Stomachion

martedì 26 gennaio 2010

Avatar

L'ho visto e dunque mi tocca parlarne, senza contare che in questo modo penso di poter rispondere all'invito di Annarita su Scientificando, dove riporta una interessante discussione storica ispirata ad Avatar, con tanto di microscopica, caustica ma profonda riflessione del film:
Non esprimo le mie considerazioni perché mi interessa conoscere il vostro punto di vista spontaneo!
Il mio punto di vista o recensione sarà, come spesso succede, logorroico e divagante, da buon wikipediano quale sono.

La prima sensazione è stata: quando arriva la frase tratto da un romanzo di Robert Heinlein?
In effetti l'incipit sembra fondamentalmente heinleiniano, senza contare che anche nel complesso il film nella sua semplicità sembra ispirarsi (se non addirittura scritto proprio con lo stile del) al grande scrittore di fantascienza che, intorno a piccoli e semplici messaggi, riusciva a costruire delle storie interessanti e appassionanti, che si potevano leggere al di là del tema che stava a cuore allo scrittore.
D'altra parte, per atmosfere e scenografie, altro punto di riferimento di Cameron per il suo film è il Tarzan disneyano: foreste intricate, grandi rami che si intrecciano, passeggiate tra cielo e terra proprio su questi rami. La stessa colonna sonora, molto africana (più che pellerossa, direi, a parte la canzone pop di chiusura, of course), si avvicina ai canti tribali africani. In fondo le tribù del continente nero condividono con i pellerossa oltre al trattamento schiavistico, anche un rapporto più stretto con l'ambiente.
Il rapporto tra l'ambiente e i nativi di Pandora, questo il nome del pianeta invaso dai terrestri, è però molto stretto non perché i nativi abbiano una vera e propria conoscenza scientifica del loro stesso ambiente, ma perché la genetica di quel pianeta ha permesso ai suoi abitanti di sviluppare una serie di connessioni più strette e intime. Gli alberi lo sono attraverso le radici, mentre gli animali possono connettersi tra loro (tra specie diverse) attraverso alcuni piccoli filamenti che spuntano da piccole proboscidi (nel caso degli umanoidi dai capelli) alla base del cranio. In questo modo gli sceneggiatori di Avatar hanno creato una versione un po' differente di Nemesis, pianeta e romanzo di Asimov, e di Solaris, questa volta di Lem: in questi due casi abbiamo pianeti che ospitano abitanti microscopici che hanno realizzato delle connessioni semplici tra loro per costituire un organismo estremamente intelligente ma costituito da piccolissime parti facilmente rimpiazzabili. Addirittura in Nemesis, se non ricordo male, è l'intero pianeta ad essere senziente (come l'Ego del Marvel Universe). Il concetto di pianeta senziente o vivente verrà ripreso più avanti perché narrativamente fondamentale.

Altro romanzo di fantascienza fondamentale per Cameron e Avatar è sicuramente Dune di Frank Herbert: le due trame sono tremendamente simili, tanto che quando Jake Sully nel suo avatar locale viene circondato dai fiori dell'albero della vita, mi aspettavo che la sua guida avrebbe citato una leggenda locale su uno strano personaggio venuto da lontano per liberare gli abitanti del pianeta da una grande minaccia, un po' come in Dune con Paul Atreides su Arrakis. D'altra parte la vittoria finale degli abitanti del pianeta-deserto avviene grazie a uno degli stranieri che li sta opprimendo per sfruttare una particolare risorsa del pianeta, altrove introvabile, proprio come in Avatar.
In quest'ultimo caso, però, questa risulta una semplificazione: senza l'intervento conclusivo del pianeta, che lancia contro l'esercito terrestre praticamente tutti i suoi abitanti terrestri e celesti, gli autoctoni non sarebbero riusciti nell'impresa di respingere gli invasori nonostante la presenza di ben tre terrestri tra le loro fila che conoscevano molto bene armi e tecniche di combattimento (e di questi almeno uno con un controllo completo sul suo avatar pandoriano).
Esistono però anche delle differenze tra le due opere.
Il romanzo di Herbert rappresenta la situazione di tensione che si creerà a causa dello sfruttamento del petrolio da parte dei paesi occidentali e dei ricconi locali nei paesi dell'oriente islamico: la guerra che rappresenta non è necessariamente una guerra tra nazioni, pianeti, popoli, ma una sfida per la sopravvivenza dell'oppresso sull'oppressore.
Nel film di Cameron, invece, poiché il regista voleva soprattutto enfatizzare la storia dei pellerossa americani, a venire rappresentata non è una guerriglia, ma una guerra, perché in quel caso la risorsa cercata dagli oppressori ancora non è sotto il loro controllo. E' per questo che abbiamo un attacco rapido e terribilmente sanguinoso, che in effetti genera una reazione da parte del popolo invaso. Interessante, in questo senso, la reazione di Miles Quaritch (già visto in Nemico pubblico con un personaggio altrettanto letale ma decisamente molto più nobile): arringando i propri militari, riesce a dimenticarsi un paio di fatti fondamentali
1) che il primo, pesante attacco lo hanno sferrato loro, i terrestri;
2) che le risorse che stanno cercando di prendersi, in realtà non gli appartengono e non sono state messe lì per loro.
Assolutamente decisivo sul tipo di personaggio che abbiamo di fronte, molto di più di qualsiasi approfondimento intimistico, è la battuta che lancia a Sully:
Come ci si sente a tradire la propria razza?
o qualcosa del genere.
Rappresenta un atteggiamento di chiusura completa al mondo esterno, non dovuto tanto all'ignoranza, ma all'arroganza, al non voler comprendere piuttosto che all'impossibilità di farlo. Ciò che infatti colpisce maggiormente nei due personaggi veramente negativi del film, il militare Quaritch e l'imprenditore Parker Selfridge (attore di origini siciliane, presente anch'egli in Nemico pubblico), è la loro intelligenza e il modo in cui la vogliono utilizzare. Il primo semplicemente per fare la guerra, il secondo per fare soldi. Quest'ultimo, però, scompare nel momento in cui Grace Augustine, la mitica Sigourney Weaver (come non ricordare la saga di Alien?), gli mette di fronte il sangue di un popolo innocente. In questo senso gli sceneggiatori fanno una mossa tremendamente ingenua, ritenendo che mai un imprenditore possa tirarsi indietro per qualche migliaio di morti, soprattutto se non sono esseri umani!
In conclusione: un film molto bello, ben fatto e ben girato, con un gusto scenografico più disneyano che starwarsiano, che nella sua semplicità narrativa presenta una serie di spunti interessanti, che vanno dalla storia americana, alle tradizioni africane, alle guerre per il controllo delle risorse, alla logicità della propaganda, una logicità che si fonda più su quello che non dice che su quello che dice.
A questo punto non mi resta che dirvi: se non vi ho rovinato troppo la sorpresa, andare a vederlo, magari non in 3d, perché per l'attuale livello di maturazione della tecnologia (casereccia!), questo film è troppo lungo.

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