Quello che succede in Diluvio di fuoco dello scrittore francese René Barjavel è proprio la fine della civiltà, non già quella come la conosciamo, ma una molto simile così come l'ha immaginata Beravel.
La forza elettromagnetica, che sta alla base della civiltà futura immaginata dal francese (un po' come ne Le meraviglie del 2000 di Salgari), risulta sconvolta, tanto che non solo ogni oggetto elettrico non riesce più a funzionare, ma anche gli strumenti di ferro sono destinati a distruggersi. La bravura di Berjavel è non solo nella gestione dei personaggi, ma anche nella vivida descrizione di come un'intera civiltà crolli un pezzo alla volta. L'occhio dello scrittore, quindi, si concentra nella prima parte nella fuga di un gruppo di uomini che fuggono da Parigi (e questo è stato anche il tema centrale nel romanzo di John Cristopher, Morte dell'erba, che lo accomuna a quello di Berjavel), quindi nella costruzione di un mondo idilliaco in cui la tecnologia, la cultura, lo sviluppo sono banditi per evitare gli errori del passato.
Nonostante il romanzo sia nel suo complesso bello e appassionante, non posso essere d'accordo con Berjavel, che sembra arrendersi in maniera assoluta di fronte allo sviluppo tecnologico, ma che a differenza di Golding da una speranza all'umanità, descrivendo un mondo in cui uno sparuto gruppo di uomini è in grado di portare avanti un sogno di rinascita. In fondo questa è anche la base di Alita Last Order, in cui un umile umano, come Francois il protagonista di Diluvio di fuoco, cerca di costruire un nuovo mondo per il genere umano, una nuova utopia. Mentre in Alita, però, vediamo come tale utopia viene sviluppata, Berjavel non ci mostra altro che la sua visione, i suoi pensieri, le sue speranze.
Comunque buona fantascienza europea di lingua non anglosassone, e questo è già tanto.
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