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giovedì 17 aprile 2025

Noi alla conquista dell'universo

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All'alba dell'invasione dell'Ucraina da parte della Russia di Putin, la cosa più stupefacente fu l'anti-russismo che colpì la nostra società e che colpì persino la cultura russa e sovietica prodotte nel corso dell'ultimo secolo e più. Quasi come reazione personale a questo modo di fare che trovo riduttivo e ignorante, mi sono ritrovato ad acquistare alcuni volumi di fantascienza russa: gli autori provenienti dalla Russia prima e dall'Unione Sovietica poi hanno sempre avuto un occhio critico nei confronti della loro stessa società, molto più di come non lo abbiamo avuto noi con la nostra, per cui ho trovato particolarmente attraente l'acquisto di questi volumi e, nel dettaglio, della nuova edizione in italiano di Noi di Eugenij Zamjatin realizzata dalla sempre puntuale Fanucci, che propone il testo con un'introduzione critica di Alessandro Cifariello, traduttore del volume, che consiglio caldamente di leggere. Non solo Cifariello racconta qualcosa sul processo di traduzione, ma soprattutto permette di approfondire la figura di questo scrittore poco noto al grande pubblico. Il volume, poi, è completato da una postfazione di George Orwell, un articolo uscito nel 1946 in corrispondenza dell'edizione inglese. Da notare la data, di due anni precedente all'uscita di 1984.
Veniamo al romanzo di Zamjatin. Noi è la più classica delle distopie, così classica che lo si può ragionevolmente considerare come esso stesso l'archetipo di tutte le distopie che sono seguite, dal già citato 1984 al Mondo Nuovo di Aldous Huxley. E chi ha letto entrambi i romanzi non potrà fare a meno di scovare i punti di contatto che questi hanno con Noi, iniziando dalla ribellione (momentanea) del protagonista, un matematico che lavora nel reparto preposto alla costruzione di un razzo destinato a portare il primo gruppo di colonizzatori umani nell'universo.
A Zamjatin, però, non interessa raccontare nulla sull'esplorazione dello spazio, nonostante i lavori di Konstantin Ciolkovskij in questo campo risalgano agli inizi del XX secolo. Allp scrittore, che ha avuto una vita travagliata, considerato un dissidente in Russia, interessava raccontare la società distopica che governa la Terra in un futuro lontano, in cui gli individui vengono spersonalizzati all'estremo, ciascuno identificato da una sigla; il sesso e la riproduzione non sono una libera scelta, ma una imposizione esterna da parte del governo, che controlla ogni aspetto della vita delle persone. Il tutto nel nome della sicurezza. Suona come già sentito, vero?
Considerando il lavoro del protagonista, è comunque inevitabile la presenza qua e là della matematica, presente nei codici con cui ogni individuo viene identificato (un po0 come se oggi venissimo chiamati con il nostro codice fiscale, anziché con i nostri nomi), ma anche in alcuni passaggi più squisitamente matematici, come quello relativo al rapporto del protagonista e narratore con l'unità immaginaria:
Una volta Rerrore ci ha posto la questione dei numeri irrazionali - e io, ricordo, stavo piangendo, mentre sbattevo i pugni sul tavolo e gridavo: 'Non voglio una \sqrt{-1}! estraetemi via la \sqrt{-1}!'
L'unità immaginaria diventa, per il protagonista, il simbolo dei suoi istinti di ribellione, che non riesce a comprendere e quindi li intende come una malattia. Che, però, è anche qualcosa di ineliminabile: l'utilizzo dei numeri complessi anche in applicazioni pratiche è, in effetti, ben noto al protagonista, come evidente in alcuni passi successivi. Il protagonista, però, vorrebbe ignorare tutto ciò e tornare alla fine alla sua matematica basata sui semplici numeri reali, proprio come alla fine torna nell'alveo di una società che nemmeno si rende conto che lo sta limitando nella sua libertà.

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