che nel loro insieme disegnano una mezzaluna che parte dall'Etiopia e corre verso sud parallela alla costa orientale del continente, hanno confermato oltre ogni dubbio che siamo tutti africani.Tutto iniziò nel 1994 quando Alan Weisman scrisse in un articolo per la rivista Harper's(1) in cui raccontava come la natura si era adattata alla fuga degli umani dopo l'incidente della centrale nucleare di Chernobyl del 26 aprile del 1986.
Quasi dieci anni più tardi, nel 2003, l'articolo finì nelle mani di Josie Glausiusz, redattrice di Discover Magazine, che così chiese a Weisman
Cosa accadrebbe se gli umani scomparissero dappertutto?Doveva essere lo spunto per un articolo e invece è diventato un libro, Il mondo senza di noi.
Il giornalista statunitense, andando in giro per il monto a intervistare esperti in vari campi (dall'ingegneria, all'ecologia, alla chimica, all'archeologia e via discorrendo) e a raccogliere testimonianze e storie, ha cercato di capire se e quanto tempo occorrerebbe al pianeta per dimenticare la nostra esistenza a partire dalla nostra improvvisa scomparsa.
domenica 26 agosto 2018
Topolino #3274: Da 90 a 60!
Sul Topolino #3274 si festeggiano due ricorrenze: come recita la copertina, partono le celebrazioni per i 90 anni del titolare della testata, mentre con la seconda storia vengono festeggiati i 60 anni di storie di Luciano Gatto su Topolino.
La storia, abbastanza leggera e scorrevole, viene disegnata con lo stile spigliato ma riconoscibile adottato da Gatto negli ultimi anni. Nel corso di questi sessant'anni, iniziati con Il ciliegio rabdomante, Gatto, dopo aver iniziato con uno stile molto vicino a quello di Giovan Battista Carpi e Giulio Chierchini, ha ben presto adottato il tratto rotondo di Romano Scarpa, di cui è anche stato inchiostratore, snellendolo man mano fino alle storie attuali. Nel corso degli anni Gatto ha adottato alcuni caratteri distintivi, come la firma con un gatto con pennello in alcune delle sue storie, o l'uso di gocce di sudore evidenti per enfatizzare le espressioni dei paperi, che successivamente verranno utilizzate soprattutto dopo l'avvento di Alessandro Barbucci con le sue influenze manga.
Luciano Gatto è stato ed è ancora uno dei disegnatori disneyani più facilmente riconoscibili, ed elementi del suo stile si possono ritrovare oggi in disegnatori come Carlo Limido e Lucio Leoni.
Il mitico Gatto
Ad affiancare sulle pagine de Il mitico M.I.T.O. c'è, come di consueto nella maggior parte delle storie di Gatto degli ultimi anni, lo sceneggiatore Fabio Michelini. Nella storia Paperone rivoluzione il mercato dell'usato grazie a una serie di tubi pneumatici che attraversano la città collegati a un mega computer che, valutando gli oggetti che vengono inseriti nei tubi, propone un prezzo di vendita da pagare al venditore immediatamente. In questo modo Paperone acquisisce oggetti che può rivendere o riciclare, ma soprattutto permette ai paperopolesi di avere del denaro fresco da reimmettere nel mercato, riportando così tale denaro nelle sue tasche. Come al solito sarà Paperino a rovinare il piano di Paperone, anche se il classico comitato sulla bellezza di Paperopoli avrà comunque un ruolo piccolo ma fondamentale.La storia, abbastanza leggera e scorrevole, viene disegnata con lo stile spigliato ma riconoscibile adottato da Gatto negli ultimi anni. Nel corso di questi sessant'anni, iniziati con Il ciliegio rabdomante, Gatto, dopo aver iniziato con uno stile molto vicino a quello di Giovan Battista Carpi e Giulio Chierchini, ha ben presto adottato il tratto rotondo di Romano Scarpa, di cui è anche stato inchiostratore, snellendolo man mano fino alle storie attuali. Nel corso degli anni Gatto ha adottato alcuni caratteri distintivi, come la firma con un gatto con pennello in alcune delle sue storie, o l'uso di gocce di sudore evidenti per enfatizzare le espressioni dei paperi, che successivamente verranno utilizzate soprattutto dopo l'avvento di Alessandro Barbucci con le sue influenze manga.
Luciano Gatto è stato ed è ancora uno dei disegnatori disneyani più facilmente riconoscibili, ed elementi del suo stile si possono ritrovare oggi in disegnatori come Carlo Limido e Lucio Leoni.
sabato 25 agosto 2018
Lovecraft a fumetti: una nuova biografia
cc @real_fabristol @hardcorejudas @Popinga1 e non ricordo più chi altri c'era in quella vecchia discussione... aggiungete pure!
In pochi mesi la Magic Press ha pubblicato, dopo la serie di volumi di I.N.J. Culbard, due nuove opere lovecraftiane che mi permettono di proseguire con il discorso iniziato in Lovecraft a fumetti. Il primo dei due volumi di cui vorrei scrivere (spero) poche righe sono I miti di Cthulhu di Esteban Maroto, per molti versi opera rivoluzionaria nel fumetto lovecraftiano.
