La tradizionale suddivisione della fascia zodiacale(1) in 12 zone risale agli antichi babilonesi, che in effetti all'inizio avevano suddiviso tale fascia in 17 zone differenti, salvo poi ridurle con il miglioramento delle tecniche di osservazione, supportati dall'idea di associare ciascuna zona a un mese dell'anno. Questa tradizione venne successivamente incorporata nelle culture ebraica, greca, romana ed è risultata sostanzialmente invariata nel corso dei secoli nonostante la precessione degli equinozi.
La prima costellazione che dà inizio alla fascia zodiacale è quella dell'Ariete per concludere il suo percorso con i Pesci; tradizionalmente, però, l'anno si conclude e inizia mentre il Sole attraversa la costellazione del Capricorno. Il motivo di tale scelta è, molto probabilmente, legato al solstizio d'inverno, che sancisce la fine dell'autunno e l'inizio della stagione più rigida dell'anno. L'importanza del solstizio d'inverno, soprattutto per quel che riguarda l'agricoltura, era fondamentale: gli antichi romani ritenevano che il sole scendesse letteralmente negli inferi per poi risorgere dopo tre giorni (ricorda qualcosa?), ovvero nella notte tra i nostri 24 e 25 dicembre (ricorda anche questo qualcosa?). Inoltre con il solstizio d'inverno iniziano 12 giorni di passaggio, definiti come "crisi solstiziale" che sanciscono il passaggio dall'anno vecchio all'anno nuovo: il passaggio non era netto e durante questi 12 giorni l'anno morente conviveva con l'anno nascente, che poteva considerarsi pienamente arrivato solo nel nostro 6 gennaio, durante l'epifania. In effetti il detto "l'epifania tutte le feste si porta via" risulta molto più logico, considerando la sua collocazione all'interno del calendario. Quindi la fine dell'anno vecchio e l'inizio di quello nuovo era il punto intermedio in questa "crisi solstiziale", diventando così la fine del calendario precedente e l'inizio di quello nuovo. Inoltre la scelta del 12 come durata della "crisi solstiziale" non era casuale, ma legata esattamente alle 12 costellazioni che il carro del sole, che noi oggi abbiamo sostituito con la slitta di Babbo Natale, deve attraversare durante il suo percorso annuale nel cielo.
Il cielo è, dunque, ricco di storie che sono lì per essere tramandate e ha ispirato, anche con i passaggi stagionali, tradizioni, miti e leggende che con la cristianizzazione prima e la commercializzazione delle feste poi tendiamo spesso a dimenticare, ma è sempre bello scoprirle (o riscoprirle) ogni tanto per costruire e arricchire il nostro sense of wonder nei confronti della vita.
Dunque, un buon anno a tutti!
Questo breve post raccoglie e rielabora giusto alcune delle informazioni contenute in un bellissimo articolo di Marco Maculotti su AXIS mundi che vi consiglio caldamente di leggere!
Stomachion
lunedì 31 dicembre 2018
domenica 30 dicembre 2018
Topolino #3292: Orgoglio, pregiudizio e paperi
L'ultimo numero di Topolino del 2018 si apre con la prima puntata di Orgoglio e pregiudizio, parodia dell'omonimo romanzo di Jane Austen realizzata da Teresa Radice e Stefano Turconi che era stata anticipata nel corso di Cartoomics 2017 ai prodi intervistatori di LSB che all'annuncio diedero voce a tutto il loro stupore e ammirazione (lo so bene, visto che c'ero!).
Per cui iniziamo proprio con la prima delle tre puntate previste:
Dove si introducono i personaggi e si prepara la vicenda
Non avendo ancora iniziato ad affrontare le opere più corpose della Austen, il confronto tra la parodia e il romanzo viene rimandato a tempi migliori, anche se il confronto con lo stile della scrittrice britannica è, invece, più semplice. D'altra parte la stessa Austen fa parte della storia, visto che la sua versione papera racconta la storia alla versione papera della sua migliore amica, Martha Lloyd. Questa interazione, però, permette ai due autori di alternare le scene del romanzo al dialogo tra le due amiche, con Martha che si appassiona sempre più alla narrazione di Jane, che si mostra molto affabulatoria e con quel pizzico di ironia tipico della vera Austen, senza dimenticare lo stile narrativo in cui sembra quasi che la scrittrice non conosca a fondo né come si dipanerà la storia né come reagiranno i suoi stessi personaggi. Questo espediente genera così attesa in Martha ma anche nel lettore.
I protagonisti della parodia, invece, sono i paperi. La scelta dei personaggi, però, se da un lato risulta più efficace dell'altra grande parodia di genere simile uscita quest'anno, Piccole papere, dall'altro fa un po' storcere il naso visto che si assegna a Paperetta Yé-Yé il personaggio più anziano, Jane, mentre è Paperina ad avere quello più giovane, Elizabeth, tra le due sorelle Pennet, che ovviamente prendono il posto dei Bennet del romanzo. Alla scelta cronologica si aggiunge anche l'idea in qualche modo confortante della sostituzione del padre di famiglia dei Bennet con Nonna Papera/Elvira Pennet e della madre di famiglia con Brigitta/Bridget Pennet. La coppia tradizionale del romanzo viene così sostituita da due sorelle, Elvira e Bridget, e da cinque nipoti (a Paperetta e Paperina sono aggiunte Ely, Emy ed Evy) saltando così la generazione di mezzo: d'altra parte si sa che i genitori non sono importanti(1)...
sabato 29 dicembre 2018
Il cammino della cumbia
Puntualmente con la fine dell'anno ritorno ad ascoltare The last good day of the year dei Cousteau e tutto il loro disco d'esordio. E con la calda voce di Liam McKahey nelle orecchie mi metto a leggere qualcosa che con i Cousteau ha ben poco a che fare, Il cammino della cumbia di Davide Toffolo.
Il libro, edito da Oblomov, lo prendo quasi a scatola chiusa. In fondo il leader dei Tre allegri ragazzi morti aveva già realizzato un pezzo in stile cumbia presente nel disco Inumani dove Jovanotti faceva da guest star e in generale il suo stile narrativo, fatto di vignette ampie e ariose, mi piace non poco, così nonostante i difetti dell'editore (assenza di informazioni sull'opera che si vorrebbe acquistare o sull'autore che l'ha realizzata, e motivo per cui non ho acquistato molti titoli di Oblomov) acquisto l'ultima opera di Toffolo, che, come ricorda Francesco Pelosi nella sua recensione su LSB, era già stata serializzata su Linus.
In questo senso la struttura episodica emerge anche nella raccolta in volume, soprattutto come difetto e non come valore aggiunto: né l'autore né l'editore, infatti, pensano bene di inserire indicazioni che identificano ciascun episodio, cosa che in alcuni punti avrebbe decisamente giovato alla lettura stessa.
Il libro, edito da Oblomov, lo prendo quasi a scatola chiusa. In fondo il leader dei Tre allegri ragazzi morti aveva già realizzato un pezzo in stile cumbia presente nel disco Inumani dove Jovanotti faceva da guest star e in generale il suo stile narrativo, fatto di vignette ampie e ariose, mi piace non poco, così nonostante i difetti dell'editore (assenza di informazioni sull'opera che si vorrebbe acquistare o sull'autore che l'ha realizzata, e motivo per cui non ho acquistato molti titoli di Oblomov) acquisto l'ultima opera di Toffolo, che, come ricorda Francesco Pelosi nella sua recensione su LSB, era già stata serializzata su Linus.
In questo senso la struttura episodica emerge anche nella raccolta in volume, soprattutto come difetto e non come valore aggiunto: né l'autore né l'editore, infatti, pensano bene di inserire indicazioni che identificano ciascun episodio, cosa che in alcuni punti avrebbe decisamente giovato alla lettura stessa.
venerdì 28 dicembre 2018
Vivere in un dodecaedro
Una omologia è una particolare funzione matematica che permette di associare una serie di oggetti algebrici, come un gruppo abeliano, ad altri oggetti matematici, come ad esempio uno spazio topologico. Allora una sfera omologa è uno spazio a $n$ dimensioni il cui gruppo di omologia è quello della sfera. Un esempio di questo particolare oggetto matematico è la sfera omologa di Poincaré, nota anche come spazio dodecaedrico di Poincaré, che, come suggerisce il nome, può essere costruito a partire da un dodecaedro (un poliedro con 12 facce).
