Ho un po' trascurato in questi mesi
Cinema Purgatorio, l'antologico ideato da
Alan Moore e realizzato con cinque storie brevi di otto pagine a numero. Ognuna delle storie a sua volta appartiene a una sua saga con una più o meno forte
continuity interna. Gli albi della serie vengono uccessivamente pubblicati in volumi che raccolgono tre uscite alla volta e in Italia la serie è portata da Panini Comics.
La serie principale, che da il titolo al progetto, è
Cinema Purgatorio, realizzata dallo stesso Moore insieme con
Kevin O'Neill ed esplora, attraverso un personaggio rinchiuso in un cinema (e che di questa sua condizione non si è ancora reso conto, nonostante tutti gli indizi), la storia della cinematografia. In particolare nel quarto volume della serie, quello di cui voglio scrivere due righe in questo
post, Moore e O'Neil si occupano del cinema dell'orrore con
Il mistero del picture palace, con una parodia nera di
Frank Capra ne
La vita è nera e gravosa, e soprattutto con un misterioso omicidio in quel di Hollywood in
My Fair Dahlia, seconda storia del trittico.
I sogni muoiono all'alba
Erano le 10 del mattino del 15 gennaio 1947 quando
Betty Bersinger, che stava portando a spasso la figlia di tre anni, trova in un terreno nei pressi di Leimert Park, quartiere meridionale di Los Angeles, il corpo senza vita di una donna nuda e tagliata in due all'altezza della vita, con evidenti segni di tortura su tutto il corpo. La ragazza si scoprì essere
Elizabeth Ann Short, aspirante attrice.
Era giunta a Hollywood nell'agosto del 1946 piena di sogni e speranze, ma gli unici ingaggi che aveva ottenuto erano per dei film pornografici, all'epoca illegali. Nata il 29 luglio del 1924, ebbe una vita breve e non molto facile: già a sei anni, nel 1930, si trovò a vivere con la madre e le quattro solere a Medford nel Massachusetts dopo che il padre abbandonò la famiglia.
La vita con la madre non fu, evidentemente, semplice, se decise ben presto di abbandonare gli studi per lavorare come cameriera. Successivamente, all'età di 19 anni, lasciò la casa materna per andare a vivere con il padre a Los Angeles. Anche questa convivenza fu piuttosto complicata ed Elizabeth si trasferì nuovamente, questa volta a Camp Cooke in California, per lavorare in un ufficio postale.
Il 23 settembre del 1943 venne arrestata in stato di ebrezza, e non essendo ancora legalmente maggiorenne, venne rispedita dalla madre. Successivamente si trasferì in Florida dove conobbe Matthew M. Gordon Jr., che stava per partire in guerra. Tra i due scattò ben più di una simpatia, tanto che Gordon, in una lettera che scrisse mentre era ricoverato in un ospedale militare in India, le chiese di sposarlo. E tutto sarebbe andato per il meglio se il giovane fosse riuscito a tornare in patria: purtroppo un incidente aereo avvenuto il 10 agosto del 1945 spezzò il sogno della ragazza.
Soprannominata
Dalia Nera a causa della sua passione per il film
La dalia azzurra e per il suo abbigliamento scuro, venne per certi versi ritenuta responsabile della sua stessa morte a causa della sua presunta scarsa moralità. Le indagini, in effetti, non sembra siano state condotte con l'usuale precisione, e forse non fu un caso che ben 60 persone furono accusate o si auto-accusarono dell'omicidio, mentre 22 furono considerati i sospettati principali.
L'omicidio è ancora oggi insoluto.
Moore e O'Neil scelgono, per narrare questa vicenda, il genere del
musical, che per certi versi è molto amato da Moore. Lo sceneggiatore britannico, non certo senza un pizzico di ironia e sarcasmo, narra di una vicenda che poco interessava risolvere e mettendo in piedi un pur leggero parallellismo con Marylin Monroe, che compare a un certo punto come co-narratrice insieme a Beth della misteriosa vicenda, con il tempo assorbita negli ingranaggi commerciali di Hollywood ispirando pellicole e altri prodotti più o meno commerciali.
Una visione nel complesso non molto edificante del mondo del cinema.