Stomachion

lunedì 2 febbraio 2015

Ritratti: Lodovico Ferrari

C'era un tempo in cui i matematici si sfidavano in singolar tenzone, a dimostrarsi teoremi e risolvere equazioni su piazza pubblica. C'era un tempo in cui, come nel far west, per farsi un nome i matematici lanciavano sfide a quelli bravi. C'era un tempo in cui quelli bravi passavano anche dall'Italia, a sfidare un provetto risolutore: Gerolamo Cardano.
In un certo senso il buon Gerolamo si considerava un miracolato. Scrive infatti nella sua autobiografia:
Dopo che mia madre aveva tentato senza successo di abortire, venni alla luce il 24 settembre 1501. Come morto sono nato, anzi sono stato strappato al suo grembo.
La sua opera matematica più nota è l'Ars magna del 1545 (e già possiamo capire quale peso abbia per lui la matematica), dove pubblica le soluzioni delle equazioni di terzo e quarto grado. Mentre la prima è dovuta al contributo di Niccolò Tartaglia, probabilmente anche con un contributo di Scipione Dal Ferro, quella di quarto grado è dovuta all'allievo di Cardano, Lodovico Ferrari.
Il buon Lodovico nasce il 2 febbraio 1522, quasi per caso, a Bologna: il nonno Bartolomeo fu costretto ad abbandonare Milano, probabilmente per motivi politici. Egli aveva due figli, Vincenzo e Alessandro, quest'ultimo padre di Lodovico, e quando Alessandro venne ucciso, il piccolo orfano andò a vivere con lo zio. Nel frattempo il figlio di Vincenzo, Luca, ragazzo ribelle, diremmo oggi, perfetto interprete di quei tempi politicamente burrascosi, era fuggito alla volta di Milano, dove trovò lavoro come cameriere e segretario di Cardano. Il problema fu che a un certo punto Luca decise di tornare a casa: così, di punto in bianco, senza dire alcunché al matematico, tornò dal padre. Cardano, che non voleva perdere un aiuto prezioso, scrisse a Vincenzo per convincerlo a far tornare il giovane, ma ecco che balena nella mente dell'ultimo figlio di Bartolomeo un'idea luminosa (la classica candela dell'epoca!): mandare, al posto del figlio, il nipote, cogliendo così l'occasione di fornire al ragazzo, molto più dotato del figlio Luca, un'opportunità formativa unica. E fu così che Lodovico Ferrari, all'età di 14 anni, divenne studente e poi assistente di Gerolamo Cardano.
Risolutori di equazioni
All'inizio, però, Lodovico lavorò come semplice segretario, ma le sue qualità, che non erano sfuggite a Vincenzo, non potevano sfuggire nemmeno a un esperto matematico come Cardano, che decise valesse la pena insegnare a quel giovane così dotato. Lodovico ripagò molto presto il maestro della fiducia accordata, sia con il prezioso aiuto nella stesura dei manoscritti, sia ottenendo, a 20 anni, la cattedra di geometria presso la Fondazione Piatti di Milano dopo aver letteralmente sconfitto Zuanne da Coi in uno dei classici dibattiti pubblici rinascimentali.
Ferrari e Cardano divennero una squadra vincente e affiatata, portando a compimento la loro collaborazione nella già citata Ars magna. Il coronamento del loro lavoro, in particolare la soluzione delle equazioni di quarto grado, inizia durante la preparazione del Practica arithmetice del 1539: Cardano, infatti, riceve la notizia che Tartaglia ha scoperto un metodo per risolvere le equazioni cubiche della forma $x^3 + ax = b$, con $a$, $b$, positivi. Questo era, per l'epoca, un avanzamento importantissimo: la matematica delle equazioni era, infatti, ferma al trattato di Luca Pacioli del 1494, Summa de arithmetica, geometria, proportioni et proportionalita, in cui si stabiliva che le equazioni di terzo grado non potevano essere risolte algebricamente. Tartaglia, tra l'altro, tanto per non cambiare, aveva risolto l'equazione nel corso di una delle classiche dispute matematiche, nel 1535, questa volta contro Antonio Maria Fiore.