Nel 2003 un team guidato da Jean-Pierre Luminet dell'Osservatorio di Parigi, partendo dalle osservazioni di WMAP, il satellite che ha studiato la radiazione cosmica di fondo prima di Planck, ha suggerito che la forma dell'universo fosse quella di una sfera di Poincaré(1). Uno studio successivo, i cui risultati vennero pubblicati nel 2008, basato su tre anni di dati sempre di WMAP fornì ulteriori conferme al modello secondo il quale viviamo in uno spazio dodecaedrico di Poincaré(2). L'idea, però, viene fortemente indebolita, se non abbandonata del tutto, nel 2016 quando dall'analisi dei dati raccolti da Planck si conclude che la topologia dell'universo non può essere quella di uno spazio compatto(3), come la sfera omologa di Poincaré o un piano proiettivo più in generale. Ovviamente ciò non vuol dire che viviamo su un piano infinito, ma che la storia potrebbe essere leggermente differente da quello che pensiamo, un po' come per i saggi bendati che cercano di capire la forma di un elefante.
giovedì 27 dicembre 2018
L'universo come piano proiettivo
Mentre scrivevo l'articolo sul Dobble, mi sono accorto di una particolare proprietà: il sistema di Steiner generato dalla formula $S(2,q+1,q^2+q+1)$ è anche un piano proiettivo di ordine $q$. Questa struttura matematica non è altro (semplificando all'osso) che un piano euclideo con una retta posta all'infinito come bordo del piano stesso, ottenendo così una violazione del postulato delle rette parallele senza modificare la geometria euclidea del piano. Tra le proprietà del piano proiettivo risultano interessanti quelle relative alla sua superficie, che non è orientabile, come un nastro di Moebius, ed è in un certo senso simile a una bottiglia di Klein.
Quindi sia un nastro di Moebius sia una bottiglia di Klein sono dei modelli di piano proiettivo, nonostante non abbiano nulla a che fare con il canonico piano. Questo vuol dire che, partendo dalle restrizioni sperimentali sulla piattezza dell'universo, è possibile immaginare l'universo come piano proiettivo. Tale supposizione ha portato John Horton Conway e Juan Pablo Rossetti a suggerire dieci possibili forme finite per l'universo, chiamate platycosm. Alle dieci finite (tra cui ci sono sia il nastro di Moebius, sia la bottiglia di Klein) vi sono anche delle strutture infinite come il prodotto cartesiano tra un cerchio e un piano infinito.
Ad ogni modo, l'aspetto interessante della faccenda è che, mentre siamo tutti impegnati a utilizzare un piano infinito per descrivere la geometria piatta dell'universo che siamo in grado di osservare, i matematici semplicemente ci suggeriscono che l'universo potrebbe curvare per ogni dove ma avere comunque una geometria globalmente piatta.
Quindi sia un nastro di Moebius sia una bottiglia di Klein sono dei modelli di piano proiettivo, nonostante non abbiano nulla a che fare con il canonico piano. Questo vuol dire che, partendo dalle restrizioni sperimentali sulla piattezza dell'universo, è possibile immaginare l'universo come piano proiettivo. Tale supposizione ha portato John Horton Conway e Juan Pablo Rossetti a suggerire dieci possibili forme finite per l'universo, chiamate platycosm. Alle dieci finite (tra cui ci sono sia il nastro di Moebius, sia la bottiglia di Klein) vi sono anche delle strutture infinite come il prodotto cartesiano tra un cerchio e un piano infinito.
Conway, J. H., & Rossetti, J. P. (2003). Describing the platycosms. arXiv preprint math/0311476.
Una delle conseguenze dei platycosm è che, se ad esempio l'universo è un nastro di Moebius, partendo dalla Terra con una navicella spaziale e viaggiando dritti, per ritrovarci nell'esatta posizione di partenza dovremmo compiere il giro dell'universo per due volte.Ad ogni modo, l'aspetto interessante della faccenda è che, mentre siamo tutti impegnati a utilizzare un piano infinito per descrivere la geometria piatta dell'universo che siamo in grado di osservare, i matematici semplicemente ci suggeriscono che l'universo potrebbe curvare per ogni dove ma avere comunque una geometria globalmente piatta.
mercoledì 26 dicembre 2018
Il giardino del diavolo
Un giardino del diavolo è un'ampia zona all'interno della foresta pluviale amazzonica costituita quasi esclusivamente da un'unica specie, la Duroia hirsuta. I giardini del diavolo sono immediatamente riconoscibili poiché la supremazia dei una singola specie di alberi è drammaticamente differente rispetto alla biodiversità dell'intera foresra.
I giardini del diavolo devono il loro nome poiché gli autoctoni credevano che uno spirito maligno, Chullachaki, abitava la foresta.
La formica Myrmelachista schumanni, nota anche come formica dei limoni, crea i gardini del diavolo avvelenando sistematicamente tutte le piante dell'area eccetto la D. hirsuta, l'albero dentro cui nidifica. La formica avvelena le piante iniettando un acido formico alla base delle foglie. Uccidendo le altre piante, la formica permette la crescita e la riproduzione della D. hirsuta, i cui steli cavi forniscono degli ottimi siti per i nidi delle formiche; una singola colonia di formiche può avere più di tre milioni di operaie e 15000 regine e può sopravvivere per più di 800 anni. Sebbene le formiche difendano la zona dagli erbivori, le dimensioni del giardino sono limitate dalla distruzione delle foglie che aumenta con l'espansione, fino a che le formiche non sono più in grado di difendere gli alberi oltre un certo punto.
I giardini del diavolo devono il loro nome poiché gli autoctoni credevano che uno spirito maligno, Chullachaki, abitava la foresta.
La formica Myrmelachista schumanni, nota anche come formica dei limoni, crea i gardini del diavolo avvelenando sistematicamente tutte le piante dell'area eccetto la D. hirsuta, l'albero dentro cui nidifica. La formica avvelena le piante iniettando un acido formico alla base delle foglie. Uccidendo le altre piante, la formica permette la crescita e la riproduzione della D. hirsuta, i cui steli cavi forniscono degli ottimi siti per i nidi delle formiche; una singola colonia di formiche può avere più di tre milioni di operaie e 15000 regine e può sopravvivere per più di 800 anni. Sebbene le formiche difendano la zona dagli erbivori, le dimensioni del giardino sono limitate dalla distruzione delle foglie che aumenta con l'espansione, fino a che le formiche non sono più in grado di difendere gli alberi oltre un certo punto.
martedì 25 dicembre 2018
lunedì 24 dicembre 2018
Carol of the bells
Carol of the bells è una canzone natalizia composta dall'ucraino Mykola Leontovych nel 1914 con le parole dello statunitense Peter J. Wilhousky. Si basa sul canto popolare ucraino, sempre natalizio, Shchedryk. Mentre il testo di Wilhousky è protetto da copyright, le musiche di Leontovych sono in pubblico dominio. La marcia del compositore ucraino ha un ritmo decisamente coinvolgente con alcune inflessioni oserei dire gotiche che la rende perfetta per la versione symphonyc metal della Trans-Siberian Orchestra, a quanto pare in collaborazione con i Metallica.
Quindi Buon Natale con Carol of the bells:
Quindi Buon Natale con Carol of the bells:
domenica 23 dicembre 2018
Topolino #3291: Un corale Buon Natale
Bisognava attendere Natale per avere un numero corale di Topolino. A sommario, infatti, dopo la storia d'apertura con Topolino protagonista, il resto del numero presenta storie con protogonisti differenti, proponendo così ai lettori un ampio spaccato del vasto cast disneyano. Del resto delle storie partirei con il ritorno della serie I tesori del grande blu.
L'avventura scritta da Nigro, nonostante le premesse natalizie, scorre come una buona storia di genere, in qualche modo verniana per ispirazione, anche se più ingenua rispetto ai capolavori fantascientifici dello scrittore francese. Viene poi impreziosita dagli spettacolari e dettagliati disegni di Roberto Vian, che mostra tutta la forza del suo stile preciso e dettagliato non solo in quadruple d'effetto o con doppie vignette dalle inquadrature cinematografiche, ma anche nei primi piani dei personaggi.
Alla ricerca della slitta di Babbo Natale
L'unico elemento in comune alle varie storie del numero è la presenza di Babbo Natale. D'altra parte non tutti gli autori possono avere la libertà di Carl Barks che in molte storie non solo dava per scontato che il lettore non credesse nell'esistenza di un magico essere che consegna i regali la notte della vigilia, ma che gli stessi nipotini, nonostante l'età, sapessero della sua non esistenza. Certo, negli anni Babbo Natale ha iniziato a essere veramente interpretato in quel della Finlandia, in modo tale che i genitori non si sentissero in colpa a parlare ai figli del personaggio. Date queste premesse è allora più che ovvio che ogni storia del numero natalizio preveda la presenza della pacioccosa e commerciale reinterpretazione del famoso San Nicola di Bari.
