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sabato 20 marzo 2021

The Man of Steel: figlio dell'era spaziale

Iniziato nell'aprile del 1985, Crisis on Infinite Earths (o Crisi sulle Terre Infinite) fu un crossover epocale per molti motivi, interni alla casa editrice, la DC Comics, ma anche esterni. In quest'ultimo caso la storia, sviluppata in 12 albi da Marv Wolfman per i disegni di George Perez, fornì un nuovo approccio al crossover inteso come una mega storia cui le altre serie si dovevano in qualche modo adattare o con modifiche minime o con l'adozione di una sorta di punto di chiusura (come ad esempio avvenne con Superman nella storia Che cosa è successo all'Uomo del Domani?) o assecondando il crossover con l'uscita dei così detti tie-in, storie collaterali a quella principale che ne arricchiscono la lettura, ma per lo più non sono essenziali per la comprensione degli eventi narrati nel crossover principale.
Questo approccio divenne quello standard per tutti i crossover e soprattutto la tematica cosmica venne subito recepita dalla Marvel, che rispose nel 1990 con Il guanto dell'infinito di Jim Starlin e disegnato da Ron Lim e, guarda un po', ancora una volta da Perez. Non è però della Marvel che voglio scrivere, quanto di uno degli effetti di Crisis sul DC Universe: un reboot di quasi tutte le serie. Anche in questo caso, come era avvenuto con New 52, l'approccio non fu univoco per tutti i personaggi: alcuni videro un vero e proprio azzeramento della continuity, altri un tacito accordo tra gli autori e l'editore con un ringiovanimento dei personaggi e una scelta mai ben codificata di ciò che andava mantenuto e ciò che andava eliminato della continuity precedente.
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Da questa posizione poco chiara per i lettori, ma che aveva come obiettivo quello di mantenere sotto contratto gli autori migliori e più apprezzati dal pubblico, sorse uno dei capolavori dell'epoca, The Man of Steel di John Byrne. Uscito nella seconda metà del 1986, più che riscrivere il mito di Superman, lo ha aggiornato alla nuova epoca. E lo ha fatto anche con un occhio alla scienza, in particolare a quell'era spaziale che era iniziata il 4 ottobre del 1957 con il lancio dello Sputnik da parte dei sovietici. Ed è proprio allo Sputnik che si riferisce Jonathan Kent quando, con la moglie Martha, trova nel suo campo la navicella che ha portato sulla Terra il neonato kryptoniano Kal-El, il futuro Clark Kent, alias Superman.
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A leggere bene la battuta di Jonathan, ci fornisce un'informazione interessante: quell'immediato riferimento allo Sputnik ci fa capire che siamo ben lontani dalla seconda metà degli anni Sessanta, quando gli Stati Uniti cambiano passo nella corsa allo spazio.
Il primo numero di The Man of Steel, però, presenta anche un altro riferimento spaziale: nella sua prima uscita nella grande città, il giovane Clark Kent si ritrova a Metropolis durante la festa per i 250 anni dalla sua fondazione e in quell'occasione viene presentato un aereo spaziale sperimentale. Alcuni dettagli: le linee del velivolo risultano eleganti e moderne, anche se dobbiamo ricordare che quelli erano gli anni dello Shuttle e l'astronave ideata da Byrne sembra, in un certo senso, una sua evoluzione; sulla tuta degli astronauti all'interno del velivolo, tra cui c'è come ospite d'eccezione Lois Lane, troviamo lo stemma della NASA, il che è un evidente indizio di come era ancora ben lungi l'idea di un'esplorazione spaziale da portare avanti insieme con le agenzie private come la SpaceX (anche se i privati hanno sempre lavorato a fianco della NASA nello sviluppo del loro programma spaziale). Ovviamente nel corso della dimostrazione c'è un incidente che costringe Clark a intervenire, rendendolo di fatto la prima apparizione di Superman, anche se il costume sarebbe stato introdotto da Byrne solo alla fine di questo primo numero.
Per il resto Byrne non si preoccupa di dare necessariamente una spiegazione scientifica dei superpoteri di Superman e si limita a fornirci qualche dettaglio collateralmente scientifico, come ad esempio quando Clark per radersi usa la sua "vista calorifica" e un pezzo di metallo lucido per rifletterla e dirigerla con precisione sul volto (sul #4) o come quando inala un gas velenoso e lo libera nella stratosfera (sul #3). In effetti Superman afferma di essere andato nel vuoto gelido dello spazio, ma il suo rientro sulla Terra avviene senza alcun intoppo particolare (prende fuoco, a voler essere precisi), quindi non può essere andato esattamente nel vuoto, ma in una zona molto inferiore (se non la troposfera al massimo la mesosfera).
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Ovviamente questi sono dettagli che arricchiscono la lettura di The Man of Steel: nel corso dei sei numeri della miniserie Byrne ha riassunto gli elementi secondo lui fondamentali nella costruzione del mito di Superman, ma ha anche tracciato le interazioni più importanti, come quella con i genitori o con Lois Lane e gli altri componenti dello staff del Daily Planet, o il rapporto ambiguo con Batman e soprattutto con Lex Luthor.
Una storia dalla narrazione lineare, ma con una serie di spunti e dettagli che Byrne avrebbe poi sviluppato in Superman e in Action Comics e di cui magari scriverò in futuri articoli, anche perché Panini Comics ha iniziato a ristampare il Superman di Byrne nella collana dal edicola Dc Best Seller, che ha lo stesso formato tascabile della ristampa del DareDevil di Frank Miller. Man of Steel è uscito sui primi due numeri della collana, con il secondo numero che vede la copertina di Superman #1, che è anche la copertina dell'ormai lontano (nel tempo) Superman Classic #1 della Play Press. Di questo, però, ne scriverò nel seguito della serie, in occasione dell'uscita del terzo numero della collana.

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