
Con uno stile chiaro, ma con un evidente "dente avvelenato" nei confronti dei decisori politici e della rapacità degli imprenditori, l'autore ci accompagna tra i monti e le valli alpine, raccontando di come la montagna è stata trasformata in funzione del profitto: non solo il suo aspetto, con grandi cementificazioni dovute alla costruzione di impianti sciistici, ma anche l'adattamento, se così vogliamo dire, di molti abitanti dei luoghi assaltati dagli imprenditori, che hanno cercato di fornire un'immagine "genuina", dove però questa genuinità è declinata secondo ciò che i turisti si aspettano di trovare, e non secondo ciò che veramente c'è.
Ferrari, nel suo viaggio, affronta anche la tematica climatica, sottolineando come le soluzioni per preservare nevi "eterne" (con tutte le virgolette del caso) e i ghiacciai, peraltro solo quelli delle stazioni sciistiche, siano sostanzialmente parte del problema del riscaldamento globale, accentuandolo, anche solo di poco.
Il punto centrale del libro, che poi è dove i toni dell'autore si addolciscono, è quello di raccontare come gli esseri umani si sono adattati a vivere in montagna, creando un rapporto con l'ambiente circostante in grado di mantenere non solo l'equilibrio, ma anche una biodiversità viva e dinamica. E anche la socialità risulta all'insegna di una solidarietà non forzata da alcuna autorità, ma dovuta alla sopravvivenza e alla condivisione di esperienze.
Non c'è nulla di perfetto, idilliaco o da cartolina, soprattutto se consideriamo che la storia ci racconta di cicli di popolamenti e spopolamenti, ma traspare forte quel rispetto per la montagna in cui Ferrari vuole riporre fiducia per il futuro, grazie a (per ora poche) esperienze positive e propositive di molti giovani che stanno recuperando proprio quel vivere la montagna in maniera sana e integrata.
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