Il personaggio si è fuso con la tradizione fantastica nordica, fornendogli gli elfi come assistenti nella sua bottega artigiana dove costruisce i regali per tutti i bambini del mondo. Nel Natale sotto i mari Sisto Nigro fa perdere la slitta di Babbo Natale in fondo al mare a causa di un elfo pasticcione che, invece di prepararla per la partenza, decide di provarla, sperimentando prodezze acrobatiche che gli fanno perdere il controllo della slitta, che cade nel bel mezzo del misterioso quadrangolo delle Sperdutas. Così Babbo Natale si rivolge a Paperone, che in quel momento ospita al deposito il suo amico dei sette mari, il capitano Pato, per recuperare la magica slitta grazie al Paper Kraken. Così Paperone e Pato partono alla volta dei misterioso quadrangolo per l'operazione di recupero più incredibile della storia!L'avventura scritta da Nigro, nonostante le premesse natalizie, scorre come una buona storia di genere, in qualche modo verniana per ispirazione, anche se più ingenua rispetto ai capolavori fantascientifici dello scrittore francese. Viene poi impreziosita dagli spettacolari e dettagliati disegni di Roberto Vian, che mostra tutta la forza del suo stile preciso e dettagliato non solo in quadruple d'effetto o con doppie vignette dalle inquadrature cinematografiche, ma anche nei primi piani dei personaggi.
venerdì 21 dicembre 2018
La storia di Freddie il fotone
cc @astrilari @stefacrono @Pillsofscience @cosmobrainonair @Scientificast @MathisintheAir @mrpalomar
Dopo una lunga gestazione durata diversi anni, arriva finalmente al cinema il film dedicato a Freddie Mercury e ai Queen, Bohemian Rhapsody, come il titolo di una delle canzoni più note e di successo della band inglese di nerd e disadattati che ha rivoluzionato il mondo del rock e della musica in generale. Indubbiamente un film su Freddie Mercury ha nella colonna sonora il suo punto di forza, grazie alla forza trascinante della musica dei Queen: devo, in effetti, confessare che le ho cantate più o meno tutte, ovviamente sottovoce, e ho stentato a trattenermi dal tenere il ritmo come se fossi a un loro concerto, in particolare in occasione di We will rock you, peraltro uno dei pezzi scritti da Brian May, e che in effetti rappresenta molto bene l'altra rivoluzione che i Queen hanno portato nella musica, il coinvolgimento del pubblico durante i live.Nel complesso il film, pur di fronte a differenze, anche abbastanza importanti, nella biografia, risulta molto ben fatto e ben recitato. D'altra parte il compito per gli attori non era agevole: muoversi sul palco come degli animali da palcoscenico come i Queen era abbastanza arduo, in particolare il compito di Rami Malek che interpretava Mercury. D'altra parte, se pensiamo un attimo all'impianto del film, le licenze che Anthony McCarten si è preso nella sceneggiatura sono in qualche modo giustificabili. Il film, infatti, ruota intorno a quello che viene considerato non solo il concerto migliore della band, ma il live migliore in assoluto nella storia della musica: la performance di 20 minuti sul palco del Live Aid nel 1984 a Wembley. In questo senso risulta incredibilmente emozionate, oltre che ben interpretata nelle movenze, proprio la scena che sintetizza questi mitici 20 minuti, e questo anche grazie alla regia di Bryan Singer e Dexter Fletcher, che lo ha sostituito quando Synger, a film quasi ultimato, è stato licenziato.
Se il Live Aid era da considerarsi punto di partenza e di arrivo della narrazione, il resto del compito del film è stato quello di raccontare la personalità di Mercury, i suoi obiettivi e in parte i suoi eccessi, enfatizzando gli eventi e le persone che in qualche modo hanno contribuito a questi eccessi. Emerge un personaggio molto partecipe non solo nella musica, ma anche nei rapporti con molte delle persone che lo circondavano: in qualche modo è proprio questa forte partecipazione emotiva che lo spinse verso l'eccesso (mi spingerei a fare dei paragoni con alcuni fisici teorici che ebbero una porzione della loro vita ricca di eccessi, ma preferisco evitare).
Dato in particolare quest'ultimo come compito del film, le licenze poetiche di McCarten sono quasi comprensibili, e per approfondirle vi rimando alla sezione relativa sulla pagina di en.wiki del film.
Nel resto dell'articolo vorrei, invece, soffermarmi sulla canzone, scritta proprio da Freddie Mercury, che in qualche modo fornisce il titolo del post, Don't stop me now.
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giovedì 20 dicembre 2018
Dobble e il sistema di Steiner
A volte le pause pranzo sono particolarmente stimolanti per trovare spunti per scrivere articoli. E' il caso del post di oggi: un paio di giorni fa, infatti, si discuteva di Dobble, un gioco da tavolo costituito da 55 carte circolari su cui sono apposti 8 simboli e ogni carta ha uno e un solo simbolo in comune con un'altra carta presa a caso dal mazzo. Ovviamente la curiosità è su quale sia la matematica sottesa al gioco.
La risposta, quanto meno quella più semplice e superficiale, è abbastanza ovvia: la combinatoria. Questa branca della matematica si occupa degli insiemi costituiti da oggetti finiti, andando a studiare permutazioni, combinazioni, quadrati magici e altre robette del genere, più o meno tutte nel campo dei giochi, come le disposizioni dei pezzi sulla scacchiera. In particolare per Dobble giocano un ruolo fondamentale i sistemi di Steiner, che rientrano nella sottobranca della matematica nota come block design (qualcosa come proggrammazione a blocchi - lo so, ho forzato un po' la traduzione!).
Il sistema di Steiner, scoperto nel 1853 dal matematico svizzero Jakob Steiner, è una particolare struttura matematica costituita da un insieme $S$ di $n$ elementi finiti, strutturati in sottoinsiemi di $k$ elementi detti blocchi con la proprietà che $t$ blocchi hanno in comune uno e un solo elemento. Tutto ciò viene matematicamente indicato come $S (t,k,n)$.
La risposta, quanto meno quella più semplice e superficiale, è abbastanza ovvia: la combinatoria. Questa branca della matematica si occupa degli insiemi costituiti da oggetti finiti, andando a studiare permutazioni, combinazioni, quadrati magici e altre robette del genere, più o meno tutte nel campo dei giochi, come le disposizioni dei pezzi sulla scacchiera. In particolare per Dobble giocano un ruolo fondamentale i sistemi di Steiner, che rientrano nella sottobranca della matematica nota come block design (qualcosa come proggrammazione a blocchi - lo so, ho forzato un po' la traduzione!).
Il sistema di Steiner, scoperto nel 1853 dal matematico svizzero Jakob Steiner, è una particolare struttura matematica costituita da un insieme $S$ di $n$ elementi finiti, strutturati in sottoinsiemi di $k$ elementi detti blocchi con la proprietà che $t$ blocchi hanno in comune uno e un solo elemento. Tutto ciò viene matematicamente indicato come $S (t,k,n)$.
mercoledì 19 dicembre 2018
The First: Destinazione Marte
Ieri sera è stato lanciato con un evento gratuito in vari cinema italiani The First, la nuova serie di Beau Willimon, il creatore di House of Cards. Sono andato al Cinema Arcobaleno, l'unico nella città milanese che ha aderito all'inizitiva per vedere i primi due degli 8 episodi di cui è costituita la prima stagione, in Italia presentata in esclusiva da Tim Vision. Queste le impressioni che mi ha lasciato la serie.
Intanto la trama: The First racconta la sfida della prima missione umana verso Marte. Tutto, però, inizia con un incidente, l'esplosione del razzo che porta il primo equipaggio destinato a giungere sul pianeta rosso. Il protagonista della serie, Tom Hagerty, interpretato da Sean Penn, non è però a bordo della navicella: per un ancora ignoto motivo è stato escluso dall'equipaggio. Ad affiancarlo come coprotagonista troviamo Natascha McElhone che interpreta Laz Ingram, scienziata e CEO della ditta che ha ottenuto l'appalto dalla Nasa per costruire il razzo, denominato come Providence e che possiamo considerare come l'equivalente al femminile di Elon Musk. Ovviamente, oltra ai due protagonisti principali, c'è un contorno di personaggi più o meno secondari, qualcuno più efficace qualcun altro meno, qualcuno più importante di altri, come la figlia di Hagerty, qualcuno con una semplice comparsata. La serie è anche ricca di piccole citazioni, alcune facilmente riconoscibili, come quella di Carl Sagan sul vivere su un granello di polvere spospeso su un raggio di Sole, altre un po' meno.
