La barbarie è lo stato naturale dell'umanità. La civiltà è innaturale. È un capriccio delle circostanze. E la barbarie, alla fine, deve sempre trionfare.Non voglio perdermi nel cercare il senso di questa affermazione, ma semplicemente cercare di capire da dove essa potrebbe originarsi. E un possibile indizio potrebbe trovarsi all'interno di Viaggio nelle praterie del West di Washington Irving.
Considerato il padre della letteratura statunitense, Irving si era dedicato, nel 1832, all'esplorazione del West. Una volta concluso il suo viaggio, solo dopo molte insistenze lo scrittore mise mano ai suoi appunti per redarre il diario di quell'esperienza. E proprio in questo diario, riproposto in Italia dalle sempre encomiabili edizioni spartaco, propone nelle sue fasi iniziali un passo che può essere considerato come fondativo della filosofia cimmera:
Tale è lo spirito di indipendenza di un selvaggio: equipaggiato di un fucile, una coperta e un cavallo, era pronto su due piedi a perdersi nel mondo; portava addosso tutto quello che aveva e - privo di altri desideri - conosceva il segreto della libertà. Noi "civilizzati", invece, siamo schiavi tanto degli altri quanto di noi stessi; le cose superflue sono le catene che ci avvincono, immobilizzando il corpo e l'anima.Si potrebbe quasi dire che in ciò si trova il peccato originale del sogno americano, la distruzione di quel senso di libertà rappresentato dall'indiano osage di cui sta raccontando Irving e che per certi versi Howard rimpiange attraverso Conan.
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