Ammetto di aver ricevuto questo articolo, che ha anche avuto l'onore della copertina del numero, da un paio di settimane circa, quindi spero di aver reso un buon servizio a Jacopo e a tutti i suoi colleghi.
Recentemente mi è stato chiesto come mai il vetro è trasparente mentre altri materiali non lo sono. La sua trasparenza è sostanzialmente dovuta all'interazione tra gli elettroni del vetro e la luce incidente, e quindi discende dall'interazione tra i fotoni (o le radiazioni elettromagnetiche) e la materia. Un fotone, quando colpisce la materia, può essere assorbito, riflesso o continuare il suo cammino senza subire alcuna modifica. Questi differenti comportamenti sono dovuti ai livelli energetici occupati dagli elettroni degli atomi che costituiscono la materia con cui interagisce il fotone, in particolare dalla differenza di energia tra questi livelli. Sappiamo, grazie all'effetto fotoelettrico e alla spiegazione che ne ha dato Einstein, che gli elettroni vengono eccitati, ovvero acquistano energia grazie ai fotoni incidenti solo se l'energia di questi fotoni è uguale (o superiore) all'energia necessaria per saltare a uno dei livelli successivi. Questo vuol dire che se la luce non eccita gli elettroni del materiale, questo è trasparente al suo passaggio, proprio come avviene nel vetro: la luce visibile, infatti, non ha energia sufficiente per eccitare gli elettroni del vetro, che risulta quindi trasparente al suo passaggio, nonostante i raggi di luce vengano comunque riflessi.
Se prendiamo una lastra di vetro, dunque, e la facciamo colpire da luce proveniente da una sua estremità, una parte dei raggi verrà riflessa e quindi rilevata da un dispositivo (come il nostro occhio) posto ad esempio all'estremità opposta. Non tutti i raggi riflessi, però, percorreranno un cammino lungo uguale e quindi non tutti i raggi raggiungeranno nello stesso tempo l'occhio. Qualcosa del genere avviene anche quando la luce attraversa i vetri delle nostre finestre: i raggi di luce non viaggiano tutti alla stessa velocità. Per permettere a tutti i raggi di luce di raggiungere il punto di rilevazione contemporaneamente si può costruire una struttura che va via via assottigliandosi man mano che ci si avvicina alle estremità, ovvero si costruisce una lente. Uno dei modi per utilizzare una lente è ad esempio per l'ingrandimento degli oggetti, però non tutti gli ingrandimenti possono essere fatti utilizzando delle lenti che sfruttano la luce visibile. Se infatti abbiamo oggetti che si trovano a una scala inferiore ai 200 nm, le usuali lenti ottiche non sono in grado di risolverne i dettagli. A meno di non costruire una lente HIRES(1) (High Index Resolution Enhancement by Scattering). Questa lente, sviluppata dal gruppo di van Putten e Bertolotti (il nostro Jacopo!) è costituita:
(...) of a homogeneous slab of high-index material on top of a strongly disordered scattering layer. The disordered layer breaks the translational invariance of the interface, which enables incident light to be coupled to all propagating angles inside the highrefractive-index material as shown in figure. Yet multiple scattering also scrambles the wavefront creating a speckle-like pattern on the object plane that itself cannot be used for imaging. Therefore we manipulate the incident wavefront in order to force constructive interference of the scattered light at a position in the object plane of our HIRES-lens.(1)La lente sviluppata dai laboratori olandesi COPS è in grado di rilevare con grandissima precisione delle nanoparticelle di oro dell'ordine dei 100 nm o meno, come potete vedere nell'immagine qui sotto che confronta l'osservazione di queste particelle a sinistra viste con una lente commerciale di grande qualità e a destra viste con la HIRES(1): Se però vogliamo ad esempio osservare un oggetto nel cielo nascosto dalle nuvole, possiamo ingrandire la porzione di cielo fino a che vogliamo, ma non riusciremo mai a cogliere più di qualche dettaglio. In effetti è proprio pensando alle turbolenze atmosferiche che J. R. Fienup ha sviluppato una versione modificata dell'algoritmo di Gerchberg e Saxton(2).