Racconti
L’elemento rivoluzionario nella trasposizione del disegnatore spagnolo non sta tanto nella fedeltà al testo di racconti di HowardPhilips Lovecraft qui trasposti o nell’approccio realistico al disegno, ma nell’essere stato uno dei primi (se non il primo) ad aver inserito seppur timidamente degli elementi erotici (in particolare ne La ricorrenza), altrimenti completamente assenti nell’opera lovecraftiana.L’edizione proposta dalla Magic, edita originariamente da Planeta Co’mic, risente in parte delle difficoltà che questi racconti hanno avuto nella loro storia editoriale: i disegni non sempre sono chiarissimi e il tratto risulta molto leggero. Tutto questo, però, non impedisce di apprezzare la costruzione dinamica della pagina, chiaramente latina per influenza, senza dimenticare quella del fumetto statunitense di genere horror e supereroistico, o alcune delle belle illustrazioni che sono riuscite a salvarsi dalle molte vicende narrate nell’introduzione di José Villarubia.
venerdì 24 agosto 2018
giovedì 23 agosto 2018
Il signore dei sogni
Scritto nel 1966, Il signore dei sogni di Roger Zelazny anticipa molto di più di quanto non fatto da Don Rosa ne Il sogno di una vita il tema centrale di Inception: il sogno.
I protagonisti del romanzo di Roger Zelazny sono gli psichiatri Charles Render ed Eileen Shallot. Il primo, sfruttando una nuova tecnologia elettronica, entra nei sogni dei suoi pazienti e li modella per curarne le patologie. La seconda, cieca dalla nascita, si rivolge a Render per ottenere l'abilitazione all'uso di tale macchinario, o in sostanza per poter acquistare la vista almeno nel mondo dei sogni. Render accetta il caso che la Shallot gli propone.
Il romanzo, abbastanza breve (quasi 15 pagine) e veloce nella lettura, è l’incastro di diverse linee narrative. Le principali sono quelle che raccontano Render e le sue sedute con la Shallot. A queste si aggiungono i racconti delle peregrinazioni del cane parlante di Eileen e le discussioni del Club del mito. Gli aspetti mitologici risultano importanti nella vicenda soprattutto alla luce del finale, abbastanza inquietante, proposto dall'autore, e molto più pessimistico di quello di Inception.
La linea narrativa meno comprensibile è quella di un uomo che cammina lungo l'autostrada su cui sfrecciano le automobili a guida autonoma, non collegandosi con nessuna delle altre, né aggiungendo alcun approfondimento sui due personaggi principali.
Nel complesso il romanzo viene sviluppato da Zelazny con una cappa in inquietudine che prepara il lettore al dramma finale, che così non è completamente inatteso, se non per la forma con cui alla fine si manifesta. Il signore dei sogni è allora non solo un anticipare il tema di Inception (per certi versi uno dei temi di Neuromante non è molto differente da quello del romanzo di Zelazny), ma anche un mettere in guardia il lettore dal perdersi troppo nei sogni indotti dalla tecnologia.
I protagonisti del romanzo di Roger Zelazny sono gli psichiatri Charles Render ed Eileen Shallot. Il primo, sfruttando una nuova tecnologia elettronica, entra nei sogni dei suoi pazienti e li modella per curarne le patologie. La seconda, cieca dalla nascita, si rivolge a Render per ottenere l'abilitazione all'uso di tale macchinario, o in sostanza per poter acquistare la vista almeno nel mondo dei sogni. Render accetta il caso che la Shallot gli propone.
Il romanzo, abbastanza breve (quasi 15 pagine) e veloce nella lettura, è l’incastro di diverse linee narrative. Le principali sono quelle che raccontano Render e le sue sedute con la Shallot. A queste si aggiungono i racconti delle peregrinazioni del cane parlante di Eileen e le discussioni del Club del mito. Gli aspetti mitologici risultano importanti nella vicenda soprattutto alla luce del finale, abbastanza inquietante, proposto dall'autore, e molto più pessimistico di quello di Inception.
La linea narrativa meno comprensibile è quella di un uomo che cammina lungo l'autostrada su cui sfrecciano le automobili a guida autonoma, non collegandosi con nessuna delle altre, né aggiungendo alcun approfondimento sui due personaggi principali.
Nel complesso il romanzo viene sviluppato da Zelazny con una cappa in inquietudine che prepara il lettore al dramma finale, che così non è completamente inatteso, se non per la forma con cui alla fine si manifesta. Il signore dei sogni è allora non solo un anticipare il tema di Inception (per certi versi uno dei temi di Neuromante non è molto differente da quello del romanzo di Zelazny), ma anche un mettere in guardia il lettore dal perdersi troppo nei sogni indotti dalla tecnologia.
mercoledì 22 agosto 2018
L'enigma dei tre omini
La trama è abbastanza semplice: un uomo, Jacob Blunt, va nello studio di uno psichiatra, George Matthews, e gli sottopone uno strano caso. Ogni giorno tre “gnomi” lo pagano per portare a termine alcuni compiti decisamente fuori dal comune, come ad esempio indossare un fiore diverso ogni giorno. L’enigma dei tre omini (The deadly percheron) di John Franklin Bardin inizia, così, come un classico giallo investigativo, con lo psichiatra che si ritrova ben presto coinvolto in un caso di omicidio. Questo inizio, però, è ingannevole: il romanzo diventa ben presto un thriller psicologico, antesignano di questo genere (tecnicamente detto noir) in cui il protagonista, dopo un periodo di una qual certa apatia, fa di tutto per recuperare la memoria perduta, dentro cui è conservato il suo ruolo in questo incredibile omicidio.
