Philip Dick è stato probabilmente uno dei più grandi romanzieri statunitensi del XX secolo. Usualmente viene associato con il genere fantascientifico, dove ha proposto una serie di elementi che successivamente sarebbero confluiti nel cyber punk, il movimento letterario fondato da William Gibson e da Bruce Sterling. Dick, però, non scrisse solo di fantascienza, ma anche quello che può essere considerato, forse un po' forzatamente, un romanzo beat: Mary e il gigante. In ogni caso, come tutta la letteratura dickiana, ha un unico ed evidente obiettivo: rappresentare uno spaccato della società statunitense, in questo caso quella degli anni Cinquanta.
La società di quel decennio così come viene rappresentata da Dick nelle vicende della giovane Mary Anne Reynolds, è una società sostanzialmente chiusa, ipocrita e praticamente vittoriana, che ad esempio riesce a sopportare gli afroamericani solo se restano al loro posto, ad esempio suonare e cantare in un locale jazz, dove anche i bianchi possono andare a servirsi, o nei loro quartieri sovrappopolati, magari in gigantesche case con appartamenti costituiti da al più un paio di camere e possibilmente con il bagno in comune.
Niente di più stupefacente se, allora, il gigante del titolo, Carleton B. Tweany, il talentuoso cantante del Lazy Wren, sia uno dei pochi afroamericani abbastanza ricchi da permettersi una casa decente. E niente di più stupefacente se Mary finisce per infatuarsi di Carleton, iniziando anche una relazione con il cantante, all'inizio restio, ma poi interessato più a sfruttare la situazione che non realmente alla piccola Mary. La ragazza, da parte sua, ben presto si allontana da Carleton per finire tra le braccia del più gentile Joseph Schilling, che come il suo omonimo de I giocatiori di Titano, ha un negozio di musica aperto da poco nella cittadina di Mary.
Se vogliamo Mary, una ragazza piena di sogni, ma soprattutto di ambizioni, vedrà precipitare la sua vita proprio a causa di Schilling: il suo arrivo, infatti, porta in città una sua vecchia amante con suo marito, giunti con l'obiettivo di ricattarlo, visto che la relazione tra Schilling e la donna avvenne quando quest'ultima era già sposata con il suo piuttosto inutile marito. Beth Croombs, questo il nome della donna, viene rappresentata come una persona facilmente preda degli istinti, e questo, in una notte in cui in casa di Carleton si organizza una festa ai limiti dell'orgia, porta Mary ad allontanarsi definitivamente dal suo gigante, facendola di conseguenza avvicinare a Schilling.
Anche in questo caso, forse a causa della grande differenza di età (il commerciante potrebbe essere suo padre), la relazione non funziona: la ragazza, infatti, pensa che anche Schilling voglia semplicemente sfruttarla, senza riuscire a capire realmente i sentimenti dell'uomo, così come non aveva compreso prima quelli del cantante. A quel punto la scelta è quasi obbligata: andare via dal suo paese, dove si mormora, dove i genitori sono preoccupati per la sua reputazione, e andare verso la grande città, insieme con l'unico che le sia stata realmente vicino durante tutta la storia, il pianista Paul Nitz.
Ciò che però colpisce è soprattutto come, con grande lucidità, sembra che lo scrittore abbia criticato non solo gli anni Cinquanta, che presentano in se tutti gli elementi tipici della cultura statunitense dei decenni successivi (ad esempio la competitività ad ogni costo, evidente nei rapporti sempre più freddi tra Mary e il suo fidanzato ufficiale; o ancora una certa superficialità nella cultura, che sembra essere più una zavorra che non una possibilità), ma anche la generazione che di quegli anni è figlia, rappresentata proprio da Mary, che nonostante la serenità raggiunta nel finale, non è una figura poi migliore rispetto agli altri personaggi, Nitz a parte. E' come se quest'ultimo, nella sua devozione nei confronti di Mary, rappresenti la guida esperta che dovrebbe avere la generazione degli anni Cinquanta, ma che evidentemente manca o che non è così influente come dovrebbe, visto quanto sembra fittizia la scena al parco raccontata nel capitolo finale.
Le conseguenze di quegli anni Cinquanta ricadono in maniera più o meno diretta sugli anni Sessanta. I figli di Mary crescono in una società che è per certi versi il ripetersi di quella dalla quale Mary ha cercato di sfuggire, ma ciò che questa generazione degli anni Sessanta ha fatto è stata ribellarsi, o provare a ribellarsi a quel tipo di struttura sociale. Il loro fallimento è tema per un discorso più complesso, ma si può anche parlare di quella storia in termini decisamente più ironici con un altro capolavoro della letteratura americana, Una banda di idioti di John Kennedy Toole.
Toole è un autore che, obiettivamente, è entrato nella leggenda. Conta, infatti, due romanzi al suo attivo, La bibbia al neon e Una banda di idioti e di questi uno è stato pubblicato postumo grazie all'instancabile ostinazione della madre, che è riuscita a far arrivare sulla scrivania di Walker Percy questo corposo ma non certo noioso romanzo che il figlio era riuscito a completare prima di suicidarsi in una mattina di primavera del 1969.
