Ispirato da alcuni recenti fumetti comici di genere fantascientifico usciti per Editoriale Cosmo, recupero la recensione di questo bel volume uscito per la Bao l'anno scorso
I Bojeffries sono una famiglia particolare: un padre che di notte va sui tetti a pesca di pipistrelli insieme con il figlio, mentre la figlia tanto disinibita quanto brutta che odia il mondo intero iniziando proprio dalla sua famiglia prova periodicamente a perdere la verginità; un vampiro e un licantropo per zii; un neonato radioattivo e un nonno che appartiene alla schiatta delle divinità extramondane ideate da Howard Philips Lovecraft.
Così in uno dei suoi primi fumetti, ritroviamo uno dei numi tutelari della poetica e della narrativa di Alan Moore, declinato con un gusto molto vicino a quello dei Monty Python, noto gruppo di comici surreali britannici. L'idea sembra quella di realizzare una famiglia alla Addams nella periferia britannica, in particolare quella di Northampton, cittadina natale dello sceneggiatore: Moore così ironizza sulla società inglese degli anni '80 del XX secolo (la serie esordì nel 1983 sull'antologico Warrior). Emerge il quadro di una società povera (non solo economicamente), che sopravvive tra piccole risse, razzismo strisciante e cliché sul sesso.
Steve Parkhouse, con il suo tratto dettagliato, riesce a seguire ottimamente le invenzioni di Moore, rappresentando al meglio la scena iniziale, uno zoom che dallo spazio porta fino ai tetti di Northampton, o nella capacità di passare da vignette praticamente spoglie ad altre straripanti dettagli. In questa serie di avventure Moore inizia poi a sperimentare, come in Vacanze estive, un vero e proprio racconto illustrato, o in Canto delle terrazze, che è uno dei fumetti-canzoni scritti dal fumettista, sulla stessa linea di The march of the sinister ducks o The old gangsters never die.
La saga dei Bojeffries
Alan Moore, Steve Parkhouse
Traduzione di Michele Foschini
brossurato, bianco e nero, 96 pagine
Bao Publishing, 2016, 14,00
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