Si capisce sin dalle prime pagine che l'obiettivo di Ballard non è scrivere un giallo dove scoprire l'assassino, o dove scoprire come l'assassino ha commesso il delitto, ma un noir nella perfetta tradizione di Patricia Highsmith, dove ad essere importanti sono le motivazioni dell'assassino.
In questo caso, però, l'autore non entra direttamente nella psiche degli assassini, che in questa occasione sono un gruppo, ma la scopre un pezzo alla volta, raccogliendo le prove giorno dopo giorno, permettendo, così, di mettere a nudo la micro-comunità nella quale si svolge il delitto, che a sua volta è una riproposizione in piccolo della società moderna in generale.
Ciò che Ballard con Running wild vuole mettere a nudo è, in effetti, un aspetto particolare, l'eccesso di controllo e di sicurezza che spesso imponiamo a coloro che amiamo e a noi stessi pensando che questo sia l'unico modo per proteggere gli altri, per esprimere loro il nostro amore. Questo controllo, però, non è tanto nelle telecamere, quanto nel decidere in maniera dettagliata della vita dei nostri figli, ad esempio, dell'essere certi di ciò che è giusto o sbagliato, del desiderio di far sì che loro non sbaglino mai e soprattutto non debbano mai provare il dolore generato dall'errore. Ciò però, secondo la tesi di Ballard, crea una generazione distaccata, quasi priva di sentimenti, che non può fare altro che ribellarsi i maniera violenta alla società che l'ha generata. In questo senso il romanzo di Ballard è forse doppiamente inquietante se ci si sofferma a pensare ai molti delitti nati per una combinazione letale di noia e ribellione di cui le cronache mondiali si sono riempite: forse che molti dei delitti di cui veniamo quotidianamente edotti sono una conseguenza delle scelte fatte in quegli anni?
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