Il protagonista indiscusso di tutto il romanzo è Ignatius Reilly, un omone dalla stazza imponente, con un paio di baffi, un modo assurdo di vestirsi (quasi come un barbone) con un cappellino da cacciatore sempre in testa, che non toglie praticamente mai. E' un puro intellettuale che cerca a tutti i costi di tenersi lontano dal lavoro, di qualunque genere, ma che nel chiuso della sua stanza, o almeno quando riesce a restare solo soletto nella sua stanza, scrive saggi, lunghi articoli, pagine di un diario pieno delle sue peripezie da lavoratore costretto, o lettere a Mirna Minkoff, l'unica donna della sua vita che sembra riuscire a trattare con lui nonostante i costanti litigi epistolari.
Il contorno dei personaggi, poi, non è da meno: un imprenditore di pantaloni, per il quale Ignatius ha lavorato, sposato con una moglie convinta che, grazie a un corso di psicologia per corrispondenza, riuscirà a salvare il mondo intorno a lei (marito a parte, per il quale ha perso ogni speranza, a suo dire); la titolare di un bar equivoco, il Notti di follia, che fa affari sottobanco con merce piuttosto illegale ma molto ricercata; un negro, che lavora per il Notti di follia, perennemente nascosto dal fumo delle sue sigarette, sempre pronto a lamentarsi per la sua condizione di lavoratore schiavizzato; un poliziotto un po' maldestro, decisamente mobizzato sul lavoro, che non riesce a concludere un arresto decente, almeno fino alla retata finale.
Infine c'è la madre, una donna che cerca di spronare il figlio a staccarsi da lei, ma che al tempo stesso non fa che pensare sempre a Ignatius, finendo alla fine per litigare quasi ogni giorno con il suo ingombrante e imponente figliolo. La fine del loro rapporto avverrà nel modo più imprevedibile possibile: mentre il resto dei coprotagonisti vedrà le proprie storie avviarsi verso una strada in discesa, nonostante non facciano poi molto per arrivarci verso quel punto, solo Ignatius si troverà a dover affrontare il pericolo di un manicomio, quello dove vorrebbe rinchiuderlo la madre su suggerimento dell'amica Santa, la zia del poliziotto di cui sopra. Ignatius alla fine riuscirà a salvarsi, andando anche lui verso una conclusione (forse) migliore, ignaro di essere il capo di una perfetta banda di idioti.
In questo senso il romanzo, molto benniano (o forse è Benni, che tra l'altro scrive l'introduzione all'edizione italiana, ad essere tooliano?) spiccano alcune caratteristiche: innanzitutto, come Mary e il gigante, è una rappresentazione e una critica della società statunitense in continua e veloce evoluzione. Se infatti il romanzo di Dick era ambientato negli anni Cinquanta, questo è caratterizzato dall'atmosfera rivoluzionaria del decennio successivo. I vari protagonisti, poi, pur se ciascuno differente e riconoscibile nelle caratteristiche essenziali, rappresenta un campione abbastanza rappresentativo della società statunitense di quel decennio: come detto abbiamo il poliziotto maldestro e un po' stupido, grazie al quale Toole prende in giro i tutori dell'ordine; la madre di Ignatius e la zia del poliziotto rappresentano, poi, due modi differenti di approcciarsi alla famiglia, che stridono tra loro a maggior ragione pensando che Santa è di origini italiane; il mondo imprenditoriale viene poi rappresentato nella sua varia umanità, andando dall'imprenditore annoiato e costretto a una carriera che non riconosce, a differenza della moglie che si sente fiera dell'attività del marito e da questa superiore rispetto al resto della popolazione, che vuole aiutare anche se questa l'aiuto non lo vuole (emblematico il fatto che la più anziana dell'azienda, Gloria, non viene licenziata perché la signora imprenditrice pensa che lavorare renda la vita di Gloria molto più felice!), e passando dalla commerciante che tratta affari sottobanco, senza dimenticare il mondo dei venditori ambulanti; Mirna, poi, rappresenta il mondo studentesco e, insieme con una serie di personaggi, come il nero circondato dalla nube di fumo o il gruppo di omosessuali nei quali Ignatius incappa nelle sue peregrinazioni, rappresentano tutto quel mondo alternativo e di protesta che viene anch'esso preso in giro esaltandone gli aspetti grotteschi. E su tutti, come già scritto, imperversa Ignatius, uno di quei personaggi che oggi non potrebbe fare altro che l'opinionista in tv locali o uno di quei blogger, magari seguitissimo, i cui lettori inevitabilmente si dividerebbero tra quelli che gli ridono dietro e quelli che gli sbavano dietro.
In definitiva i due romanzi sono, pur se da punti di vista e con toni differenti, presi insieme, raccontano due decenni della società statunitense, che, volente o meno, ha influenzato buona parte del pensiero Occidentale moderno.
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