Stomachion

mercoledì 21 dicembre 2011

La chimica e la fisica della neve

Con l'arrivo dell'inverno e delle festività natalizie, soprattutto nelle località di montagna ci si aspetta sempre di veder cadere la neve. Questa si forma nell'atmosfera a partire dal vapore acqueo o dal congelamento di gocce superfredde. Durante il processo di formazione, i cristalli di neve possono catturare al loro interno vari tipi di gas presenti nell'atmosfera in quel momento. Inoltre, una volta caduta a terra, grazie alla così detta pompa del vento, l'aria catturata può essere parzialmente o anche completamente sostituita con l'aria presente in superficie. Ha dunque un certo interesse studiare i granelli di neve che cadono a terra, soprattutto nelle zone con le nevi perenni, dove è possibile così esaminare anche l'atmosfera presente in tempi precedenti alla caduta della neve stessa. Non dimentichiamo, infatti, che la temperatura e il riscaldamento radiativo e il raffreddamento del manto nevoso avvengono a temperature e con flussi di acqua-vapore che cambiano in dipendenza della profondità.
Con questo interesse in mente, ovvero comprendere meglio le condizioni dell'ambiente circostante, Florent Dominé e Paul Shepson hanno realizzato, nel 2002, una review (una rassegna di articoli su un dato argomento) sulla chimica e la fisica della neve pubblicata su Science(1).
Ritorniamo ai nostri flussi: questi modificano la neve, cambiando la forma del cristallo, l'area superficiale e la densità a causa delle molecole d'acqua che scorrono tra i granelli di neve.
La dinamica dei gas catturati dalla neve, invece, può essere influenzata da numerosi processi, sia fisici sia chimici. Si può andare da processi puramente fisici come l'adsorbimento o la cocondensazione, a reazioni chimiche catalizzate dalla superficie ghiacciata che possono essere innescate dalla luce o dalla temperatura. Queste ultime sono dette reazioni oscure (dark reactions), come ad esempio quelle che vengono utilizzate per la produzione degli alogeni, e sembrano avvenire su scale temporali piuttosto lunghe, almeno secondo alcune analisi del CH3Br nella neve artica. E' stato osservato, inoltre, un rapido aumento nella concentrazione di questo composto chimico, un effetto inatteso almeno per dell'aria vecchia di centinaia di anni, come quella catturata dalle nevi artiche, e quindi bisogna coinvolgere processi biologicamente mediati e/o la presenza di fasi condensate per spiegarne la presenza.
Le difficoltà nella comprensione e nella caratterizzazione di queste reazioni sono, in generale, dovute a una scarsa conoscenza della natura fisica e chimica delle superfici ghiacciate naturali. Sulle superifici ghiacciate esiste uno strato disordinato, spesso chiamato strato quasi liquido. Il suo spessore aumenta con la temperatura e la concentrazione del soluto ionico. Le sue proprietà sono intermedie tra quelle del ghiaccio e dell'acqua, complicando gli sforzi per chiarire la cinetica delle reazioni in questo mezzo. Esperimenti di laboratorio che hanno esposto questo tipo di superficie ghiacciata all'NaCl o al sale marino hanno mostrato la formazione di uno strato liquido superficiale con un'alta concentrazione ionica: un mezzo di questo genere può accelerare la chimica e la fotochimica della neve.
Tutti questi dati dovrebbero essere sufficienti per descrivere un modello per la dinamica interna della neve, ma in effetti i problemi sembrano essere così complessi che l'unica soluzione prodotta nel 2002 fu un modello fenomenologico, descritto a partire proprio dai dati sperimentali. In questo caso si può affermare che la chimica della neve sembra essere guidata dalla fotolisi degli ioni del nitrato (NO3-), che rilascia NOx e HONO in aria. Questa conclusione è anche supportata da esperimenti in laboratorio su gocce di ghiaccio irradiate con nitrato.
L'OH formato durante la fotolisi può poi reagire con i materiali organici eventualmente disciolti nella neve per produrre HCHO, acetaldeide e acetone. Altre osservazioni suggeriscono anche la produzione di alcheni e di alogenuri alchilici.
Tuttavia, a causa della complessità dei processi coinvolti, il meccanismo di produzione delle specie differenti probabilmente dipende sia dalla fisica sia dalla chimica e potrebbe variare anche da un luogo a un altro. Ad esempio in alcuni luoghi dove la neve risulta maggiormente esposta al terreno e ai materiali organici, potrebbero dominare proprio i processi fisici, mentre in zone come ad esempio l'Antartide, dove non ci sono grandi sorgenti di materiale organico, potrebbero invece essere dominanti le reazioni chimiche. D'altra parte a complicare la situazione c'è anche il fatto che i processi fisici responsabili degli scambi neve-aria non sono ancora ben chiari, e quindi gli autori della revisione suggeriscono di approfondire ulteriormente le ricerche in questo campo per arrivare a una interpretazione dei dati che sia convincente.

(1) Domine, F. (2002). Air-Snow Interactions and Atmospheric Chemistry Science, 297 (5586), 1506-1510 DOI: 10.1126/science.1074610
L'articolo è invece costruito a partire da selezione, riarrangiamento, traduzione e adattamento di alcuni passaggi salienti dell'articolo, utilizzati per descruivere brevemente lo stato dell'arte sulla fisica e la chimica della neve.

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