Lo stile di Bardin, al tempo stesso ricco di dettagli e crudo nelle descrizioni, appassiona il lettore fino alla scena finale, molto fumettistica con il confronto con l’omicida e un finale leggermente ambiguo nonostante il racconto sia in prima persona (Matthews è il narratore) e forse è il punto più debole di un romanzo bello e interessante che è solo il primo di un trittico di romanzi di tal genere: la speranza è che Polillo, dopo aver riportato nel formato de I bassotti L’enigma dei tre omini decida almeno di completare questa piccola serie.
Lo stile di Bardin, al tempo stesso ricco di dettagli e crudo nelle descrizioni, appassiona il lettore fino alla scena finale, molto fumettistica con il confronto con l’omicida e un finale leggermente ambiguo nonostante il racconto sia in prima persona (Matthews è il narratore) e forse è il punto più debole di un romanzo bello e interessante che è solo il primo di un trittico di romanzi di tal genere: la speranza è che Polillo, dopo aver riportato nel formato de I bassotti L’enigma dei tre omini decida almeno di completare questa piccola serie.
sabato 18 agosto 2018
Topolino #3273: Fine di un'odissea
Si conclude con la seconda puntata la Topodissea ideata da Roberto Gagnor con i disegni di Donald Soffritti e iniziata settimana scorsa.
Tra Scilla e Cariddi
Il secondo e conclusivo episodio della Topodissea con il ritorno a Topolitaca risulta altrettanto divertente anche se più gradevole e per un paio di motivazioni: da un lato c'è la stessa prima puntata che, tra difetti e pregi, fornisce al lettore un punto di partenza con cui approcciare la storia; dall'altro le invenzioni di Gagnor risultano meglio inserite nel contesto storico, anche grazie a un uso molto più ridotto degli inglesismi. Potrebbe essere, allora, interessante per la più che probabile edizione in volume provare ad eliminarli, sostituendoli con termini in greco antico. Infine il finale dell'avventura, con l'esplicito invito alla lettura, chiaro marchio di fabbrica di Gagnor, arricchisce la parodia di un elemento forse scontato conoscendo lo sceneggiatore ma non per questo meno gradevole. D'altra parte Soffritti conferma quanto già scritto in precedenza pur con una storia più densa di vignette: particolarmente piacevoli risultano la quadrupla con Rockerione che scatena una tempesta contro Topodisseo e i suoi amici o quella del ritorno sulle coste di Topolitaca.
venerdì 17 agosto 2018
Tre millimetri al giorno
E' possibile ambientare un romanzo d'avventura all'interno di una casa? Trasformare gli ambienti della vita quotidiana in posti fantastici dove l'obiettivo principale è sopravvivere? In ultima analisi la risposta è positiva. A fare tutto ciò, data una premessa fantascientifica, ovvero una nube tossica che investe Scott Carey, il protagonista di The incredible shrinking man, è Richard Matheson.
Tre millimetri al giorno, questo il titolo italiano, sono almeno due romanzi in uno: da un lato c'è il racconto di come un uomo vede, ogni giorno, la sua vita distrutta a causa del costante rimpicciolimento che il suo corpo sta subendo, descritto con una serie di flashback che si incastrano all'interno della narrazione principale, dedicata ai suoi ultimi giorni nello scantinato di casa, impossibilitato a comunicare con la moglie e la figlia, immaginando un panorama quotidiano come un esotico mondo popolato da predatori implacabili. Nel caso di Scott il predatore è un ragno, ogni giorno sempre più grande, che alla fine viene sconfitto grazie all'ingegno e all'audacia del piccolo protagonista.
L'intelligenza del romanzo, di veloce lettura, sta non tanto nella plausibilità del rimpicciolimento, o nei possibili risvolti narrativi lasciati nel finale che potevano dare origine a un nuovo romanzo, anche se certo molto più fantastico di Tre millimetri al giorno, quanto nel riuscire a mettere sotto gli occhi del lettore buona parte di ciò che in generale diamo per scontato, come gli affetti o gli istinti, ma che visti da una prospettiva di molto differente assumono un'importanza quasi ossessiva per il protagonista, che così è costretto a ragionare su se stesso e sul senso della propria esistenza.
Tre millimetri al giorno, questo il titolo italiano, sono almeno due romanzi in uno: da un lato c'è il racconto di come un uomo vede, ogni giorno, la sua vita distrutta a causa del costante rimpicciolimento che il suo corpo sta subendo, descritto con una serie di flashback che si incastrano all'interno della narrazione principale, dedicata ai suoi ultimi giorni nello scantinato di casa, impossibilitato a comunicare con la moglie e la figlia, immaginando un panorama quotidiano come un esotico mondo popolato da predatori implacabili. Nel caso di Scott il predatore è un ragno, ogni giorno sempre più grande, che alla fine viene sconfitto grazie all'ingegno e all'audacia del piccolo protagonista.