L'idea è semplice: qualunque oggetto, anche nascosto, invia delle informazioni luminose che siamo in grado di rilevare, ma potrebbero non essere sufficienti per darci un'idea della forma e dei dettagli che lo caratterizzano. Allora è possibile ricavare queste informazioni estraendole con un opportuno algoritmo iterativo a partire dalle trasformate di Fourier della luce diffusa(2).
Il metodo, già sperimentato da Fienup, è stato recentemente raffinato e adattato sempre presso i COPS per la rilevazione di oggetti dell'ordine dei micrometri(3) o addirittura dei nanometri, come afferma Allard Mosk nel comunicato stampa ufficiale (la cui versione in italiano ho avuto il piacere di revisionare insieme con Peppe):
Questo sarà estremamente utile nel campo delle nanotecnologie. Quello che vorremmo è rendere visibili strutture nascoste in ambienti complessi come i microprocessori.L'idea è semplice: supponiamo di avere un oggetto fluorescente completamente nascosto da uno schermo opaco rispetto alla diffusione della luce, ovvero un materiale che, a differenza del vetro da cui siamo partiti, non permette ai raggi luminosi di procedere su un percorso mediamente dritto, ma li costringe a scegliere percorsi con una deviazione molto grande rispetto alla linea retta. Un modo per ricostruire l'oggetto nascosto è
(...) to separate the small amount of light that did not change direction owing to random scattering (ballistic light) from the scattered background using a gated technique such as optical coherence tomography.(3)In questo modo si riescono a recuperare le informazioni all'interno di un mezzo semi-trasparente, ma è molto difficile se non impossibile utilizzare metodi non invasivi all'aumentare della diffusione. Si potrebbe utilizzare la tomografia ottica diffusa, ma questa permette solo la localizzazione dell'oggetto e non la ricostruzione dei dettagli. L'idea diventa quindi quella di recuperare i dettagli grazie alle correlazioni presenti proprio all'interno della luce diffusa (o scatterata, come si suol dire in fisica).
Per recuperare queste informazioni bisogna prima colpire l'oggetto, che nel caso specifico è stato modellato a forma di $\pi$, con della luce laser in grado di attraversare la superficie opaca. Ciò che si ricava dalla luce diffusa è però qualcosa di abbastanza incomprensibile, almeno a occhio nudo: E' a questo punto che interviene l'algoritmo di tipo-Fienup che serve per recuperare le correlazioni tra i punti della figura precedente e da queste i dettagli dell'oggetto stesso, a partire dalla sua forma: Il metodo ha però delle enormi potenzialità: è stato infatti testato anche con una struttura biologica complessa come lo stelo della Convallaria majalis (il mughetto) ottenendo dei risultati decisamente incoraggianti: Se la principale limitazione del metodo è dovuta
(...) al segnale di fondo, che potrebbe distorcere l'autoccorelazione misurata(3)possibili sviluppi futuri della tecnica sono quindi la rilevazione di piccole strutture sottocutanee, e le possibili applicazioni mediche conseguenti.
La ricerca, infine, ha anche ottenuto l'onore della copertina del numero di Nature uscito quest'oggi e questo mi ha suggerito di titolare il post (decisione poi modificata all'ultimo minuto, visto che sarebbe finito aggregato su RB) come Un wikipediano sulla copertina di Nature. Quando l'ho comunicato a Jacopo, il nostro si è schernito con un timido non sono più un wikipediano attivo, ma per quel che mi riguarda, parafrasando i famosi Vendicatori:
Una volta wikipediano, wikipediano per sempre
P.S.: le prime tre immagini sono tratte dal libro QED di Richard Feynman
Video: Perché il vetro è trasparente?
(1) van Putten, E., Akbulut, D., Bertolotti, J., Vos, W., Lagendijk, A., & Mosk, A. (2011). Scattering Lens Resolves Sub-100 nm Structures with Visible Light Physical Review Letters, 106 (19) DOI: 10.1103/PhysRevLett.106.193905 (arXiv)
(2) Fienup, J. (1978). Reconstruction of an object from the modulus of its Fourier transform Optics Letters, 3 (1) DOI: 10.1364/OL.3.000027 (pdf)
(3) Bertolotti J., van Putten E.G., Blum C., Lagendijk A., Vos W.L. & Mosk A.P. (2012). Non-invasive imaging through opaque scattering layers, Nature, 491 (7423) 232-234. DOI: 10.1038/nature11578
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