Intanto la trama: The First racconta la sfida della prima missione umana verso Marte. Tutto, però, inizia con un incidente, l'esplosione del razzo che porta il primo equipaggio destinato a giungere sul pianeta rosso. Il protagonista della serie, Tom Hagerty, interpretato da Sean Penn, non è però a bordo della navicella: per un ancora ignoto motivo è stato escluso dall'equipaggio. Ad affiancarlo come coprotagonista troviamo Natascha McElhone che interpreta Laz Ingram, scienziata e CEO della ditta che ha ottenuto l'appalto dalla Nasa per costruire il razzo, denominato come Providence e che possiamo considerare come l'equivalente al femminile di Elon Musk. Ovviamente, oltra ai due protagonisti principali, c'è un contorno di personaggi più o meno secondari, qualcuno più efficace qualcun altro meno, qualcuno più importante di altri, come la figlia di Hagerty, qualcuno con una semplice comparsata. La serie è anche ricca di piccole citazioni, alcune facilmente riconoscibili, come quella di Carl Sagan sul vivere su un granello di polvere spospeso su un raggio di Sole, altre un po' meno.
martedì 18 dicembre 2018
Ritratti: Sophus Lie
Evariste Galois e Niels Abel, però non tutti i gruppisti sono romantici, o quanto meno non nel senso dei due fondatori. Ad esempio non c'è alcuna morte per duello o per povertà nella biografia di Sophus Lie, matematico norvegese, proprio come Abel, è altra figura fondamentale nel panorama della teoria dei gruppi.
Nato il 17 dicembre del 1842 (quindi sono puntualmente in ritardo per raccontarvi le solite quattro cose!) iniziò ufficialmente la sua carriera matematica nel 1869 quando venne pubblicato il suo primo lavoro matematico, Repräsentation der Imaginären der Plangeometrie (più o meno rappresentazione degli immaginari in geometria piana) sulla rivista Journal für die reine und angewandte Mathematik. L'uscita dell'articolo gli permise di ottenere una borsa di studio che gli consentì di andare a Berlino, dove rimase dal settembre di quello stesso anno fino al febbraio dell'anno successivo.
Il suo interesse verso la matematica, però, era stato puramente incidentale: il suo desiderio era, infatti, intraprendere una carriera militare, che gli era preclusa a causa dei suoi problemi di vista. Fu così che si iscrisse all'Università di Christiania, la moderna Oslo, dove seguì vari corsi scientifici. Tra questi c'erano in particolare il corso di Ludwig Sylow incentrato sui lavori di Abel e Galois tenuto nel 1862 (anche se è un po' in dubbio che Lie seguì le sue lezioni, sebbene l'argomento delle sue ricerche suggerirebbe il contrario) e quello di Carl Bjerknes sulla matematica. Ad ogni modo Lie non aveva mostrato alcuna particolare capacità matematica e anzì restò per un annetto circa nel limbo di quale interesse intraprendere tra i molti esplorati (fisica, zoologia, astronomia...). Poi nel 1866 iniziò a divorare libri di matematica dalla biblioteca dell'università(1).
E fu allora che la passione per questa affascinante disciplina lo prese, si potrebbe dire inevitabilmente: raccontano gli annali(1) che nel mezzo della notte, dopo aver raggiunto una brillante nuova idea matematica, Lie andò di corsa a svegliare il suo amico Ernst Motzfeldt che evidentemente dormiva beato dicendogli:
La teoria dei gruppi è stata in pratica fondata da quelli che amo definire i matematici romantici,
Nato il 17 dicembre del 1842 (quindi sono puntualmente in ritardo per raccontarvi le solite quattro cose!) iniziò ufficialmente la sua carriera matematica nel 1869 quando venne pubblicato il suo primo lavoro matematico, Repräsentation der Imaginären der Plangeometrie (più o meno rappresentazione degli immaginari in geometria piana) sulla rivista Journal für die reine und angewandte Mathematik. L'uscita dell'articolo gli permise di ottenere una borsa di studio che gli consentì di andare a Berlino, dove rimase dal settembre di quello stesso anno fino al febbraio dell'anno successivo.
Il suo interesse verso la matematica, però, era stato puramente incidentale: il suo desiderio era, infatti, intraprendere una carriera militare, che gli era preclusa a causa dei suoi problemi di vista. Fu così che si iscrisse all'Università di Christiania, la moderna Oslo, dove seguì vari corsi scientifici. Tra questi c'erano in particolare il corso di Ludwig Sylow incentrato sui lavori di Abel e Galois tenuto nel 1862 (anche se è un po' in dubbio che Lie seguì le sue lezioni, sebbene l'argomento delle sue ricerche suggerirebbe il contrario) e quello di Carl Bjerknes sulla matematica. Ad ogni modo Lie non aveva mostrato alcuna particolare capacità matematica e anzì restò per un annetto circa nel limbo di quale interesse intraprendere tra i molti esplorati (fisica, zoologia, astronomia...). Poi nel 1866 iniziò a divorare libri di matematica dalla biblioteca dell'università(1).
E fu allora che la passione per questa affascinante disciplina lo prese, si potrebbe dire inevitabilmente: raccontano gli annali(1) che nel mezzo della notte, dopo aver raggiunto una brillante nuova idea matematica, Lie andò di corsa a svegliare il suo amico Ernst Motzfeldt che evidentemente dormiva beato dicendogli:
L'ho trovata, ed è piuttosto semplice!
lunedì 17 dicembre 2018
Giochi da pavimento
Nel 2000 la Sellerio ha dato alle stampe una piccola edizione italiana del famoso Floor Games di Herbert George Wells, lo stesso autore de La macchina del tempo e La guerra dei mondi. E' un gran bel libro, che in lingua originale è liberamente disponibile sul Project Gutenberg insieme con il successivo War Games. Contiene delle proposte interessanti e alternative non solo per il nostro mondo moderno, ma anche per l'epoca, grazie all'inventiva di Wells, che propone al lettore l'uso di giochi e giocattoli in legno, con tanto di regole e costruzione dei mondi: tutti ingredienti che oggi si ritrovano in molti videogiochi di genere.
La lettura del librettino è, dunque, altamente consigliata, anche visto il periodo, e potete inoltre trovare un'edizione corredata dalle immagini su archive.org. Un'altra edizione elettronica, in pdf, è quella rilasciata dalla Penn State University.
Buona lettura e, soprattutto, buoni giochi!
La lettura del librettino è, dunque, altamente consigliata, anche visto il periodo, e potete inoltre trovare un'edizione corredata dalle immagini su archive.org. Un'altra edizione elettronica, in pdf, è quella rilasciata dalla Penn State University.
Buona lettura e, soprattutto, buoni giochi!
domenica 16 dicembre 2018
Topolino #3290: Un insolito innocente
Il #3290 di Topolino è un numero di cui ho letto poco, appena tre storie, trascurando quella iniziale, nonostante la garanzia di una bella scrittura da parte di Federico Rossi Edrighi, ma onestamente non sono riuscito ad affrontare la lettura di una storia calcistica unita con una prima parte dedicata a uno sport che ormai ben poco mi riesce a raccontare. Così, dopo la recensione separata de La regina del fiume, proseguo con quella che considero la storia migliore del numero (anche se la lettura dello stesso è parziale):
In qualche modo la storia di Giorgio Fontana risulta scontata dal punto di vista giallistico, ma l'interesse dello scrittore non è tanto quello di scrivere un'avventura di genere, ma giocare con l'idea di un Gambadilegno improvvisamente onesto, al quale, peraltro, crede il solo Pippo. La prima parte della storia risulta così leggera e gradevole tra l'assurdo comportamento dell'ipnotizzato Gamba e la gustosa interazione di quest'ultimo con il migliore amico di Topolino. Quest'ultimo entra in scena nella seconda parte, quella che risolve la vicenda e riporta lo status quo alla normalità e che, soprattutto, conduce il lettore al cuore della storia: Gambadilegno era onesto per finta, quindi non poteva essere accettabile la sua condizione, in nome della libera scelta di ognuno.
Ad affiancare il romanziere troviamo il maestro Giorgio Cavazzano, come sempre in gran forma e che nel finale strizza un po' l'occhio al suoi stesso Topolino, quello ritratto ne La voce spezzata, la storia di quasi trent'anni fa che aveva riportato un po' di entusiasmo sul personaggio.