L'intelligenza del romanzo, di veloce lettura, sta non tanto nella plausibilità del rimpicciolimento, o nei possibili risvolti narrativi lasciati nel finale che potevano dare origine a un nuovo romanzo, anche se certo molto più fantastico di Tre millimetri al giorno, quanto nel riuscire a mettere sotto gli occhi del lettore buona parte di ciò che in generale diamo per scontato, come gli affetti o gli istinti, ma che visti da una prospettiva di molto differente assumono un'importanza quasi ossessiva per il protagonista, che così è costretto a ragionare su se stesso e sul senso della propria esistenza.
lunedì 13 agosto 2018
I segreti di un predicatore
Nella cittadina svedese di Kiruna viene trovato morto, orribilmente mutilato, Viktor Strandgard, noto predicatore locale diventato famoso poiché ritornato dalla morte dopo un incidente stradale. La sorella Sanna viene sospettata dell’orrendo omicidio: quest'ultima, con due figlie a carico, telefona alla vecchia amica Rebecka Martinsson, avvocato di un importante studio di Stoccolma. Con queste premesse si sviluppa il primo di cinque romanzi con l'avvocato Martinsson protagonista scritti da Åsa Larsson, anch'essa avvocato.
Risulta inevitabile, con il tema proposto, che Tempesta solare sia ricco di una serie di considerazioni legate alla religione in generale e alle congregazioni religiose in particolare. Da un lato abbiamo, infatti, l'ateismo di Rebecka e la razionalità della polizia che svolge le indagini per questo terribile omicidio, dall'altra i segreti, fiscali ma non solo, della congregazione. Inoltre l'autrice scava anche nel passato del suo personaggio anche grazie al fatto che Rebecka non è semplicemente originaria di Kiruna (peraltro lo stesso paese d'origine della Larsson).
Romanzo appassionante che tiene incollato il lettore alla pagina anche grazie al ritmo serrato dell'indagine che si svolge in poco meno di una settimana, e tutto questo nonostante i protagonisti si prendano tutto il tempo necessario per le azioni quotidiane. Inoltre il climax conclusivo, da manuale, rende Tempesta solare un perfetto esempio del genere giallo moderno.
Risulta inevitabile, con il tema proposto, che Tempesta solare sia ricco di una serie di considerazioni legate alla religione in generale e alle congregazioni religiose in particolare. Da un lato abbiamo, infatti, l'ateismo di Rebecka e la razionalità della polizia che svolge le indagini per questo terribile omicidio, dall'altra i segreti, fiscali ma non solo, della congregazione. Inoltre l'autrice scava anche nel passato del suo personaggio anche grazie al fatto che Rebecka non è semplicemente originaria di Kiruna (peraltro lo stesso paese d'origine della Larsson).
Romanzo appassionante che tiene incollato il lettore alla pagina anche grazie al ritmo serrato dell'indagine che si svolge in poco meno di una settimana, e tutto questo nonostante i protagonisti si prendano tutto il tempo necessario per le azioni quotidiane. Inoltre il climax conclusivo, da manuale, rende Tempesta solare un perfetto esempio del genere giallo moderno.
sabato 11 agosto 2018
Topolino #3272: Topodissea
Tra una storia sul cinema e un'altra sull'arte Roberto Gagnor trova anche il tempo e la passione per realizzare quella che può essere considerata la prima vera e propria parodia sull'Odissea di Omero.
A queste due di sopra vanno anche menzionate Pippo Ulisse di Cal Howard per i disegni di Hector Adolfo de Urtiága e Il vero Ulisse di Caterina Mognato e Maurizio Amendola in cui Topolino, grazie alla macchina del tempo, incontra il vero Ulisse, ripercorrendone alcune delle imprese. Entrambe le due ultime storie, come la parodia di Gangnor, sono ambientate nel passato e quindi, in qualche modo, più fedeli al testo originario.
In realtà i problemi dell'Odissea non sono tanto di ambientazione, quanto dei temi trattati: religione, guerra, violenza, sesso e amore. Tutti temi che sono in qualche modo tabù nel moderno fumetto disneyano. Si possono, dunque, immaginare le difficoltà che ha incontrato Gagnor nell'affrontare una parodia dell'Odissea oggi. Il simpatico sceneggiatore è però riuscito a risolvere questi problemi con alcune soluzioni in alcuni casi abbastanza brillanti.
Sulle tracce di Omero
Come qualcuno potrebbe obiettare, esistono nella storia di Topolino una Paperodissea e una Paperiade, scritte entrambe da GuidoMartina per i disegni rispettivamente di Pier Lorenzo De Vita e Luciano Bottaro. Le parodie di Martina, però, erano spesso più ispirate che non fedeli alle opere originali e spesso il prolifico sceneggiatore disneyano modernizzava l'ambientazione, come nel caso delle due mitiche storie di cui sopra.A queste due di sopra vanno anche menzionate Pippo Ulisse di Cal Howard per i disegni di Hector Adolfo de Urtiága e Il vero Ulisse di Caterina Mognato e Maurizio Amendola in cui Topolino, grazie alla macchina del tempo, incontra il vero Ulisse, ripercorrendone alcune delle imprese. Entrambe le due ultime storie, come la parodia di Gangnor, sono ambientate nel passato e quindi, in qualche modo, più fedeli al testo originario.
