
Veniamo all'essenza della storia: in una notte di eclissi di luna, una luna piena e rossa come tutte le lune durante le eclissi (come per esempio quella che seguiremo il 7 settembre su EduINAF!), definita bizzarra dal protagonista incatenato e solo, immerso nel buio più completo, nel prologo, il suo villaggio, un villaggio moderno visto che vediamo i pali della luce, arrivano delle minacciose sagome scure a cavallo, provenienti da secoli prima, che iniziano a portare fuori gli abitanti da ogni casa, uccidendo i pochi recalcitranti per convincere i molti (il classico "punisci pochi per educare molti"). L'unico a salvarsi da questo rastrellamento è Kenichi, che si rifugia in una casa isolata poco fuori dal villaggio, cercando di sfuggire a questi demoni e di trovare un modo per salvare gli abitanti catturati, o quantomeno la sua famiglia.
Le prime pagine di questo rastrellamento sono una discesa nell'orrore: Hino prima rappresenta questi demoni come delle forme indistinte che emergono dalla notte, per poi diventare sempre più nette, ma comunque completamente nere tranne il bianco minaccioso degli occhi. Quindi ecco l'esplosione della violenza, che viene enfatizzata da primi piani di asce, porte sfondate e teste che saltano dal collo.
Il peggio, però, deve ancora arrivare e già il giorno dopo Tenichi ha una prima terrificante visione: in una doppia splash page Hino mostra un paese devastato, completamente raso al suolo a parte alcune case ancora in piedi, ma comunque in rovina. E' una visione che richiama alla mente la devastazione successiva alle bombe cadute su Hiroshima e Nagasaki (di cui quest'anno sono occorsi gli ottant'anni: ne parleremo meglio in una futura occasione), quasi a suggerire che quella tragedia non era all'epoca (il manga è stato pubblicato nel 1985) ancora stata completamente elaborata.

Poco più avanti, infatti, Hino mostra come i demoni rinchiudono gli abitanti del villaggio in robuste gabbie di legno prima costringendoli a nutrirsi del mangime generalmente destinato ai maiali, quindi imponendo loro di decidere di trasformarsi consapevolmente in maiali: la pena per i ribelli è una lenta tortura che dura un'intera giornata. Se in questa trasformazione riecheggia, come scritto da Ercole, il mito di Circe, l'imposizione di auto-umiliarsi da parte dei demoni riecheggia di una profonda modernità. Hino attraverso questa metamorfosi sembra quasi voler proporre al lettore una metafora della società moderna, in cui le persone umiliano se stesse per conformarsi (gli abitanti del villaggio, una volta trasformati, non presentano alcun carattere distintivo) secondo i dettami del potere, destinate a un sacrificio che ingrassa solo coloro che lo detengono: i maiali, infatti, vengono successivamente macellati non appena le forze per compiere i lavori quotidiani vengono meno e rimpolpano le scorte per la cittadella che i demoni stanno costruendo.
Se a questo aggiungiamo che negli allevamenti intensivi i maiali arrivano al punto di mangiare se stessi, la metafora di una società che si divora dall'interno risulta completa. E in quest'ottica si potrebbe spiegare il finale, al quale nemmeno Hino riesce a dare un significato:
Non so cosa significhi, ma è qualcosa di incredibile.Il fatto che i demoni, tolti gli elmi, abbiano tutti la faccia di Kenichi se da un lato consegna a una dimensione onirica, da incubo, per riprendere quanto scritto da Ercole nella sua introduzione, completa la metafora di cui scrivevo poc'anzi.
Poco sopra avevo citato i demoni come metafora dell'Occidente, ma in virtù della scoperta finale potrebbero anche essere metafora dell'occidentalizzazione del Giappone, tema che era stato affrontato da Hino in maniera in qualche modo più leggera con Mandala, rinforzando, quindi, l'idea di una metafora della società dell'epoca.
C'è, però, anche un'interpretazione in qualche modo più intima e personale che mi viene suggerita da un passo interessante dell'introduzione:
Tuttavia, per mantenere la famiglia, [Hino] non aveva altra scelta che portare a termine il lavoro.Alla luce di ciò, si potrebbe leggere il finale, e in fondo tutta l'opera, come una metafora della tirannia della famiglia, in cui ci si auto-umilia e auto-divora senza rendersi conto di venire tiranneggiati dalla propria famiglia, dai nostri stessi figli.
Quale che sia il senso del finale e, per traslato, dell'intera opera, in ogni caso può essere letta come un tentativo di Hino (e un invito al lettore) di esorcizzare i propri demoni interiori, sia che si rivolgano nei confronti della società, sia che si rivolgano contro se stessi.
Nessun commento:
Posta un commento