Il metodo di risoluzione sarebbe, però, rimasto segreto per espressa richiesta di Tartaglia: senonché Cardano, in visita con Lodovico a Bologna nel 1542, non scopre che anche Scipione Dal Ferro ha risolto lo stesso problema di Tartaglia. A comunicargli la notizia è l'allievo di Dal Ferro, Annibale dalla Nave, che gli consegna il manoscritto del suo maestro con il metodo risolutivo: questo, di fatto, scioglie Cardano dalla promessa fatta al collega (che ancora non aveva pubblicato il risultato) nel 1539, permettendogli di pubblicare nell'Ars magna il metodo risolutore che sarà poi noto come metodo di Cardano-Tartaglia.
Il risultato di Tartaglia e Dal Ferro fu il perfetto punto di partenza per il dinamico duo Cardano-Ferrari per affrontare il problema delle equazioni di quarto grado e quelle di terzo di tipologia differente da quella affrontata dai due colleghi. Ferrai, in particolare, scoprì una dimostrazione geometrica per le formule di Cardano per la risoluzione delle equazioni $x^3 + ax = bx^2 + c$ e $x^3 + ax^2 = b$, risolvendo anche l'equazione quartica della forma $x^4 + ax^2 + b = cx$, con $a$, $b$, $c$ positivi.
Sfida a Tartaglia
Alla fine, sull'Ars magna il metodo di risoluzione delle equazioni cubiche venne attribuito da Cardano a Dal Ferro, mentre a Tartaglia venne assegnato il merito di averlo riscoperto indipendentemente. Ciò non fu molto gradito al matematico bresciano (diciamo che non la prese bene), tanto che decise di lasciare per iscritto nel libro IX del Quesiti et inventioni diverse del 1546 le circostanze della scoperta e come questa venne nelle mani di Cardano.
Lo sfogo letterario, però, non era sufficiente: Tartaglia voleva vedere il sangue di Cardano scorrere, ma questi era evidentemente troppo furbo per il collega, e mandò il suo più dotato allievo in avanscoperta. Ferrari, infatti, decise di sfidare Tartaglia a singolar tenzone matematica. Il buon Niccolò, però, avendo un'alta considerazione delle sue capacità, non voleva sfidare un giovane abbastanza ignoto nel giro per non rovinargli la reputazione, così portò avanti la discussione cercando di tirare in mezzo lo stesso Cardano. Con abilità, però, ma anche utilizzando parole non troppo carine uno con l'altro, Ferrari riuscì a impedire al maestro di mostrare la faccia in prima persona. La sfida, però, era solo rimandata: nel 1548, infatti, si presentò una ghiotta occasione per Tartaglia di accedere alla cattedra matematica di Brescia, la sua città. Questa opportunità spinse il matematico ad accettare la sfida del suo giovane collega per dimostrare di meritare il posto.
Il 10 agosto del 1548 era tutto pronto per la sfida di Lodovico e Niccolò che aveva messo in subbuglio l'Italia intera: era un vero e proprio derby d'Italia, di quando nella penisola non si faceva altro che parlare di cantieri (come quello di Roma), quadri e matematica, di quando tutti erano matematici, architetti, scalpellini invece che allenatori di calcio. Ma si sa: i tempi cambiano e gli italiano evolvono (o qualcosa del genere...). In ogni caso la sfida, che si svolse presso il giardino della chiesa dei Frati Zoccolanti di Milano, si giocò tutta sulle equazioni di terzo e quarto grado, argomento su cui Ferrari si dimostrò molto più preparato del grande Tartaglia, che possiamo immaginare perse alla fine della serata il sorrisetto con il quale sicuramente giunse nel capoluogo lombardo pensando di poter fare un sol boccone del più giovane collega.
La sfida, però, sarebbe dovuta proseguire anche il giorno dopo: Tartaglia, però, vista la pesante sconfitta del primo giorno, decise di fuggire nella notte, lasciando sul campo un unico vincitore: Lodovico Ferrari!
La vittoria gli portò fama e onori: tra le varie offerte di lavoro, gli giunse persino quella di diventare tutore del figlio dell'imperatore!
Ad ogni modo Lodovico, dopo essere stato anche al servizio del governatore di Milano Ferrando Gonzaga, si ritirò dall'attività ad appena 42 anni, relativamente ricco. Ritornato nella natia Bologna, qui visse con la sorella Maddalena, rimasta vedova, dove morì nel 1465 a causa di un avvelenamento da arsenico. La leggenda narra che fu proprio la sorella, che non si presentò al funerale, ad avvelenarlo.
Il resto della storia verrà poi proseguito da Niels Abel ed Evariste Galois, ma le loro le abbiamo già raccontate.

Nessun commento:

Posta un commento