Stomachion

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domenica 30 aprile 2023

La casa di Einstein a Pavia

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Oggi con mia sorella abbiamo approfittato del secondo week end lungo consecutivo (del primo non lo abbiamo potuto fare per causa mia...) andando a vedere prima la Certosa di pavia, e quindi Pavia stessa.
Alla Certosa siamo arrivati giusto in tempo (ma credo che gli orari sono coordinati con quelli dei treni) per assistere alla visita guidata tra gli spazi interni della Certosa condotti da un monaco della Certosa stessa. E quando la visita è iniziata non lo sapevamo, ma lo abbiamo scoperto nel seguito delle varie tappe:a guidarci, infatti, c'era Domenico De Stradis, il monaco cuoco televisivo. Non poteva esserci, quindi, guida più spigliata nel mostrarci alcuni degli ambienti del monastero e raccontarci i fatti dietro un'opera voluta da Gian Galeazzo Visconti e che è stata compleata in qualcosa come all'incirca un secolo. E' stata sicuramente una visita molto interessante, anche per il contorno un po' gossip: c'erano non solo le fan di don Domenico, ma, come nella più classica carrambata, anche un suo ex-professore dei tempi del liceo!
Poi di nuovo sul treno per andare a vedere Pavia. E qui la visita che vi racconto, anticipata dal titolo. Tutto inizia quando, tornando dalla visita al Borgo Ticino, un vero e proprio paesotto a quattro passi da Pavia, separato solo dal fiume e collegato dal Ponte Coperto, proprio a metà del ponte si trova una targa che ricorda Albert Einstein che passò una parte della sua vita, per quanto una parte breve, proprio a Pavia. In particolare nel 1895 Einstein con tutta la famiglia soggiornò, se la memoria non m'inganna, per un annetto circa a Pavia, dopo aver passato più o meno l'anno precedente a Milano, questo per via di alcuni affari del padre di Einstein in Italia.

giovedì 3 novembre 2016

Iddu: il richiamo del dio del fuoco

La seconda magica lettura di un'estate fa by @andreavismara2 per @edizionispartac
«Be', il libero arbitrio ce l'hanno dato in dotazione proprio per questo, per rovinarci la vita con le nostre mani, se vogliamo».
«Ah, una filosofa, bene. Senti, ma perché non finisci quella brodaglia e te ne vai a dispensare buoni consigli altrove? Non ho bisogno di un'infermiera».
Dieci persone, sparse in giro per il mondo. Ognuna è in cerca di qualcosa: un amore, un padre, una fuga, un riposo.
Ognuna di loro ha una vita che in qualche modo e per un qualche motivo deve abbandonare, un qualche dramma alle spalle, piccolo o grande che sia, ma comunque sufficientemente importante da spingerli a compiere, a un certo punto, una scelta. Non è certo l'unica che hanno compiuto nella vita, ma è quella che, quando ti giri dietro e rivedi il film, è quella con la "esse maiuscola", quella che ti fa dire "ecco, senza quella scelta, ma proprio senza quella, sarei completamente diverso, ora, la mia vita sarebbe completamente diversa".
Sono dieci persone, dieci personaggi in un certo senso, scritti e diretti da una forza più grande di loro, una sorta di richiamo inesorabile, che sottrae loro quello che ci piace chiamare "libero arbitrio".
In un certo senso ciascuno dei dieci personaggi, alla fine, accetta questo semplice fatto, accetta quel numero limitato di desideri che Iddu gli ha concesso:

lunedì 18 agosto 2014

Autostop con Buddha

La letteratura di viaggio è, si sa, il racconto di un'avventura vissuta realmente, perché in fondo ogni viaggio è un'avventura. Quando poi, come nel caso di Will Ferguson il viaggio è in un paese straniero, in una cultura ignota, il viaggio diventa un'avventura anche quando si svolge in un paese avanzato come il Giappone.
Will era andato in Giappone per lavoro (insegnante) e decise di passare le proprie ferie a girare per il paese, in pratica da sud a nord, rischiando anche il licenziamento, perché alla fine, come giusto che sia in un viaggio in terra nipponica, ciò che è importante non è la meta, ma il viaggio, e le persone che si incontrano durante il tragitto.
Un diario di viaggio divertente, interessante e illuminante su un paese lontano che si conosce solo attraverso televisione e manga.

