Tarzan è per certi versi ancora più radicale di Conan: il re delle scimmie, infatti, non riesce ad andare troppo d'accordo quasi con nessuno degli esseri civilizzati che incontra, siano essi il colonizzatore bianco o gli abitanti dei villaggi africani. Se ci sono quegli elementi di proto-naturalismo, come ad esempio il consumare la carne cruda invece di quella cotta, come ne L'incubo, questo non riuscire a sopportare la civiltà in qualunque modo essa si presenti, dalla grande città come Parigi al piccolo villaggio disperso nella giungla, sembra nascondere una profonda critica e avversione a qualunque strutturazione sociale, a qualunque forma di gerarchizzazione che non sia basata sulla forza, come nella giungla selvaggia, o più in generale sul merito, come suggerirebbe il rapporto che Tarzan instaura con il tenente D'Arnot. In realtà forse quest'ultimo rapporto rappresenta la chiave per interpretare al meglio la critica politica all'interno di Tarzan: il selvaggio uomo della giungla instaura, infatti, un rapporto alla pari con il francese, e si rivela anche un re delle scimmie piuttosto recalcitrante nell'assumersi questo ruolo. Non a caso Tarzan verrà rappresentato circondato dagli scimpanzé, descritti con una struttura molto più anarchica rispetto alle scimmie dove è cresciuto; e alla pari è anche il rapporto con l'elefante Tantor, chiamato fratello, e diventa alla pari il rapporto con le scimmie dopo il salvataggio dei piccoli della sua tribù dall'attacco di due pantere affamate in Balu delle scimmie.
In un certo senso il non riconosce i valori della libertà individuale e dell'altruismo fine a se stesso e delle capacità di ciascuno sembrano essere la distinzione tra la vita nella giungla e quella nelle strutture sociali da essa distaccatesi, e la difesa di questi valori sta proprio nella giungla, quasi a voler suggerire che le società libertarie sono molto più naturali e al tempo stesso più giuste di quelle gerarchiche:
Chi può dire dove si trova la vera civiltà? In questa giungla, o altrove, dove gli uomini si uccidono l'un l'altro per avidità e degradazione?E' con queste parole che Tarzan si commiata dai lettori alla fine del quarto numero dell'albo a lui dedicato (il #210 della serie, in effetti) dal grande Joe Kubert, che nei suoi primi quattro numeri realizza una bellissima trasposizione del romanzo originale di Burroughs. Le successive uscite dimostrano ancora una volta l'amore di Kubert verso il personaggio che più di tutti lo hanno identificato tra gli appassionati, ancora di più del Sgt. Rock o di Tor (una sorta di Tarzan della preistoria, che man mano che veniva sviluppato si andava trasformando sempre più in una sorta di nuovo Conan), incominciando da La terra dei giganti, che in realtà è un rimontaggio, con aggiunta di vignette dello stesso Kubert, di una storia di Burne Hogarth e serializzata originariamente per i quotidiani, e proseguendo poi con la trasposizione dei racconti di Burroughs. I primi otto numeri di questa operazione sono stati raccolti in un primo volume, edito in Italia dalla Magic Press e uscito quasi contemporaneamente con la sua scomparsa, e questo lo rende forse ancora più prezioso, ben al di là del suo valore commerciale, proprio per il valore emotivo che si porta dietro.
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