Colgo l'occasione della mia assenza in gita a Napoli per recuperare un articolo scritto l'anno scorso. Per la maggior parte ha ancora una sua validità, a parte i riferimenti ai due volumi conclusivi, usciti un anno fa.
Quasi sin dai suoi esordi, Batman ha avuto a che fare con il mondo dell'occulto e della magia. Le caratteristiche del personaggio, un uomo che si maschera da pipistrello per combattere il crimine, avvicinavano le storie di Bill Finger e Bob Kane al genere gotico. Era dunque normale che in una delle sue prime avventure, al tempo in cui Bruce Wayne sembrava esibire una fidanzata fissa, Julie Madison, Batman dovesse affrontare, per salvare la giovane, un castello pieno di lupi e di vampiri in Transilvania!

Buon ultimo in questa lista è Grant Morrison, che nella sua lunga gestione del personaggio che precede l'attuale versione post-Flashpoint, ha utilizzato il misticismo a piene mani. E questa scelta ben precisa dello sceneggiatore scozzese, che in effetti sembra confermare quanto già suggerito da Dennis O'Neil nella prima Leggenda, Sciamano, è in qualche modo una conseguenza della seconda storia batmaniana di Morrison: Gothic, dramma in cinque parti uscito su Legends e disegnato dal bravissimo Klaus Janson. Anche in questa occasione Batman deve affrontare una specie di monaco pazzo (in effetti un frate), tale Manfred, che, acquisita l'immortalità (nel senso che nulla può ucciderlo) per un periodo di 300 anni, sta ora cercando di portare a compimento un rito per ottenere una proroga sul pagamento. Quello che vuole realizzare è un sacrificio multiplo, quello di tutta la popolazione di Gotham!
La storia, un gotico intenso e in alcuni passaggi addirittura claustrofobico, intorduce tra le caratteristiche del personaggio un elemento tipico, invece, di Sandman. Wesley Dodds, l'uomo dietro la maschera antigas, combatte infatti il crimine spinto dai suoi stessi sogni, degli incubi che lo tormentano finché non ha risolto il crimine che li ha generati. E Morrison in questo caso, come faranno altri autori in altre occasioni (ad esempio Jeph Loeb e Tim Sale negli speciali stagionali di Legends), utilizza i sogni di Bruce un po' nello stesso modo, ovvero per fornire indizi sulla vicenda che si trova ad affrontare.

Nell'attesa di una eventuale ristampa della Lion, però, bisogna accontentarsi per il momento de Il Cavaliere Oscuro. La serie pre-Flashpoint è stata raccolta nell'omonimo volume e propone la saga Golden Dawn, una storia dai toni mistici dove saranno coprotagonisti la solita bella del caso, che questa volta sarà in pericolo a causa del padre che, per mantenere la sua immortalità, proverà a sacrificarla, e il demone Etrigan, il personaggio ideato da Jack Kirby durante il suo passaggio per la DC Comics.
Nonostante l'impegno di David Finch, in veste di autore completo per i primi tre capitoli, solo ai testi sugli ultimi due, disegnati da Jason Fabok, la storia principale (che in effetti c'è anche una sottotrama) risulta piatta e scontata, molto più vicina a un film di serie B o anche meno del genere horror che non alle storie gotiche citate in precedenza. Non piace nemmeno la versione demoniaca di Ragman, mentre le battute, in alcuni momenti, sembrano forzate, quasi come se Finch, senza più idee, avesse messo in bocca ai personaggi le prime battute venutegli in mente. Si salva solo la parte grafica, come da tradizione Image, ed esclusivamente per i primi tre capitoli, visto che Fabok, nonostante il talento, confrontato con Finch mostra uno stile leggermente più incerto e impreciso.
Maggiori speranze si potevano avere sulla serie regolare, che fa il suo esordio in Italia su Batman World #2. In questo caso ai testi troviamo Paul Jenkins, e questo va sicuramente a tutto vantaggio della fluidità dei dialoghi e dello sviluppo della trama da un lato e della resa grafica dall'altro. Ci sono solo un paio di problemi: da un lato il soggetto, che è una versione opportunamente modificata di Veleno, dove la droga ipertrofica viene presa dai nemici di Batman e non da Bruce come avviene nella storia di Dennis O'Neil (peraltro una delle sue più brutte); dall'altro lo sceneggiatore britannico, che aveva già lavorato su Batman con la Leggenda urbana Passi, cerca di essere morrisoniano senza averne le capacità. In un certo senso, nonostante la storia sia godibile, Jenkins tradisce il suo stile o più semplicemente prova a sperimentare, con un risultato appena sufficiente, un nuovo stile molto più vicino a quello di Morrison che al suo. Il risultato finale, per quanto migliore rispetto alla prova da autore completo di Finch, continua a non essere ancora soddisfacente.
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