La gola di Olduvai e altri siti di resti fossilizzati di ominidi, che nel loro insieme disegnano una mezzaluna che parte dall'Etiopia e corre verso sud parallela alla costa orientale del continente, hanno confermato oltre ogni dubbio che siamo tutti africani.Tutto iniziò nel 1994 quando Alan Weisman scrisse in un articolo per la rivista Harper's(1) in cui raccontava come la natura si era adattata alla fuga degli umani dopo l'incidente della centrale nucleare di Chernobyl del 26 aprile del 1986.
Quasi dieci anni più tardi, nel 2003, l'articolo finì nelle mani di Josie Glausiusz, redattrice di Discover Magazine, che così chiese a Weisman
Cosa accadrebbe se gli umani scomparissero dappertutto?Doveva essere lo spunto per un articolo e invece è diventato un libro, Il mondo senza di noi.
Il giornalista statunitense, andando in giro per il monto a intervistare esperti in vari campi (dall'ingegneria, all'ecologia, alla chimica, all'archeologia e via discorrendo) e a raccogliere testimonianze e storie, ha cercato di capire se e quanto tempo occorrerebbe al pianeta per dimenticare la nostra esistenza a partire dalla nostra improvvisa scomparsa. Partendo dalla Bialowieza Puszcza, ciò che rimane dell'immensa foresta che ricopriva l'Europa migliaia di anni fa e che è stata distrutta e trasformata in tutto il continente con l'avanzare dall'Africa del genere umano. La foresta, divisa tra Bielorussia e Polonia, è oggi dichiarato dall'UNESCO patrimonio dell'umanità, ma come ci racconta Weisman riuscì a resistere per molti secoli alla devastazione al duca lituano Wladyslaw Jagiello, che la dichiarò riserva di caccia reale nel XIV secolo.
Le vicende delle guerre mondiali ne ridussero l'estensione mentre le politiche di risanamento dell'area avrebbero rischiato di cancellarne la biodiversità, almeno fino all'intervento dell'UNESCO.
Così come appare oggi la Bialowieza Puszcza era come appariva l'Europa ai primi esseri umani che vi ponevano piede ed è come potrebbe ritornare il continente molti secoli dopo l’eventuale improvvisa scomparsa dell'uomo, mentre l'erosione dei venti e delle piogge acide sgretola un poco alla volta palazzi, strade e grandi opere costruite dall'uomo.
Questa immagine bucolica, però, e in parte ottimistica sulle capacità del pianeta di riprendersi dalla presenza invasiva dell'uomo, è in realtà messa in discussione dalle miriadi di attività umane che hanno modificato l'ambiente in cui viviamo. Le attività agricole e industriali hanno, infatti, introdotto sul pianeta sostanze chimiche rare se non addirittura assenti in natura, come i nocivi clorofluorocarburi che hanno causato la forte riduzione della fascia dell'ozono nota anche come buco nell'ozono.
A queste sono da aggiungere anche gli impianti di produzione dell'energia, in particolare le centrali nucleari. Basate sul processo di fissione nucleare, esse producono come scorie atomi instabili che emettono radiazioni talmente penetranti da modificare il dna degli esseri viventi. Il principale problema di queste scorie radioattive è la loro vita media, ovvero il tempo necessario per ridurre di un terzo la produzione di radiazione: si parla di secoli se non millenni.
Il disastro di Chernobyl ha, però, insegnato che la natura è in grado di adattarsi alle nuove condizioni: gli animali sopravvissuti alle radiazioni circostanti ai resti della centrale, hanno in qualche modo sviluppato una resistenza alle radiazioni stesse, premiando in alcuni casi come i topi individui più piccoli e dalla vita più breve ma più prolifici.
E si potrebbe ancora continuare con la plastica che produciamo e che puntualmente finisce nell'oceano ad alimentare la grande chiazza di immondizia del Pacifico o la sua equivalente nell'Atlantico (seppur più piccola), o la caccia incontrollata, che già ha prodotto una delle più grandi estinzioni di massa del pianeta, quella dei grandi mammiferi del continente americano(2).
In definitiva il viaggio di Weisman sul futuro possibile diventa un viaggio nel passato e nel presente del nostro pianeta e su come lo stiamo stressando, senza renderci conto che:
Senza di noi, la Terra tirerebbe avanti lo stesso; ma senza di lei, noi non ci saremmo.
- Alan Weisman (1994), Journey through a doomed land, Harper's (pdf)↩
- In effetti tale tesi è abbastanza dibattuta tra gli esperti, ma la sensazione è che Weisman sia sostanzialmente d'accordo con Paul Martin che propose la teoria dell'overkill per spiegare l’estinzione della megafauna americana.↩
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