martedì 29 luglio 2008

Cicloturisti in Calabria

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Il cicloturismo, ma anche camping per biciclettari e mountain-biker sono molto diffusi nel nord d'Italia. Più difficile trovare cicloturisti in Calabria: tra strutture carenti (nel senso di una scarsa diffusione di bed & breakfast, almeno come struttura d'accoglienza iniziale) e strade non proprio curate e spesso troppo trafficate, c'è ben poco spazio per i ciclisti amatoriali che vorrebbero girare la Calabria sulle due ruote. Eppure qualcuno viene, soprattutto dal nord Europa, nonostante tutte le notizie negative sulla Calabria, nonostante le difficoltà di raggiungere la nostra regione attraverso i mezzi più utilizzati come l'aereo o il treno, questi cicloturisti dell'estero sono attratti dalle bellezze del nostro territorio, non sempre valorizzate quanto necessario, se non in troppo pochi centri turistici, almeno rispetto alla ricchezza ambientale e paesaggistica della Calabria. La possibilità di scoprire, quindi, lo stivale d'Italia è assolutamente necessaria, anche solo per comprendere in che stato versa la nostra regione. Probabilmente è con questa idea che alla Rubettino hanno deciso di proporre Cicloturisti in Calabria, libro che fa parte di una serie di cartonati che cercano di presentare ai lettori i punti di vista di alcuni autori, italiani e stranieri, su una delle più belle regioni d'Italia. In particolare in questo Cicloturisti, curato e introdotto da Vittorio Cappelli, vengono presentati due viaggi cilistici: il primo effettuato sul finire del XIX secolo (1897) da Luigi Vittorio Bertarelli, fondatore del Touring Club Italia (Diario di un cicloturista di fine Ottocento. Da Reggio Calabria ad Eboli), il secondo nel giugno 2006 (quindi poco più di due anni fa) dal giornalista Roberto Giannì (Sulle orme di Bertarelli. Dal Cilento a Reggio Calabria). Entrambi i viaggi durano 5 giorni: il primo è ispirato dal desiderio di conoscere una regione fin da allora discriminata dal distante nord Italia come passo fondamentale verso un'effettiva unificazione della nazione, il secondo è ispirato soprattutto da Bertarelli e diventa, poi, un modo alternativo di fare una fotografia dell'attuale regione. Luigi Vittorio Bertarelli, milanese, giunge in treno, dopo un viaggio di 36 ore dal capoluogo lombardo, fino a Reggio Calabria da cui inizia la sua risalita. Incontra la prima e di fatto unica zona industriale della regione, costituita da una serie di filande, senza dimenticare i campi coltivati. Bertarelli percorre la via principale della regione, quella che conduce fino a Roma: la via Popilia! Lungo questo percorso, spesso accidentato, il viaggiatore milanese osserva una natura stupenda e incontaminata che nulla ha da invidiare alle regioni del nord o a nazioni come la Svizzera o l'Austria. Inoltrandosi nel nostro territorio, però, osserva molta arretratezza e uno scarso sviluppo del territorio. Così scrive alla fine del primo giorno di viaggio: Il maggiorasco, abolito giuridicamente nel 1860, sopravvive negli usi, larvato colle scappatoie coonestate dalla legge; alle ragazze si assegnano doti su perizie false o esagerate, ai cadetti rassegnati si danno lucciole per lanterne; il primogenito ingoia tutto. Riguardo al territorio, invece: La terra è feracissima, coltivata male e non intensivamente: il concime per esempio neppure si sa che sia; spese per sementi non se ne fanno, gli aratri sono rudimentali, la lavorazione appena superficiale; l'allevamento del bestiame mal fatto, con razze miserrime, senza criteri razionali (per esempio neppur si hanno due distinte razze di bovi per lavoro e per macello) il caseificio poco meno che conosciuto, la viticoltura affidata all'ignoto e al caso. Osserva poi, senza commentarla (constatato comunque un diffuso analfabetismo) la propensione delle famiglie calabresi nel mandare i propri figli a studiare: I proprietari se hanno un figlio ne fanno avvocato; se ne hanno due uno è avvocato, l'altro medico; se tre l'ultimo è farmacista. Però: Ne avessero dieci nessuno studia per essere agricoltore. Nonostante questo nota una grande disponibilità da parte delle popolazioni locali (a fine giornata trova sempre una sistemazione per la notte, e nessuno vuole in cambio alcun pagamento) e una diffusa sicurezza (su questo tornerò più avanti). Nel suo toccare i vari paesini calabresi, nel terzo giorno, passa per Cosenza: Rieccomi in paese civile, commenta Bertarelli. Però: Cosenza, come tutte le città calabresi, offre ben poco d'interessante. Nella mia fermata d'un'ora, facevo però in tempo a notar questo: la pavimentazione è quasi dappertutto orribile: il bicicletto non vi può procedere che lentissimo. E conclude le osservazioni su Cosenza con un'invettiva generale sulla politica stradale italiana, che sin da allora era decisamente comune, nel bene e soprattutto nel male! La gente di Calabria, però, nonostante le risate e l'incredulità al passaggio del nostro cicloturista, decisamente si riscatta: Tocco i 400 metri e mi dirigo