Onesto per finta
Topolinia è colpita da un'ondata di furti ai danni dei cittadini più danarosi, ma nessuno dei ladri locali, Pietro Gambadilegno in testa, è coinvolto nell'impresa criminosa. Il buon Gamba, però, è intenzionato a porre un freno alla cosa per riportare la criminalità topolinese in prima linea e gli capita l'occasione per iniziare tale percorso di... "riabilitazione": svaligiare la casa dell'ipnotista Topperfield. Quest'ultimo, però, è pronto ad accoglierlo e, grazie alle sue capacità, lo convince di essere un cittadino modello di Topolinia.In qualche modo la storia di Giorgio Fontana risulta scontata dal punto di vista giallistico, ma l'interesse dello scrittore non è tanto quello di scrivere un'avventura di genere, ma giocare con l'idea di un Gambadilegno improvvisamente onesto, al quale, peraltro, crede il solo Pippo. La prima parte della storia risulta così leggera e gradevole tra l'assurdo comportamento dell'ipnotizzato Gamba e la gustosa interazione di quest'ultimo con il migliore amico di Topolino. Quest'ultimo entra in scena nella seconda parte, quella che risolve la vicenda e riporta lo status quo alla normalità e che, soprattutto, conduce il lettore al cuore della storia: Gambadilegno era onesto per finta, quindi non poteva essere accettabile la sua condizione, in nome della libera scelta di ognuno.
Ad affiancare il romanziere troviamo il maestro Giorgio Cavazzano, come sempre in gran forma e che nel finale strizza un po' l'occhio al suoi stesso Topolino, quello ritratto ne La voce spezzata, la storia di quasi trent'anni fa che aveva riportato un po' di entusiasmo sul personaggio.
sabato 15 dicembre 2018
Le grandi domande della vita: Speciale Terra di Mezzo
Che ne pensiamo de "La relatività con Il Signore degli Anelli?" cc @stefacrono @Pillsofscience @astrilari @MathisintheAir @Scientificast @Popinga1
Come spesso succede, organizzo i post in gruppi, a volte consecutivi, altre più o meno sparsi. E così, giusto perché una trilogia è sempre meglio di una coppia, ecco che dopo la recensione de La storia di Kullervo e l'articolo sull'ultima luna d'autunno arriva uno speciale de Le grandi domande della vita dedicato alla Terra di Mezzo di J.R.R. Tolkien.
La forma della Terra di Mezzo
Steven Weinberg è uno dei più noti fisici teorici del XX secolo. Insieme con Abdus Salam e Sheldon Glashow ha vinto il Premio Nobel per la fisica nel 1979 per l'unificazione della forza debole con quella elettromagnetica. Nell'introduzione del suo poderoso libro Gravitation and cosmology: principles and applications of the general theory of relativity discute le origini della geometria non-euclidea e propone una mappa interessante con tanto di domanda intrigante: La Terra di Mezzo è piatta?
Come spiegavo qualche giorno fa, per determinare la curvatura o meno di una superficie, un metodo pratico è quello di misurare gli angoli di un triangolo sufficientemente grande tracciato sulla sua superficie. Se però prendiamo quattro punti distinti sulla superficie, possiamo prendere le 6 distanze relative tra i quattro punti scelti per determinare, attraverso una relazione più o meno complicata, la metrica della superficie. In particolare se i quattro punti fanno parte di una rete semplicemente connessa(1) o più in generale di un piano allora la relazione seguente risulta verificata:
venerdì 14 dicembre 2018
L'ultima luna d'autunno
Quest'anno l'autunno è iniziato il 23 settembre e si concluderà il 21 dicembre. Dal punto di vista astronomico la stagione è definita dall'equinozio d'autunno, che ne determina l'inizio, e il solstizio d'inverno, che ne determina la conclusione. Se andiamo a consultare il calendario delle fasi lunari (la versione originale della NASA è disponibile su archive.org: ho utilizzato la versione del 10 aprile 2014) scopriamo che le lune nuove d'autunno cadono il 9 ottobre alle 3:47, il 16 novembre alle 16:02 e il 7 dicembre alle 7:20, e visto che sono tutte date passate al momento della pubblicazione di questo articoletto, mi scuso con tutti per la prontezza di riflessi.
Ciò che però potrebbe suonare interessante per tutti gli appassionati tolkeniani è il giorno di Durin, il primo giorno dell'anno nuovo dei Nani che cade il primo giorno dell'ultima luna nuova crescente d'autunno. In particolare Bilbo Baggins e la compagnia di nani che lo accompagna giungono finalmente presso la Montagna Solitaria dove il drago Smaug dimora all'interno dei possedimenti dei Nani, custodendo per se il loro tesoro.
Rispetto alla definizione classica, Tolkien definisce l'autunno come la stagione che va dal giorno a metà tra solstizio d'estate ed equinozio d'autunno fino al giorno a metà tra l'equinozio d'autunno e il solstizio d'inverno, o più semplicemente tra il 3.o e il 4.o cross quarter-day. Questo vuol dire che l'ultima luna d'autunno cadrà, secondo il nostro calendario, tra fine ottobre e inizio di novembre (nel caso del 2018 sarebbe il 9 ottobre). In particolare ne Lo Hobbit il calcolo della prima luna d'autunno risulta fondamentale, perché è proprio la luce prodotta dalla luna in questo particolare giorno che permette di identificare la porta segreta che da accesso alla dimora di Smaug. Per fare questo calcolo, nei panni di Bilbo Baggins, potremmo utilizzare queste due regole(1):
Ciò che però potrebbe suonare interessante per tutti gli appassionati tolkeniani è il giorno di Durin, il primo giorno dell'anno nuovo dei Nani che cade il primo giorno dell'ultima luna nuova crescente d'autunno. In particolare Bilbo Baggins e la compagnia di nani che lo accompagna giungono finalmente presso la Montagna Solitaria dove il drago Smaug dimora all'interno dei possedimenti dei Nani, custodendo per se il loro tesoro.
Rispetto alla definizione classica, Tolkien definisce l'autunno come la stagione che va dal giorno a metà tra solstizio d'estate ed equinozio d'autunno fino al giorno a metà tra l'equinozio d'autunno e il solstizio d'inverno, o più semplicemente tra il 3.o e il 4.o cross quarter-day. Questo vuol dire che l'ultima luna d'autunno cadrà, secondo il nostro calendario, tra fine ottobre e inizio di novembre (nel caso del 2018 sarebbe il 9 ottobre). In particolare ne Lo Hobbit il calcolo della prima luna d'autunno risulta fondamentale, perché è proprio la luce prodotta dalla luna in questo particolare giorno che permette di identificare la porta segreta che da accesso alla dimora di Smaug. Per fare questo calcolo, nei panni di Bilbo Baggins, potremmo utilizzare queste due regole(1):
- Una luna nuova cadrà nella stessa data ogni 19 anni
- Una luna nuova cadrà due giorni più tardi rispetto a 160 anni prima
giovedì 13 dicembre 2018
Storia di un anti-eroe
Il mio primo contatto con l'epica finlandese era avvenuto nel 2001 sulle pagine di Zio Paperone #136 grazie a La ricerca di Kalevala di Don Rosa. Per cui, quando ho messo le mani sulla Storia di Kullervo di J.R.R. Tolkien, notando in particolare il saggio conclusivo sul Kalevala, non potevo lasciarmi sfuggire l'occasione di aggiungere nuove informazioni su un'epica che mi sembrava molto affascinante.
A voler essere pignoli, quella del Kalevala non è considerata una vera e propria epica, almeno non al livello di quella asgardiana od olimpica, giusto per fare dei paragoni più noti, ma una serie di poemi, non molto coerenti uno con l'altro, raccolti in un'opera unica dal filologo finlandese Elias Lönnrot. Non è di questa sede la discussione sulle motivazioni di Lönnrot per la redazione di tale opera, né se la sua operazione sia stata corretta dal punto di vista filologico, storico e in qualche modo archeologico o meno. Di questa parte del discorso, perlatro, ci sono giusto alcuni cenni nell'introduzione di Verlyn Flieger, curatore del volume, che raccoglie sia il racconto di Tolkien sia il saggio che scrisse per una conferenza presso l'Exeter College Essay Club.
Quella di Kullervo è, indubbiamente, una storia tragica: sopravvissuto alla strage della famiglia ad opera del fratello del padre, ne passa di tutti i colori fino al finale di sangue in cui si vendica del torto subito e alla fine si uccide per mano della sua spada magica, anche a causa del senso di colpa per l'incesto perpetrato ai danni della sorella (sebbene a sua discolpa c'è da dire che non ne conosceva l'identità) e che spinse quest'ultima al suicidio.
