Stomachion

venerdì 6 dicembre 2013

Il paradosso quantistico di Zenone

E' semplice mostrare utilizzando la teoria standard che se un sistema parte in un autostato di una qualche osservabile, e le misure sono fatte tali da osservare N volte in un secondo, allora, anche se lo stato non è stazionario, la probabilità che il sistema sarà nello stesso stato dopo, diciamo, un secondo, tende a uno al tendere di N all'infinito; cioé, che l'osservazione continua impedirà il moto ...
(Alan Turing citato da Andrew Hodges in Alan Turing: Life and Legacy of a Great Thinker)
o in termini più semplici
Gli assiomi standard della meccanica quantistica implicano che nel limite di osservazioni continue un sistema quantistico non può evolvere.
(sempre Andrew Hodges in Alan Turing: the logical and physical basis of computing - pdf)
Inizialmente noto come paradosso di Turing, in onore del matematico che lo formulò negli anni Cinquanta del XX secolo, venne successivamente identificato come effetto quantistico di Zenone, risultando nei fatti una versione avanzata del famoso paradosso di Zenone della freccia, il cui risultato ultimo era la negazione del moto. Una prima formulazione e derivazione dell'effetto la si trova in Does the lifetime of an unstable system depend on the measuring apparatus?, mentre i primi a identificarlo come paradosso quantistico di Zenone furono George Sudarshan e Baidyanath Misra, che stabilirono che una particella instabile non decadrà mentre è tenuta sotto continua osservazione(1) per capire se decadrà o meno. Gli stessi autori, però, cercano di salvare capra e cavoli (ovvero la giustezza matematica del teorema con il senso comune quantistico):
Esiste un principio fondamentale nella teoria quantistica che nega la possibilità dell'osservazione continua.(1)
D'altra parte gli italiani Ghirardi, Omero e Rimini, insieme con Weber mostrano che:
(...) ove si tenga conto in modo appropriato delle relazioni di indeterminazione, l'argomento che porta al paradosso [quantistico di Zenone] non è più valido.(2)
Il punto cruciale nella dimostrazione di Ghirardi e soci è il principio di indeterminazione di Heisenberg riformulato per tempo ed energia(3): \[\Delta H \cdot \Delta T \leq \frac{\hbar}{2}\] se si vuole realizzare il processo di misura con una frequenza sempre maggiore (fino al continuo), bisogna necessariamente ridurre il tempo impiegato per la misura stessa, e questo conduce a energie sempre più grandi(2). Queste obiezioni, però, non hanno impedito ai teorici di continuare a speculare su questa formulazione quantistica del paradosso: ad esempio Richard Cook propose un esperimento(4) che avrebbe potuto dimostrare la realtà del paradosso. L'esperimento, che prevedeva l'intrappolamento di uno ione, venne effettivamente realizzato nel 1989 presso il NIST(5) utilizzando circa 5000 ioni di $^9 Be ^+$ e dimostrando così la realtà dell'effetto:

(transizione $1 \rightarrow 2$)

(transizione $2 \rightarrow 1$)
I risultati, però, anziché chiudere la faccenda, hanno posto, come sempre nella scienza, nuove questioni (legate anche all'effetto contrario, l'anti-effetto quantistico di Zenone, dove invece l'osservazione continua genera una probabilità pari a 1). Sicuramente c'è da capire il legame tra l'effetto quantistico di Zenone e il principio di indeterminazione di Heisenberg per il tempo e l'energia. Altra questione è, poi, capire i limiti di validità dell'effetto: come molti ricordano, infatti, esso prevede la possibilità di effettuare delle misure istantanee, ovvero delle operazioni sperimentali di per sé ideali, cosa praticamente impossibile. Bisogna, quindi, capire a partire da quali condizioni sperimentali tale effetto si dovrebbe presentare: è quello che cercano di capire Koshino e Shimizu nel loro chilometrico articolo(6), dove utilizzano la teoria quantistica della misura per gettare un po' di luce su quello che sembra teoricamente un paradosso e sperimentalmente un effetto.
Ad ogni modo, al di là delle discussioni di merito e filosofiche (molti, d'altra parte, si chiedono se possa essere valido in questa o in quell'altra interpretazione della meccanica quantistica, o se possa essere valido nel caso sia corretta l'ipotesi dei molti mondi) è molto interessante osservare come l'effetto quantistico di Zenone sembri essere un perfetto controbilanciamento degli invarianti adiabatici, dove a giocare un ruolo fondamentale è la non osservazione: sembra quasi che i due teoremi si controbilancino a vicenda per creare una sorta di equilibrio perfetto all'interno del quale si evolve un qualsiasi sistema fisico imperfetto.
Su Turing e la fisica, leggi anche, sempre di Hodges, The Nature of Turing and the Physical World
(1) Misra B. & Sudarshan E.C.G. (1977). The Zeno’s paradox in quantum theory, Journal of Mathematical Physics, 18 (4) 756. DOI:
(2) Ghirardi G.C., Omero C., Weber T. & Rimini A. (1979). Small-time behaviour of quantum nondecay probability and Zeno's paradox in quantum mechanics, Il Nuovo Cimento A, 52 (4) 421-442. DOI: (pdf)
(3) Mandelstam L. & Tamm I. (1945). The Uncertainty Relation Between Energy and Time in Non-relativistic Quantum Mechanics, Journal of Physics-USSR, 9 (4) 115-123. DOI: (pdf)
(4) Cook R.J. (1988). What are Quantum Jumps?, Physica Scripta, T21 49-51. DOI: , variazione di quanto proposto in
Cook R. & Kimble H. (1985). Possibility of Direct Observation of Quantum Jumps, Physical Review Letters, 54 (10) 1023-1026. DOI: (pdf)
(5) Itano W., Heinzen D., Bollinger J. & Wineland D. (1990). Quantum Zeno effect, Physical Review A, 41 (5) 2295-2300. DOI: (pdf)
(6) Koshino K. & Shimizu A. (2005). Quantum Zeno effect by general measurements, Physics Reports, 412 (4) 191-275. DOI: (arXiv)

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