Stomachion

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martedì 5 febbraio 2013

Storie d'America

Philip Dick è stato probabilmente uno dei più grandi romanzieri statunitensi del XX secolo. Usualmente viene associato con il genere fantascientifico, dove ha proposto una serie di elementi che successivamente sarebbero confluiti nel cyber punk, il movimento letterario fondato da William Gibson e da Bruce Sterling. Dick, però, non scrisse solo di fantascienza, ma anche quello che può essere considerato, forse un po' forzatamente, un romanzo beat: Mary e il gigante. In ogni caso, come tutta la letteratura dickiana, ha un unico ed evidente obiettivo: rappresentare uno spaccato della società statunitense, in questo caso quella degli anni Cinquanta.
Più riguardo a Mary e il gigante
La società di quel decennio così come viene rappresentata da Dick nelle vicende della giovane Mary Anne Reynolds, è una società sostanzialmente chiusa, ipocrita e praticamente vittoriana, che ad esempio riesce a sopportare gli afroamericani solo se restano al loro posto, ad esempio suonare e cantare in un locale jazz, dove anche i bianchi possono andare a servirsi, o nei loro quartieri sovrappopolati, magari in gigantesche case con appartamenti costituiti da al più un paio di camere e possibilmente con il bagno in comune.
Niente di più stupefacente se, allora, il gigante del titolo, Carleton B. Tweany, il talentuoso cantante del Lazy Wren, sia uno dei pochi afroamericani abbastanza ricchi da permettersi una casa decente. E niente di più stupefacente se Mary finisce per infatuarsi di Carleton, iniziando anche una relazione con il cantante, all'inizio restio, ma poi interessato più a sfruttare la situazione che non realmente alla piccola Mary. La ragazza, da parte sua, ben presto si allontana da Carleton per finire tra le braccia del più gentile Joseph Schilling, che come il suo omonimo de I giocatiori di Titano, ha un negozio di musica aperto da poco nella cittadina di Mary.
Se vogliamo Mary, una ragazza piena di sogni, ma soprattutto di ambizioni, vedrà precipitare la sua vita proprio a causa di Schilling: il suo arrivo, infatti, porta in città una sua vecchia amante con suo marito, giunti con l'obiettivo di ricattarlo, visto che la relazione tra Schilling e la donna avvenne quando quest'ultima era già sposata con il suo piuttosto inutile marito. Beth Croombs, questo il nome della donna, viene rappresentata come una persona facilmente preda degli istinti, e questo, in una notte in cui in casa di Carleton si organizza una festa ai limiti dell'orgia, porta Mary ad allontanarsi definitivamente dal suo gigante, facendola di conseguenza avvicinare a Schilling.
Anche in questo caso, forse a causa della grande differenza di età (il commerciante potrebbe essere suo padre), la relazione non funziona: la ragazza, infatti, pensa che anche Schilling voglia semplicemente sfruttarla, senza riuscire a capire realmente i sentimenti dell'uomo, così come non aveva compreso prima quelli del cantante. A quel punto la scelta è quasi obbligata: andare via dal suo paese, dove si mormora, dove i genitori sono preoccupati per la sua reputazione, e andare verso la grande città, insieme con l'unico che le sia stata realmente vicino durante tutta la storia, il pianista Paul Nitz.
Ciò che però colpisce è soprattutto come, con grande lucidità, sembra che lo scrittore abbia criticato non solo gli anni Cinquanta, che presentano in se tutti gli elementi tipici della cultura statunitense dei decenni successivi (ad esempio la competitività ad ogni costo, evidente nei rapporti sempre più freddi tra Mary e il suo fidanzato ufficiale; o ancora una certa superficialità nella cultura, che sembra essere più una zavorra che non una possibilità), ma anche la generazione che di quegli anni è figlia, rappresentata proprio da Mary, che nonostante la serenità raggiunta nel finale, non è una figura poi migliore rispetto agli altri personaggi, Nitz a parte. E' come se quest'ultimo, nella sua devozione nei confronti di Mary, rappresenti la guida esperta che dovrebbe avere la generazione degli anni Cinquanta, ma che evidentemente manca o che non è così influente come dovrebbe, visto quanto sembra fittizia la scena al parco raccontata nel capitolo finale.
Le conseguenze di quegli anni Cinquanta ricadono in maniera più o meno diretta sugli anni Sessanta. I figli di Mary crescono in una società che è per certi versi il ripetersi di quella dalla quale Mary ha cercato di sfuggire, ma ciò che questa generazione degli anni Sessanta ha fatto è stata ribellarsi, o provare a ribellarsi a quel tipo di struttura sociale. Il loro fallimento è tema per un discorso più complesso, ma si può anche parlare di quella storia in termini decisamente più ironici con un altro capolavoro della letteratura americana, Una banda di idioti di John Kennedy Toole.