L'operazione di Tolkien su Kullervo risulta, come mostrato dai saggi di accompagnamento, molto più interessante della semplice proseizzazione della sua storia: non solo lo scrittore approfondisce il carattere del personaggio, ma lo abbruttisce nell'aspetto, come se questo venisse influenzato non solo dalle ferite del corpo, ma anche da quelle dell'animo, e ne racconta in maniera più coerente i vari passaggi della biografia, che nel poema originale sembrano a volte discordanti uno con l'altro. Stilisticamente, poi, è qui che inizia a sperimentare un modo di narrare le storie che avrebbe utilizzato un po' in tutti i suoi racconti e romanzi successivi: l'alternanza di prosa e poesia, tendenzialmente delle ballate. Infine è proprio dalla figura di Kullervo e dall'esperimento di riscrittura personale del suo mito che discende la figura di Turin Turambar, uno dei tragici figli dell'altrettanto tragico Hurin, tutti personaggi immortalati nel racconto I figli di Hurin (a voler essere pignoli, viene considerato un vero e proprio romanzo, pubblicato in questa forma nel 2007 sebbene l'intera vicenda era stata narrata in vari pezzi presenti ne Il Silmarillion, Racconti incompiuti e The History of Middle-earth).
Inoltre l'aggiunta del saggio di Tolkien sul Kalevala nelle due versioni ritrovate nei suoi appunti e il testo inglese a fronte arricchiscono la lettura permettendo di apprezzare la cura con cui lo scrittore britannico ha affrontato l'epica in generale e la fabula in particolare.
A voler essere pignoli, quella del Kalevala non è considerata una vera e propria epica, almeno non al livello di quella asgardiana od olimpica, giusto per fare dei paragoni più noti, ma una serie di poemi, non molto coerenti uno con l'altro, raccolti in un'opera unica dal filologo finlandese Elias Lönnrot. Non è di questa sede la discussione sulle motivazioni di Lönnrot per la redazione di tale opera, né se la sua operazione sia stata corretta dal punto di vista filologico, storico e in qualche modo archeologico o meno. Di questa parte del discorso, perlatro, ci sono giusto alcuni cenni nell'introduzione di Verlyn Flieger, curatore del volume, che raccoglie sia il racconto di Tolkien sia il saggio che scrisse per una conferenza presso l'Exeter College Essay Club.
Quella di Kullervo è, indubbiamente, una storia tragica: sopravvissuto alla strage della famiglia ad opera del fratello del padre, ne passa di tutti i colori fino al finale di sangue in cui si vendica del torto subito e alla fine si uccide per mano della sua spada magica, anche a causa del senso di colpa per l'incesto perpetrato ai danni della sorella (sebbene a sua discolpa c'è da dire che non ne conosceva l'identità) e che spinse quest'ultima al suicidio.
L'operazione di Tolkien su Kullervo risulta, come mostrato dai saggi di accompagnamento, molto più interessante della semplice proseizzazione della sua storia: non solo lo scrittore approfondisce il carattere del personaggio, ma lo abbruttisce nell'aspetto, come se questo venisse influenzato non solo dalle ferite del corpo, ma anche da quelle dell'animo, e ne racconta in maniera più coerente i vari passaggi della biografia, che nel poema originale sembrano a volte discordanti uno con l'altro. Stilisticamente, poi, è qui che inizia a sperimentare un modo di narrare le storie che avrebbe utilizzato un po' in tutti i suoi racconti e romanzi successivi: l'alternanza di prosa e poesia, tendenzialmente delle ballate. Infine è proprio dalla figura di Kullervo e dall'esperimento di riscrittura personale del suo mito che discende la figura di Turin Turambar, uno dei tragici figli dell'altrettanto tragico Hurin, tutti personaggi immortalati nel racconto I figli di Hurin (a voler essere pignoli, viene considerato un vero e proprio romanzo, pubblicato in questa forma nel 2007 sebbene l'intera vicenda era stata narrata in vari pezzi presenti ne Il Silmarillion, Racconti incompiuti e The History of Middle-earth).
Inoltre l'aggiunta del saggio di Tolkien sul Kalevala nelle due versioni ritrovate nei suoi appunti e il testo inglese a fronte arricchiscono la lettura permettendo di apprezzare la cura con cui lo scrittore britannico ha affrontato l'epica in generale e la fabula in particolare.
mercoledì 12 dicembre 2018
Il nostro piccolo universo piatto
Ultimamente trovo che ci sia in giro una particolare enfasi nel tentativo di spiegare che l'universo è piatto, eppure, forse per il mio approccio da fisico teorico, la cosa non mi suona. In particolare è quell'è a darmi fastidio. Cerco di spiegarmi meglio.
Per valutare la curvatura di uno spazio, si traccia un triangolo e si misurano gli angoli interni. Se il valore è all'incirca pari a 180°, lo spazio è piatto; se è superiore a 180° gradi, lo spazio è tipo sfera; se inferiore a 180°, lo spazio è una specie di sella. Per valutare la curvatura di uno spazio abbiamo, però, bisogno di trovare dei triangoli sufficientemente grandi: se proviamo a tracciare un triangolo a terra, molto probabilmente sarà un triangolo piatto, ma se proviamo a tracciare un triangolo, dallo spazio, con gli estremi della Sicilia, avremo un triangolo sferico. Allo stesso modo per l'universo bisogna determinare un triangolo il più grande possibile. A questo punto si potrebbero prendere tre stelle e tracciare un triangolo: unica complicazione è scovare tre stelle che si trovano alla stessa epoca dall'istante in cui è iniziata l'espansione cosmica, e questa cosa non è esattamente facile da determinare. Questo costringe a esaminare un segnale diffuso che siamo certi provenga dallo stesso periodo nella timeline dell'universo: la radiazione cosmica di fondo.
Per valutare la curvatura di uno spazio, si traccia un triangolo e si misurano gli angoli interni. Se il valore è all'incirca pari a 180°, lo spazio è piatto; se è superiore a 180° gradi, lo spazio è tipo sfera; se inferiore a 180°, lo spazio è una specie di sella. Per valutare la curvatura di uno spazio abbiamo, però, bisogno di trovare dei triangoli sufficientemente grandi: se proviamo a tracciare un triangolo a terra, molto probabilmente sarà un triangolo piatto, ma se proviamo a tracciare un triangolo, dallo spazio, con gli estremi della Sicilia, avremo un triangolo sferico. Allo stesso modo per l'universo bisogna determinare un triangolo il più grande possibile. A questo punto si potrebbero prendere tre stelle e tracciare un triangolo: unica complicazione è scovare tre stelle che si trovano alla stessa epoca dall'istante in cui è iniziata l'espansione cosmica, e questa cosa non è esattamente facile da determinare. Questo costringe a esaminare un segnale diffuso che siamo certi provenga dallo stesso periodo nella timeline dell'universo: la radiazione cosmica di fondo.
martedì 11 dicembre 2018
Un espresso per stanarli
E arriva il momento della conclusione del ciclo 2018 della serie di conferenze pubbliche dei Cieli di Brera. Mercoledì 12 dicembre, sempre alle 18:00 presso la Sala della Passione della Pinacoteca di Brera, in via Brera 28, in collaborazione con la Pinacoteca di Brera e l'Istituto Lombardo, l'Osservatorio Astronomico di Brera propone l'ultima conferenza del 2018, Esopianeti: un Espresso per stanarli, presentata da Marco Landoni:
A partire dalla prima scoperta di un esopianeta, 51 Pegasi b, avvenuta nel 1995 da parte degli astronomi svizzeri Michel Mayor and Didier Queloz una vera e propria rivoluzione nel campo dell'astrofisica moderna ha preso atto. Svariati strumenti, sia da terra che dallo spazio, sono stati progettati e costruiti al fine di rivelare un sempre maggior numero di pianeti extrasolari orbitanti attorno a stelle della galassia in cui viviamo.
Per la prima volta abbiamo la possibilità di disporre di uno strumento in grado di raggiungere la sensibilità richiesta per scoprire pianeti rocciosi simili alla nostra Terra ospitati da stelle simili al nostro Sole. Nell'intervento si affronterà una breve carrellata di come sia possibile scoprire pianeti al di fuori del sistema solare e quale sarà il ruolo dello spettrografo ESPRESSO (in cui l'Istituto Nazionale di Astrofisica ha coperto un ruolo fondamentale) nella ricerca di pianeti abitabili nella Via Lattea.
lunedì 10 dicembre 2018
I rompicapi di Alice: Cubi, cubi, sempre cubi
Potrebbe essere una domanda più adatta a Le grandi domande della vita, ma visto che sorge sulle colonne della storica rubrica Mathematical games di Martin Gardner sul quarto numero del 1965 di Scientific American direi che può benissimo trovare spazio tra i Rompicapi di Alice.