In realtà i problemi dell'Odissea non sono tanto di ambientazione, quanto dei temi trattati: religione, guerra, violenza, sesso e amore. Tutti temi che sono in qualche modo tabù nel moderno fumetto disneyano. Si possono, dunque, immaginare le difficoltà che ha incontrato Gagnor nell'affrontare una parodia dell'Odissea oggi. Il simpatico sceneggiatore è però riuscito a risolvere questi problemi con alcune soluzioni in alcuni casi abbastanza brillanti.
venerdì 10 agosto 2018
Il legame tra le comete e le stelle cadenti
Bisognava dunque ad ogni costo tentare di avanzarsi, e non servendo il processo regolare dell’induzione scientifica, trovare un’altra strada, foss’anche meno rigorosa e più lunga. Invece di partire dalle osservazioni per stabilire la teoria, si è fatto ricorso alle ipotesi: e dalle conseguenze di queste, per via di deduzione si è cercato di verificare l’accordo colle osservazioni. Con questo metodo, indiretto sì, ma perfettamente rigoroso, si giunse a trovare, che le orbite descritte dalle stelle meteoriche nello spazio sono analoghe, per natura, forma, e disposizione, alle orbite delle comete: che la velocità assoluta delle meteore, quando percuotono l’atmosfera della Terra, è generalmente assai prossima alla velocità che corrisponde al moto parabolico intorno al Sole, e sta alla velocità della Terra nella sua orbita nella proporzione di 141 a 100; che certe comete sono associate a certe piogge meteoriche in modo da descrivere con esse nello spazio orbite identiche; ed infine che molto probabilmente le meteore sono il prodotto della dispersione di materia cometica. La scoperta di questi notabili fatti ha cangiato la faccia della scienza delle meteore e per la prima volta l’ha posta su vere e solide basi.- Giovanni Schiaparelli da Le stelle cadenti/Lettura seconda
Leggi anche: Schiaparelli e le stelle cadenti e la pagina dedicata alle stelle cadenti su Edu INAF.
giovedì 9 agosto 2018
La scoperta del protone
Con il post di oggi completo il poker delle scoperte alla base del modello atomico: elettrone, neutrone, neutrino e ora protone.
Dopo la scoperta dell'elettrone nel 1897 da parte di Joseph John Thomson, era presumibile immaginare l'esistenza anche di una particella di carica positiva. D'altra parte già nel 1815 William Prout propose l'idea che tutti gli atomi fossero composti da atomi di idrogeno. Misure sempre più accurate verificarono l'inesattezza della tesi di Prout, ma l'idea di un "oggetto" che fosse la base per gli altri era ormai seminata.
La scoperta della particella di carica positiva sembrava, però, non così semplice: il rapporto carica massa dei raggi anodici, scoperti da Eugen Goldstein nel 1886, aveva valori differenti per gas differenti, a differenza di quanto avveniva con i raggi catodici.
Un importante passo avanti venne fatto nel 1911 quando Ernest Rutherford scoprì i nuclei atomici come la sede della carica positiva di un atomo(1). Tale scoperta indusse Antonius van den Broek, avvocato olandese con la passione per la fisica, a suggerire che la posizione degli atomi nella tavola periodica dipendesse dalla carica del nucleo(2). Tale idea venne sperimentalmente confermata nel 1913 da Henry Moseley utilizzando la spettroscopia a raggi X(3). Morì nel 1915 durante la prima Guerra Mondiale e secondo Rutherford avrebbe sicuramente vinto il premio Nobel per la sua scoperta.
L'esperimento di Rutherford era abbastanza semplice: bombardò una sottile lamina d’oro con dei raggi alfa. Dal lato opposto rispetto al punto di collisione, osservò la distribuzione delle particelle alfa che attraversavano la lamina. Dai risultati di questa collisione, Rutherford dedusse l’esistenza, al centro, di un nucleo di carica positiva.
La scoperta della particella di carica positiva sembrava, però, non così semplice: il rapporto carica massa dei raggi anodici, scoperti da Eugen Goldstein nel 1886, aveva valori differenti per gas differenti, a differenza di quanto avveniva con i raggi catodici.
Un importante passo avanti venne fatto nel 1911 quando Ernest Rutherford scoprì i nuclei atomici come la sede della carica positiva di un atomo(1). Tale scoperta indusse Antonius van den Broek, avvocato olandese con la passione per la fisica, a suggerire che la posizione degli atomi nella tavola periodica dipendesse dalla carica del nucleo(2). Tale idea venne sperimentalmente confermata nel 1913 da Henry Moseley utilizzando la spettroscopia a raggi X(3). Morì nel 1915 durante la prima Guerra Mondiale e secondo Rutherford avrebbe sicuramente vinto il premio Nobel per la sua scoperta.
L'esperimento di Rutherford era abbastanza semplice: bombardò una sottile lamina d’oro con dei raggi alfa. Dal lato opposto rispetto al punto di collisione, osservò la distribuzione delle particelle alfa che attraversavano la lamina. Dai risultati di questa collisione, Rutherford dedusse l’esistenza, al centro, di un nucleo di carica positiva.
martedì 7 agosto 2018
La scoperta dell'elettrone
La materia atomica è costituita da tre particelle in particolare, protone, elettrone e neutrone. Mi sono già occupato della scoperta di quest'ultimo e di quella del neutrino, per cui all’appello mancano solo protone ed elettrone.
Prima di vedere come è stata scoperta la più piccola carica elettrica negativa libera in natura, andiamo però a vedere un breve giro storico sull'elettricità. L'esistenza dell'elettricità era nota sin dagli antichi Greci, che osservavano come l'ambra era in grado di attirare piccoli oggetti che erano stati sfregati con un panno di pelle. Insieme con il fulmine, queste erano le prime esperienze umane ricordate con i fenomeni elettrici. Il nome, a tali fenomeni, venne però assegnato da William Gilbert nel suo trattato del 1600, De Magnete: prendendo spunto dal nome greco dell’ambra (elektron), Gilbert coniò il nuovo termine latino electricus.
