L'aspetto interessante dei due film, però, non è solo nella comunanza di genere e regista, ma anche nel fatto che pure di Alien esiste un romanzo, sebbene sia una semplice novelizzazione. La genesi di Alien viene dall'incontro tra Dan O'Bannon e Ronald Shusett. In particolare il primo, che aveva appena finito di scrivere Dark Star, il fantascientifico e parodistico esordio di John Carpenter, aveva in animo di realizzare una sua versione in stile horror ambientata in una astronave con un equipaggio di pochi elementi. Una volta che i due creativi ottennero il via dalla casa di produzione, il secondo passo fu la scelta del regista, che, dopo aver scartato tre nomi iniziali, come tutti sappiano ricadde su Scott. Fu quest'ultimo che, ufficialmente, portò nel team di lavoro il pittore surrealista Hans Rudolf Giger, che aveva già impressionato O'Bannon in particolare con Necronom IV, quadro del 1976. E Giger, proprio a partire da quello, sviluppa tutti gli aspetti esteriori dell'alieno, che poi sarebbe stato costruito da Carlo Rambaldi.
La novelizzazione della sceneggiatura venne affidata ad Alan Dean Foster, scrittore esperto in questo particolare esercizio letterario (vedi, ad esempio, alcuni romanzi tratti dalla serie Star Trek): e in effetti il romanzo è esattamente identico scena per scena al film di Scott, quindi la vera domanda per chi sta leggendo queste righe è cosa ha aggiunto la narrazione letteraria a quella cinematografica. Innanzitutto uno scontato approfondimento psicologico dei personaggi, nonostante lo stile decisamente asciutto e veloce, cui è da aggiungere una leggera vena d'ironia, che non ricordo fosse molto presente nel film.
La storia, abbastanza nota a tutti, vede l'equipaggio della Nostromo, nave commerciale di ritorno sulla Terra, svegliato dal computer di bordo a causa di un non ben identificato messaggio alieno proveniente da un planetoide posto sulla rotta del ritorno. Ricordando a grandi linee ciò che attende l'equipaggio, è semplice per il lettore identificare almeno un paio di situazioni fondamentali durante le quali sarebbe stato possibile modificare l'esito della missione e probabilmente sta proprio qui il primo punto forte di Alien: come si scoprirà nelle concitate scene finali, era abbastanza difficile per gli esseri umani presenti sulla Nostromo riuscire a prendere le decisioni più sensate.
Sull'astronave, infatti, la compagnia commerciale aveva infiltrato un androide, senza avvisare l'equipaggio, il cui unico compito era di riportare qualunque forma di vita aliena sarebbe stata incontrata nella missione suicida imposta senza alcuna possibilità di scelta alla Nostromo.
E' un punto essenziale, questo, che al di là della costruzione e ideazione della letale forma di vita aliena descritta da Giger, fornisce spessore alla storia, che non è più un semplice racconto dell'orrore ambientato nello spazio, ma un modo per criticare il ruolo sempre più invasivo del potere, in particolare quello dei grandi gruppi commerciali. E' certamente qualcosa di molto più sottile e meno esplicito di, ad esempio, Regno a venire di Ballard, che essenzialmente ruota sull'equazione consumismo = nazismo, ma non se ne discosta troppo: per comprenderlo basta soffermarsi sull'imposizione di una missione suicida a un inconsapevole equipaggio con l'obiettivo di ottenere il massimo profitto con il minimo sforzo. Di segno opposto, in questo senso, è il romanzo di Andy Weir, L'uomo di Marte, che racconta le peripezie di Mark Watney, astronauta della Nasa rimasto sul pianeta rosso a causa di un incidente imprevisto. Creduto da tutti morto in una tempesta marziana, inizia a sfruttare le risorse a disposizione (quelle non sfruttate dalla missione abortita) per sopravvivere il più a lungo possibile, mentre nel frattempo sulla Terra si accorgono della sua situazione e nello spazio i suoi compagni cercano di superare il trauma di non essere riusciti a salvarlo.
I punti interessanti del romanzo sono essenzialmente due: la verosimiglianza nella descrizione sia di ciò che avviene su Marte sia di ciò che avviene sulla Terra e nello spazio, le tre location su cui si sviluppa tutta la vicenda, e il messaggio di pace globale che lascia al lettore il libro una volta chiuso (oltre al senso di esaltazione per quanto raccontato). Non è un caso, infatti, che Weir descriva una collaborazione tra la Nasa e l'agenzia spaziale cinese per permettere a Watney di ritornare sulla Terra, mentre nel finale fa scrivere al suo protagonista:
Il costo della mia sopravvivenza dev'essere nell'ordine delle centinaia di milioni di dollari. Tutto per salvare un botanico un po' tonto. Perché darsi tanta briga?Al di là delle dettagliate e corrette spiegazioni scientifiche, dell'esaltazione per i successi o della delusione per gli insuccessi, della speranza di colonizzare un giorno un altro pianeta, è proprio questo il senso del romanzo: collaborazione. Ed è proprio questo che il film di Ridley Scott riesce a trasmettere, restando così fedele al romanzo, pur dovendo tagliare una buona parte delle avventure di Watney, il Robinson Crusoe dello spazio.
Ma sì, conosco la risposta. In parte dev'essere stato ciò che rappresento: progresso, scienza e il futuro interplanetario che sogniamo da secoli. Ma fondamentalmente lo hanno fatto perché ogni essere umano possiede l'istinto innato di aiutare il suo prossimo. Certe volte può non sembrare che sia così, ma è vero.
(1) Secondo la critica specializzata, il secondo, ad opera di James Cameron, è il migliore della serie, incluso Prometheus, aggiungerei
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