In particolare la questione è:
In particolare la questione è:
è possibile tagliare un cubo in un numero infinito di altri cubi più piccoli nessuno dei quali identico a un altro?(1)La risposta è: no. E per capirlo ragioniamo per assurdo. Supponiamo, cioè, che sia possibile "cubizzare un cubo". Prendiamo la prima delle figure proposte da Gardner nel suo articolo.
domenica 9 dicembre 2018
Topolino #3289: Droidi, un esercizio di stile
Con una copertina dedicata alla storia di apertura, dove Topolino e Peter Quarky, versione disneyana di Piero Angela, si trovano sull'asteroide 7197 pieroangela, si presenta il Topolino #3289, che oltre alla nuova storia griffata Topolino Comics&Science, di cui scriverò entro poche ore (si spera!) Al Caffé del Cappellaio Matto, ha in sommario anche il terzo e ultimo episodio di Droidi, la nuova saga pikappika realizzata da Alessandro Sisti e Claudio Sciarrone.
Inoltre le atmosfere della storia, che richiamavano chiaramente a Philip Dick, e gli indizi seminati sin dal primo numero, hanno reso il finale scontato e atteso, tanto che una conclusione differente avrebbe deluso molto di più del finale ideato da Sisti.
In conclusione Droidi riesce allo stesso tempo a soddisfare e a deludere: soddisfare perché il tema portante viene sviluppato secondo i canoni della letteratura dickiana, senza tradirli ma adattandoli al settimanale disneyano; deludere perché la storia è nel complesso troppo rapida e la sua pubblicazione su più numeri ne ha spezzato il ritmo generale, togliendo parte dell'efficacia del soggetto proposto da Sisti. La struttura delle pagine, però, ha per contro permesso a Sciarrone di proporre ora pagine dense di vignette ora pagine più ariose con poche ma ampie vignette.
Scontato un tanto al chilo
Come già le puntate precedenti, anche questa, nonostante la chiusura di tutti i nodi narrativi aperti dagli autori, risulta incredibilmente veloce, lasciando la sensazione al lettore non solo che la storia, ma anche tutta la saga si sia conclusa in maniera troppo rapida. Rispetto alle saghe precedenti, in particolare quelle di Francesco Artibani, che forse avrebbero giovato di una o due puntate in più, Droidi sarebbe stata molto più efficace come storia autoconclusiva in un unico numero di Topolino o al massimo due.Inoltre le atmosfere della storia, che richiamavano chiaramente a Philip Dick, e gli indizi seminati sin dal primo numero, hanno reso il finale scontato e atteso, tanto che una conclusione differente avrebbe deluso molto di più del finale ideato da Sisti.
In conclusione Droidi riesce allo stesso tempo a soddisfare e a deludere: soddisfare perché il tema portante viene sviluppato secondo i canoni della letteratura dickiana, senza tradirli ma adattandoli al settimanale disneyano; deludere perché la storia è nel complesso troppo rapida e la sua pubblicazione su più numeri ne ha spezzato il ritmo generale, togliendo parte dell'efficacia del soggetto proposto da Sisti. La struttura delle pagine, però, ha per contro permesso a Sciarrone di proporre ora pagine dense di vignette ora pagine più ariose con poche ma ampie vignette.
sabato 8 dicembre 2018
Scappare, da qualche parte nello spazio
#GammaRay #powermetal #astronomyforabetterworld #esplorazione #spazio #universo cc @astrilari @Pillsofscience @stefacrono
Con un nome come quello che hanno scelto i fondatori, la band tedesca dei Gamma Ray non poteva non proporre canzoni, rigorosamente power metal, dal fascino scientifico, come ad esempio Somewhere Out In Space. L'idea della canzone è quella di un viaggio tra le stelle, una fuga alla ricerca di un nuovo posto dove vivere. Una situazione, questa, che prima o poi dovremo affrontare, sempre che non ci estingueremo prima o non decideremo di condividere il destino della Terra: venire fagocitata dal Sole.
Il problema principale di abbandonare il nostro pianeta natale è trovare una nuova destinazione. Il candidato più vicino è ovviamente Marte, ma va innanzitutto terraformato, cosa non semplice. A venirci in soccorso però è la ricerca dei pianeti extrasolari, che in questi anni è stata svolta con discreto successo grazie al satellite Kepler che utilizzando il metodo dei transiti ha contribuito per la maggior parte al vasto catalogo costituito da oltre 3000 pianeti scoperti in una porzione di universo relativamente piccola. Ovviamente bisogna in qualche modo determinare se un pianeta è abitabile o meno, ma una volta stabilito ciò il problema al momento più insormontabile è raggiungere tale pianeta. Le navi spaziali che al momento utilizziamo per raggiungere e rifornire la Stazione Spaziale Internazionale sono appena sufficienti allo scopo. Al massimo, con uno sforzo comunque non indifferente dal punto di vista economico, si potrebbe arrivare sulla Luna, ma ancora, nonostante i proclami, Marte è lontano e ancora di più arrivare fino a e uscire da i confini del Sistema Solare (ovviamente utilizzando un equipaggio umano).
Il sogno di esplorare l'universo, però, è comune a molti scienziati, anche ai due pionieri della missilistica: Konstantin Ciolkovskij e Robert Goddard. Mentre il primo scrisse varie opere di fantascienza, tra cui Sogni della terra e del cielo e gli effetti della gravitazione universale dove suggeriva di mettere in orbita un satellite artificiale della Terra, Goddard scrisse The last migration. The notes should be read thoroughly only by an optimist, saggio dal titolo eloquente di cui è disponibile la versione sintetica, The ultimate migration. A muovere i due scienziati è stata la fantascienza, su tutti Jules Verne, ovvero gli stimoli, i pungoli e le ispirazioni che la fantasia degli scrittori pongono nella mente degli scienziati. A ben raccontare tale stimolo ci pensa proprio Ciolkovskij:
All'inizio c'è necessariamente un'idea, una fantasia, una fiaba, e poi vengono i calcoli scientifici; alla fine l'esecuzione corona il pensiero. Il mio lavoro ha a che fare con la fase centrale della creatività. Più di chiunque altro, sono consapevole del baratro che separa un'idea dalla sua realizzazione, perché per tutta la mia vita ho fatto non solo molti calcoli, ma ho anche lavorato con le mie mani. Ma ci dev'essere un'idea; l'esecuzione dev'essere preceduta da un'idea, i calcoli precisi dalla fantasia.
Scienza sotto l'albero: classici da regalare
L'iniziativa scienza sotto l'albero partita da un'idea di @astro_filo ha ricevuto molte adesioni in giro per instagram e non solo da parte di divulgatori scientifici (per lavoro o per passione che sia). Così, dopo aver realizzato un template personalizzato in Gimp, sono pronto per raccontarvi brevemente le mie scelte:
- Il mondo senza di noi di Alan Weisman:
Ne ho anche scritto la recensione, quindi più che altro cerco di sintetizzare al meglio. Il libro di Weisman risulta illuminante su ciò che stiamo facendo al nostro pianeta e sul fornire al lettore una visione del nostro ecosistema a più lungo periodo. - Armi acciaio e malattie di Jared Diamond:
Un classico della letteratura scientifica. Diamond fornisce una serie di strumenti molto più scientifici (la disponibilità delle risorse primarie) per leggere la storia del pianeta. In qualche modo è anche un libro naturalmente libertario, perché fornisce una serie di assist alle idee anarchiche. - Non è mica la fine del mondo di Francesca Riccioni e Tuono Pettinato:
Ho perso le tracce della recensione nel senso che ero convinto che fosse già stata pubblicata su LSB, ma così non è stato. Spero che si possa recuperare il più velocemente possibile (per quel che riguarda i miei compiti, spero di riuscire ad assolverli a breve). Recupero, in questa occasione, l'occhiello che ho scritto per quella ancora inedita recensione: Francesca Riccioni e Tuono Pettinato, con intelligenza e ironia esaminano il modo con cui stiamo sfruttando le risorse del pianeta partendo da una premessa semplice ma efficace: la Terra dopo la nostra estinzione. In qualche modo è legato alla prima scelta, ma questo mi sembra il periodo migliore per cercare di migliorare la nostra consapevolezza ecologica.
