Et in arcadia ego è il nome del quadro del Guercino che per primo diffonde tale frase. Nel caso del dipinto del pittore italiano, la scena rappresenta due contadini che osservano un teschio posto sopra un piedistallo su cui è incisa la frase. Al di là dell'incompletezza della frase (manca il verbo), l'Arcadia era un regione dell'Antica Grecia che venne idealizzata dai poeti del passato, primo fra tutti Virgilio, come luogo di pace e armonica con la natura. La cosa era probabilmente dovuta al fatto che la regione, che prendeva il nome dall'eroe mitologico Arcade, era considerata la terra d'origine del dio Pan. Questa visione utopica venne ripresa molti secoli dopo dal poeta Jacopo Sannazaro che nel 1502 diede alle stampe il poema Arcadia. L'interpretazione che ne diedero però pittori come Guercino, con il suo dipinto datato 1618-1622, e il francese Nicolas Poussin nel 1640 gioca sulla dicotomia tra vita e morte. Secondo molti storici dell'arte, infatti, la frase, calata nel contesto in cui viene rappresentata, è una sorta di memento mori, un avviso della caducità della vita, anche in un mondo ideale come quello di Arcadia. E in un certo senso questa visione in chiari-scuri è proprio quella presentata da Marco Bucci e Jacopo Camagni nel primo volume di Arcadia, che possiamo ufficiosamente considerare come il quarto volume di Nomen Omen.
Il mondo in cui si apre Arcadia è una prosecuzione di quello su cui si chiude Nome Omen, ma con uno stacco temporale di tre anni dove vediamo le due fazioni, quella delle "favole" guidata da Taranis e quella degli umani e di alcune "favole ribelli" guidata da Becky, in guerra una per consolidare i suoi territori e l'altra per riportare Manhattan al suo aspetto originario.
E' interessante il confronto tra le due fazioni, soprattutto dal punto di vista della rappresentazione: il mondo costruito da Taranis, Arcadia, è luminoso e ricco di colori; quello di Becky è bianco e nero con toni di grigio e un unico altro colore, il verde della sua magia. Questo confronto visivo, che porterebbe a parteggiare per Taranis, viene ribaltato dalle motivazioni dei due gruppi: le "favole" non concedono alcuna possibilità di scelta agli umani, che sono così costretti a cedere il proprio corpo alle potenze magiche che ne prendono il controllo fino al punto di trasformarsi negli esseri che interpretano; il gruppo di Becky, invece, cerca di restituire, a umani e "favole", il libero arbitrio che Taranis ha loro sottratto. E qui c'è l'ennesimo ribaltamento: il mondo di Taranis è rappresentato in maniera edonistica e dionisiaca e le sue azioni non sono altro che una reazione alle scelte di Becky (ma di fondo Taranis dimentica chi ha provocato chi); dall'altro la società costruita intorno a Becky sembra teppistica e fascista nei modi (e Becky sembra in alcune scene stanca della guerra che sta conducendo).
Il mondo di Arcadia è, dunque, ambiguo e la storia va ben oltre il confronto, pure esplicito, tra realtà e fantasia, affrontando argomenti come la guerra e i terribili compromessi che bisogna accettare per portare avanti la propria causa. Il tutto narrato con una strisciante sensazione di incombente catastrofe intorno a Becky.
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