Poco più di un secolo dopo, agli inizi del XVIII secolo, Francis Hauksbee e François du Fay scoprirono, indipendentemente l'uno dall'altro, due distinti generi di ellettricità prodotti per sfergamento, quello dovuto al vetro e quello dovuto alla resina. Questo spinse du Fay a teorizzare l’esistenza di due distinti fluidi elettrici. Per parte sua Benjamin Franklin propose, invece, l’esistenza di un unico fluido elettrico che mostrava un eccesso (+) o un difetto (-), fornendo così la base per la moderna nomenclatura delle cariche. Franklin pensava che a venire trasportate fossero le cariche positive, ma non riuscì a fornire alcuna ipotesi su quando ci fosse un eccesso e quando un difetto di carica.
Tra il 1838 e il 1851 Richard Laming sviluppò l’idea che l’atomo fosse costituito da un nucleo di materia con delle cariche elettriche che vi ruotavano intorno. Nel 1874 George Johnstone Stoney suggerì che doveva esistere una "singola definita quantità di elettricità". Utilizzando la legge di Faraday sull’elettrolisi fu in grado di stimare il valore di e, ma non pensava fosse possibile separarla dall'atomo.
Prima di vedere come è stata scoperta la più piccola carica elettrica negativa libera in natura, andiamo però a vedere un breve giro storico sull'elettricità. L'esistenza dell'elettricità era nota sin dagli antichi Greci, che osservavano come l'ambra era in grado di attirare piccoli oggetti che erano stati sfregati con un panno di pelle. Insieme con il fulmine, queste erano le prime esperienze umane ricordate con i fenomeni elettrici. Il nome, a tali fenomeni, venne però assegnato da William Gilbert nel suo trattato del 1600, De Magnete: prendendo spunto dal nome greco dell’ambra (elektron), Gilbert coniò il nuovo termine latino electricus.
Poco più di un secolo dopo, agli inizi del XVIII secolo, Francis Hauksbee e François du Fay scoprirono, indipendentemente l'uno dall'altro, due distinti generi di ellettricità prodotti per sfergamento, quello dovuto al vetro e quello dovuto alla resina. Questo spinse du Fay a teorizzare l’esistenza di due distinti fluidi elettrici. Per parte sua Benjamin Franklin propose, invece, l’esistenza di un unico fluido elettrico che mostrava un eccesso (+) o un difetto (-), fornendo così la base per la moderna nomenclatura delle cariche. Franklin pensava che a venire trasportate fossero le cariche positive, ma non riuscì a fornire alcuna ipotesi su quando ci fosse un eccesso e quando un difetto di carica.
Tra il 1838 e il 1851 Richard Laming sviluppò l’idea che l’atomo fosse costituito da un nucleo di materia con delle cariche elettriche che vi ruotavano intorno. Nel 1874 George Johnstone Stoney suggerì che doveva esistere una "singola definita quantità di elettricità". Utilizzando la legge di Faraday sull’elettrolisi fu in grado di stimare il valore di e, ma non pensava fosse possibile separarla dall'atomo.
domenica 5 agosto 2018
Ritratti: Ettore Majorana
cc @Popinga1 @marcocattaneo @peppeliberti @Pillsofscience @mediainaf
Da quel che si racconta, Ettore Majorana è stato una persona schiva, timida, tranquilla, ma al tempo stesso così razionale da non riuscire ad appassionarsi realmente al mondo in cui viveva. Anche per questo, delle molte teorie intorno alla sua scomparsa, quella passionale mi risulta quella meno probabile. Di Majorana, infatti, si sono perse le tracce il 27 marzo del 1938, poco più di 80 anni fa. Aveva 31 anni ed era partito da Napoli verso Palermo con un piroscafo. La sua ultima missiva, indirizzata ad Antonio Carrelli, professore di Fisica presso l’università Federico II di Napoli, era datata 26 marzo 1938, Palermo:
Caro Carrelli,Nonostante prese il traghetto che da Palermo lo avrebbe dovuto riportare a Napoli, come attesta Vittorio Strazzeri che con lui avrebbe diviso la cuccetta su quella nave, non venne più ritrovato e da allora le teorie sul suo destino sono fioccate quasi quanto quelle sui neutrini superluminali di qualche anno fa. E, come vedremo, proprio ai neutrini è più strettamente legato il nome di Majorana. Nato a Catania il 5 agosto del 1906 da Fabio Massimo Majorana, ingegnere e matematico, e da Dorina Corso, mostrò fin dall’età di 5 anni una predilezione e un particolare talento per la matematica.
Spero che ti siano arrivati insieme il telegramma e la lettera. Il mare mi ha rifiutato e ritornerò domani all’albergo Bologna, viaggiando forse con questo stesso foglio. Ho però intenzione di rinunziare all’insegnamento. Non mi prendere per una ragazza ibseniana perché il caso è differente. Sono a tua disposizione per ulteriori dettagli.
Conclusi gli studi classici nel 1923 a Roma, dove la famiglia si era trasferita due anni prima, si iscrisse alla facoltà di ingegneria, dove suoi compagni di corso, tra gli altri, erano Emilio Segrè e Vito Volterra.