- Il professor Astro Gatto di Dominic Walliman e Ben Newman:
In realtà il consiglio non è su uno specifico volume (anche se personalmente ho recensito L'avventura atomica) di quella che è una serie di tre (l'ultimo è uscito da un paio di mesi). L'idea è questa: entrate in libreria o in fumetteria, cercate i volumi sul personaggio, dategli un'occhiata e sceglietene uno. Sono scritti molto bene, adatti ai bambini, ma anche agli adulti, ricchi di illustrazioni scientificamente precise e con dei personaggi molto ben definiti e chiari, quindi in generale libri di facile lettura che permettono di avvicinare i bambini alla scienza. E magari anche appassionarli!eina
mercoledì 5 dicembre 2018
Misurare la velocità della luce in classe
Il famoso esperimento di Michelson e Morley per la misurazione della velocità della luce era costituito da un sistema più o meno complicato di specchi rotanti. Senza realizzare sistemi complicati, si può provare a misurare la velocità della luce anche in classe: l'obiettivo, però, non è quello di determinare tale valore nel vuoto, ma in differenti mezzi, in modo da far comprendere agli studenti come la velocità della luce non sia la stessa in ogni occasione.
Per lo scopo si utilizza un misuratore di distanza laser, ovvero uno strumento che determina la distanza utilizzando un laser. Tale dispositivo è stato costruito per le misurazioni in aria, e dunque la velocità della luce da considerare è quella nell'aria, ovvero
Per lo scopo si utilizza un misuratore di distanza laser, ovvero uno strumento che determina la distanza utilizzando un laser. Tale dispositivo è stato costruito per le misurazioni in aria, e dunque la velocità della luce da considerare è quella nell'aria, ovvero
martedì 4 dicembre 2018
L'arte matematica di Piero della Francesca
Spesso prendiamo Leonardo da Vinci come simbolo della commistione tra arte e scienza. In realtà quello di Leonardo è solo il massimo degli esempi dell'approccio degli artisti alla scienza (anche se, a mio giudizio, è da ritenersi più uno scienziato con abilità artistiche, che non un artista con abilità scientifiche), visto che il pittore Piero della Francesca, oltre a realizzare opere d'arte apprezzate in tutto il mondo, ottene anche degli interessanti risultati in campo matematico.
Nato nel 1415 a Borgo San Sepolcro in Toscana, si suppone abbia iniziato la sua carriera artistica sotto il pittore locale Antonio di Giovanni d'Anghiari nel corso del 1432. Ben lungi dal voler ripercorrere la carriera artistica di Piero della Francesca, mi interessa in questa sede limitarmi alla sua sola attività matematica: il pittore, in fatti, non si limitò a usare, ma studiò la matematica che utilizzava nelle sue opere, scrivendo anche alcuni trattati sul campo. In particolare i suoi studi lo portarono ad approfondire i campi della geometria solida con il Libellus de Quinque Corporibus Regularibus e della prospettiva con il De Prospectiva Pingendi, senza dimenticare la matematica finanziaria dell'epoca, come attesta il Trattato d'Abaco. Molti dei risultati ottenuti da Piero della Francesca vennero successivamente riproposti (senza fornire dimostrazione, ma anche senza accreditarli(1)) nei lavori di Luca Pacioli, come per esempio la parte dedicata alla geometria solida presente nel De divina proportione, peraltro illustrato da Leonardo Da Vinci.
Nella seconda metà degli anni Cinquanta del 1400 si interessò ai lavori di Archimede, che ricopiò in un manoscritto di 82 fogli, custodito presso la Biblioteca Riccardiana.
Nato nel 1415 a Borgo San Sepolcro in Toscana, si suppone abbia iniziato la sua carriera artistica sotto il pittore locale Antonio di Giovanni d'Anghiari nel corso del 1432. Ben lungi dal voler ripercorrere la carriera artistica di Piero della Francesca, mi interessa in questa sede limitarmi alla sua sola attività matematica: il pittore, in fatti, non si limitò a usare, ma studiò la matematica che utilizzava nelle sue opere, scrivendo anche alcuni trattati sul campo. In particolare i suoi studi lo portarono ad approfondire i campi della geometria solida con il Libellus de Quinque Corporibus Regularibus e della prospettiva con il De Prospectiva Pingendi, senza dimenticare la matematica finanziaria dell'epoca, come attesta il Trattato d'Abaco. Molti dei risultati ottenuti da Piero della Francesca vennero successivamente riproposti (senza fornire dimostrazione, ma anche senza accreditarli(1)) nei lavori di Luca Pacioli, come per esempio la parte dedicata alla geometria solida presente nel De divina proportione, peraltro illustrato da Leonardo Da Vinci.
Nella seconda metà degli anni Cinquanta del 1400 si interessò ai lavori di Archimede, che ricopiò in un manoscritto di 82 fogli, custodito presso la Biblioteca Riccardiana.
lunedì 3 dicembre 2018
Fare harakiri ed essere contenti
Serj Tankian è un cantante statunitense di origini armene meglio noto per essere il vocal leader dei System of a Down. In un post su facebook, che trovate tradotto sulla versione italiana di Rolling Stone, spiega i motivi per cui la band è bloccata da un decennio. Il cantante però in questi anni non è rimasto con le mani in mano, realizzando dischi da solista e soundtrack per film, come per il recente Spitak, film armeno di Aleksandr Kott sul terremoto che colpì l'Armenia nel 1988.
Pur risultando "solo" il cantante dei SOAD, Serj nella sua carriera da solista si è dimostrato un abile compositore sia di testi sia di musica. Basti pensare al raffinato Orca Symphony No. 1 del 2013, che purtroppo non ha ricevuto alcun seguito, o ad Harakiri dell'anno prima. In una sorta di continuità narrativa tra i due progetti, Orca si occupa in maniera esplicita dell'ambiente, in particolare del mare, e in seconda battuta del genere umano, come ha spiegato lo stesso Tankian:
Pur risultando "solo" il cantante dei SOAD, Serj nella sua carriera da solista si è dimostrato un abile compositore sia di testi sia di musica. Basti pensare al raffinato Orca Symphony No. 1 del 2013, che purtroppo non ha ricevuto alcun seguito, o ad Harakiri dell'anno prima. In una sorta di continuità narrativa tra i due progetti, Orca si occupa in maniera esplicita dell'ambiente, in particolare del mare, e in seconda battuta del genere umano, come ha spiegato lo stesso Tankian:
Orca is known as the killer whale, but is really a dark dolphin, a symbolism for human dichotomy.In questa occasione, però, non mi preme scrivere di Orca, ma della title track di Harakiri, che rappresenta simbolicamente l'impegno di Tankian verso temi centrali in questi ultimi giorni grazie alla discussione sui cambiamenti climatici globali innescata dal COP24.
domenica 2 dicembre 2018
Topolino #3288: Alla ricerca del francobollo perduto
Nell'ultimo periodo è stato raro trovare un numero di Topolino soddisfacente quanto il #3288, che si apre con una bella storia a tema filatelico che però sarebbe stata perfetta anche per la serie de La storia dell'arte di Topolino.
La storia ha uno svolgimento semplice e lineare che permette al lettore di seguire la vicenda senza complicazioni, ma risulta in qualche modo scontata. La capacità di Marconi di proporre uno stile moderno e l'ottima gestione dei personaggi da un lato, mentre dall'altro i sempre efficaci disegni di De Vita, in quest'occasione in grado di spaziare agilmente dalle ambientazioni urbane a quelle montane, rendono nel complesso la storia gradevole da leggere, oltre che una delle migliori del numero.
Sulle tracce di Vincent Van Gogh
La leggenda filatelica, storia di apertura del numero, non solo rende omaggio allo sfortunato pittore Vincent Van Gogh, ma riunisce anche una coppia di maestri disneyani come Massimo Marconi e Massimo De Vita. La storia mette Topolino e Zapotec, quest'ultimo nel suo ruolo di direttore del Museo di Topolinia, sulle tracce dell'unica opera originale di Vincent Van Top. L'artista, non riuscendo a vendere i suoi quadri, andò via da Topolinia, spedendo però i suoi quadri al fratello Theo. Purtroppo gli originali delle sue opere andarono perduti nell'incendio della casa di Theo, a parte L'alba montana in possesso del nipote di Theo, Anton. Il quadro, però, non può più essere ceduto al museo, ma Anton in compensazione regala a Zapotec la collezione quasi completa di francobolli di Theo: proprio a partire da questa parte la ricerca di Topolino e Zapotec del perduto laboratorio artistico di Van Top.La storia ha uno svolgimento semplice e lineare che permette al lettore di seguire la vicenda senza complicazioni, ma risulta in qualche modo scontata. La capacità di Marconi di proporre uno stile moderno e l'ottima gestione dei personaggi da un lato, mentre dall'altro i sempre efficaci disegni di De Vita, in quest'occasione in grado di spaziare agilmente dalle ambientazioni urbane a quelle montane, rendono nel complesso la storia gradevole da leggere, oltre che una delle migliori del numero.
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