in dolce discesa verso Spezzano Albanese. Un carretto con un povero mulo e cinque persone sopra, corre davanti a me. Avverto perché sorveglino la bestia, ma non se ne dànno per intesi: non sanno neppure che i muli si spaventano colla bicicletta! Invece gridano e sghignazzano allegramente nel vedermi passare a fianco. Ma dietro di me odo il mulo, restato un momento indeciso, lanciarsi a un galoppo scomposto, mi arrivano delle grida di spavento, un urlo di donna, poi un tonfo sordo. Mi volto: il carretto è rovesciato in un piccolo fosso sul fianco della strada, col mulo e le persone a rifascio. Mi vien freddo, ma che fare? Mi fermo, scendo di sella e torno indietro, pronto ad adoperare, a seconda, le parole calmanti o il revolver per difendermi. [Bertarelli, e ne fa menzione spesso nel corso della narrazione, come da racconti pervenuti, si aspetta di trovare una diffusa realtà brigantesca, ma spesso a fine giornata nota come la sicurezza sia diffusa e come si possa girare tranquillamente con la borsa piena d'oro: l'illegalità è limitata (!) a contenziosi familiari che poco hanno a che fare con le rapine. NdG] Che lo avrebbe pensato? Quella buona gente visto che nulla c'era di rotto, né carro, né bestia, né persone, neppure inveiscono con male parole, ma si contentano di guardarmi trasognate come a dire: ma che diavoleria ci è capitata? E noi diciamo che i briganti sono in Calabria! Ciclisti, se un caso simile mi fosse capitato tra Milano e Monza? Rispondo io: un putiferio indipendentemente dai danni. Stessa cosa se fosse capitato oggi, anche in Calabria. Ad esempio: una mattina, verso le 11:30, sono all'autostazione. Sto scendendo da Piazza Bilotti (ex Piazza Fera) e sulla salita che porta alla piazza c'è fila in attesa che il semaforo diventi verde. All'improvviso un urto: un'auto che si sta accostando dall'autostazione alla fila non frena in tempo. Il passeggero (non il conducente!) scende come indemoniato e inizia a urlare: La macchina! La macchina! Quindi rientra e inizia a battersi sulle gambe in maniera convulsa e disperata. Perplesso (l'auto urtata non ha subito nessun danno apprezzabile) me ne vado verso via Popilia. Certo, questo è un caso decisamente estremo, ma in fondo reazioni scomposte a incidenti del genere sono frequenti anche qui nel sud, dove al tempo di Bertarelli di auto se ne vedevano decisamente poche (una in tutto il viaggio!). Nel complesso le impressioni di Bertarelli sono buone: la Calabria è una bella regione ricca di paesaggi stupendi da visitare, in particolare in bicicletta e nonostante le strade. In teressante, comunque, e con questo concludo, alcune osservazioni fatte dal viaggiatore una volta giunto a Lagonegro: il paese è da anni di una sicurezza completa e generale, non vi si fanno che risse e vendette affatto accidentali e neppure numerose, furti campestri, ma non molti, raro l'abigeato; il contadino sta discretamente (è un proprietario che lo dice, ma io mi chiedo sempre come si spieghi l'emigrazione). Se questa è l'idea di sicurezza in Calabria sul finire del XIX secolo, chissà quale era quella del nord Italia: la sensazione è che non fosse di molto diversa a come è adesso, e che tutto il parlare di sicurezza di qua e di là sia solo un assedio mediatico alla ricerca della notizia, pur restando vero il fatto che negli ultimi anni si è assistito ad un complessivo cambiamento della criminalità. In pratica quella organizzata e affaristica si è spostata a Milano e dintorni, lasciandoci solo piccoli gruppi che curano affari minori, o bande di giovani e giovinastri, a volte italiani, a volte extra-comunitari. Non sono però queste le cose notate da Giannì, che trova ancora una regione costituita da gente ospitale e cordiale, ma soprattutto trova un territorio che non viene opportunamente sviluppato e valorizzato dai suoi amministratori. Non solo una diffusa ediliza incontrollata e probabilmente abusiva, ma anche nota uno scarso interessa nel valorizzare percorsi ciclistici che pure sono battuti, come ad esempio il vecchio percorso utilizzato da Bertarelli (Giannì, nella sua discesa verso Reggio - il giornalista napoletano, infatti, decide di percorrere la strada inversa rispetto al suo predecessore milanese - incontra alcuni cicloturisti stranieri). Una regione bloccata dall'abusivismo, il soldo facile, da politicanti deboli e interessati alla poltrona (salvo rare eccezioni), che ha smantellato la rete delle Ferrovie della Calabria, il cui traffico è oggi quasi esclusivamente su gomma, tranne in alcune zone che vengono ancora gestite dall'azienda di trasporto regionale. Così, proprio a causa di questo disimpegno, aggiungo io, la stazione centrale di Cosenza, quella di Vaglio Lise, continua a languire, continua ad essere sempre più un centro periferico per Treni Italia, nonostante le proteste dei lavoratori, nonostante che al nord molte stazioni periferiche vengono di fatto gestite da aziende locali, che tengono in piedi stazioni altrimenti inutilizzate, spesso con risultati migliori rispetto all'azienda nazionale.