Il passaggio a fisica avvenne sotto la spinta di Segré, che era stato avvicinato da Franco Rasetti ed Enrico Fermi: dopo alcune discussioni con quest’ultimo (e dopo aver verificato alcuni calcoli di Fermi, come riporta Leonardo Sciascia nel suo La scomparsa di Majorana), decide di cambiare facoltà, diventando così uno dei famosi ragazzi di via Panisperna e laureandosi il 6 luglio del 1929 con la votazione di 110/110 e lode.
Il suo lavoro presso il dipartimento consistette essenzialmente nella realizzazione di calcoli in vari campi della fisica e non solo in quello nucleare, l’argomento principale trattato dal gruppo di Fermi.
Il suo carattere schivo e timido viene ben descritto da Laura Fermi, moglie di Enrico, sempre nel già citato libro di Sciascia:
Majorana aveva però un carattere strano: era eccessivamente timido e chiuso in sé. La mattina, nell’andare in tram all’Istituto, si metteva a pensare con la fronte accigliata. Gli veniva in mente un’idea nuova, o la soluzione di un problema difficile, o la spiegazione di certi risultati sperimentali che erano sembrati incomprensibili: si frugava le tasche, ne estraeva una matita e un pacchetto di sigarette su cui scarabocchiava formule complicate. Sceso dal tram se ne andava tutto assorto, col capo chino e un gran ciuffo di capelli neri e scarruffati spioventi sugli occhi. Arrivato all’Istituto cercava di Fermi o di Rasetti e, pacchetto di sigarette alla mano, spiegava la sua idea.Immagine divenuta simbolo, quest’ultima, dello stesso Majorana, tanto da essere utilizzata nel film del 1989 di Gianni Amelio, I ragazzi di via Panisperna, quando con Fermi, in una gara di calcolo, mentre quest’ultimo riempiva un paio di lavagne di formule a Ettore bastava un semplice pacchetto di sigarette per completare i calcoli.
sabato 4 agosto 2018
Topolino #3271: numero da spiaggia
Con una definizione azzeccata, ma non nella sua accezione positiva, il direttore Valentina De Poli si riferisce a Topolino #3271 come a un numero da spiaggia. Il numero in edicola, in effetti, non presenta nulla di particolarmente eccezionale a parte la storia dedicata al compleanno di Paperoga.
I due autori riescono a cogliere l'anima dinamica e travolgente del personaggio e mostrano letteralmente il contenuto della sua testa con uno schedario straripante di fogli archiviati in cassetti che non riescono a restare chiusi!
Paperino per la prima volta (e come si scoprirà alla fine proprio come regalo di compleanno) aiuterà il cugino a portare a compimento uno dei suoi progetti: una macchina in grado di suonare tutti gli strumenti di un'orchestra. Non deve stupire tale scelta, vista la passione di Salati per la musica (ricordo che lo sceneggiatore è anche un musicista).
A completare il tutto ecco un bravissimo Pastrovicchio che, nonostante sia lontano dalle storie spettacolari di PK, riesce con efficacia a mostrare le espressioni dei personaggi di fronte al progetto di Paperoga, che viene spettacolarmente rappresentato dal disegnatore come una sorta di papero vitruviano. Un piccolo gioiello all'interno di un numero sostanzialmente dimenticabile.
Buon compleanno, Paperoga!
Paperoga, in origine Fethry Duck, venne ideato per il mercato estero da Dick Kinney e Al Hubbard. Personaggio decisamente sopra le righe, da spesso il tormento a Paperino con idee e progetti strambi, spesso ispirati dalla lettura di improbabili manuali o da corsi per corrispondenza dai titoli inusitati. Proprio questo elemento così travolgente e al limite del logico viene magistralmente catturato in Tipico di Paperoga di Giorgio Salati e Lorenzo Pastrovicchio.I due autori riescono a cogliere l'anima dinamica e travolgente del personaggio e mostrano letteralmente il contenuto della sua testa con uno schedario straripante di fogli archiviati in cassetti che non riescono a restare chiusi!
Paperino per la prima volta (e come si scoprirà alla fine proprio come regalo di compleanno) aiuterà il cugino a portare a compimento uno dei suoi progetti: una macchina in grado di suonare tutti gli strumenti di un'orchestra. Non deve stupire tale scelta, vista la passione di Salati per la musica (ricordo che lo sceneggiatore è anche un musicista).
A completare il tutto ecco un bravissimo Pastrovicchio che, nonostante sia lontano dalle storie spettacolari di PK, riesce con efficacia a mostrare le espressioni dei personaggi di fronte al progetto di Paperoga, che viene spettacolarmente rappresentato dal disegnatore come una sorta di papero vitruviano. Un piccolo gioiello all'interno di un numero sostanzialmente dimenticabile.
venerdì 3 agosto 2018
Alla ricerca di Yana
Quando il protagonista di un romanzo fantasy è un aspirante mago un po' maldestro e decisamente sovrappeso, ci si attende dall'autore uno stile ironico e divertente. Ed è proprio quello che avviene in Yana di Michael Shea, dove vengono narrate le avventure di Bramt Hex nella sua ricerca dell'immortalità.
Il romanzo, a parte il sottile umorismo che però non sfocia mai nella risata come invece avviene ne La guerra degli elfi di Herbie Brennan, è un classico fantasy in cui la ricerca dell'eroe è realizzata grazie a piccole missioni necessarie per raccogliere indizi e accumulare esperienza. Bramt, inoltre, nel corso della vicenda raccoglierà intorno a sè una piccola compagnia con l'obiettivo di raggiungere Yana, la città dove è possibile ottenere l'immortalità. Scontata la considerazione finale sull'effettivo valore dell'immortalità.
La piacevolezza e le leggerezza dello stile, però, non impedisce all'autore di alternare scene divertenti ad altre ricche di tensione, paurose e violente (al limite dello splatter), costruendo alla fine un romanzo appassionante con tutti gli elementi del genere al posto giusto, pur con un protagonista decisamente inusitato!
Il romanzo, a parte il sottile umorismo che però non sfocia mai nella risata come invece avviene ne La guerra degli elfi di Herbie Brennan, è un classico fantasy in cui la ricerca dell'eroe è realizzata grazie a piccole missioni necessarie per raccogliere indizi e accumulare esperienza. Bramt, inoltre, nel corso della vicenda raccoglierà intorno a sè una piccola compagnia con l'obiettivo di raggiungere Yana, la città dove è possibile ottenere l'immortalità. Scontata la considerazione finale sull'effettivo valore dell'immortalità.
La piacevolezza e le leggerezza dello stile, però, non impedisce all'autore di alternare scene divertenti ad altre ricche di tensione, paurose e violente (al limite dello splatter), costruendo alla fine un romanzo appassionante con tutti gli elementi del genere al posto giusto, pur con un protagonista decisamente inusitato!
mercoledì 1 agosto 2018
Il trasporto ottimale di Alessio Figalli
E' notizia di oggi che, 44 anni dopo Enrico Bombieri, un altro italiano ha vinto la Medaglia Fields, uno dei massimi premi matematici: Alessio Figalli.
Assegnata ogni 4 anni in occasione del congresso mondiale della matematica, viene assegnata ai migliori matematici under 40. In particolare Fugalli ha ottenuto il premio per i suoi contributi alla teoria del trasporto ottimale.
Le origini della teoria si fanno risalire a Gaspard Monge, matematico francese di fine Ottocento assoldato da Napoleone per risolvere un problema particolare: come costruire dei fortilizi utilizzando il terreno e altro materiale a disposizione. Questo compito implicava anche la necessità di trasportare nel modo migliore possibile (ovvero riducendo al minimo il lavoro necessario) tale materiale. Di fatto Monge ragionando sul problema ha dato inizio alla geometria descrittiva, ma non ne fornì mai una vera e propria soluzione.
Bisogna attendere gli anni Novanta del XX secolo quando l’economista e matematico sovietico Leonid Kantorovich(1) fornì la prima rigorosa descrizione matematica del trasporto ottimale.
Ciò che rende il problema dell’ottimizzazione del trasporto interessante per la matematica è il fatto che il trasporto di materiali e oggetti può essere fatto in molti modi e con mezzi differenti e quindi determinare il modo migliore per completare il trasporto non è necessariamente così banale.
Tra l'altro Figalli, applicando le tecniche del trasporto ottimale, è stato in grado di ottenere un interessante risultato sulla stabilità delle forme dei cristalli. L’idea è abbastanza semplice: se provo a modificare leggermente la forma di una bolla di sapone, l’operazione non darà origine a una drammatica trasformazione della superficie della bolla. Allo stesso modo se fornisco una piccola quantità di energia a un cristallo, mi aspetto che la forma del cristallo resti molto simile a quella iniziale. Figalli, in particolare con l’aiuto di Francesco Maggi e Aldo Pratelli, è riuscito a mostrare matematicamente questo fatto empirico e intuitivo(2).
Assegnata ogni 4 anni in occasione del congresso mondiale della matematica, viene assegnata ai migliori matematici under 40. In particolare Fugalli ha ottenuto il premio per i suoi contributi alla teoria del trasporto ottimale.
Le origini della teoria si fanno risalire a Gaspard Monge, matematico francese di fine Ottocento assoldato da Napoleone per risolvere un problema particolare: come costruire dei fortilizi utilizzando il terreno e altro materiale a disposizione. Questo compito implicava anche la necessità di trasportare nel modo migliore possibile (ovvero riducendo al minimo il lavoro necessario) tale materiale. Di fatto Monge ragionando sul problema ha dato inizio alla geometria descrittiva, ma non ne fornì mai una vera e propria soluzione.
Bisogna attendere gli anni Novanta del XX secolo quando l’economista e matematico sovietico Leonid Kantorovich(1) fornì la prima rigorosa descrizione matematica del trasporto ottimale.
Ciò che rende il problema dell’ottimizzazione del trasporto interessante per la matematica è il fatto che il trasporto di materiali e oggetti può essere fatto in molti modi e con mezzi differenti e quindi determinare il modo migliore per completare il trasporto non è necessariamente così banale.
Tra l'altro Figalli, applicando le tecniche del trasporto ottimale, è stato in grado di ottenere un interessante risultato sulla stabilità delle forme dei cristalli. L’idea è abbastanza semplice: se provo a modificare leggermente la forma di una bolla di sapone, l’operazione non darà origine a una drammatica trasformazione della superficie della bolla. Allo stesso modo se fornisco una piccola quantità di energia a un cristallo, mi aspetto che la forma del cristallo resti molto simile a quella iniziale. Figalli, in particolare con l’aiuto di Francesco Maggi e Aldo Pratelli, è riuscito a mostrare matematicamente questo fatto empirico e intuitivo(2).