
La grande chiazza di immondizia del Pacifico
A partire dagli anni Cinquanta del XX secolo, le nazioni industrializzate e quelle in via di sviluppo hanno riversato in mare detriti e spazzatura di tipo plastico. I materiali plastici, a differenza di quelli organici, subiscono un processo detto di fotodegradazione, ovvero, a causa dell'azione della luce del sole, si disintegra
(...) in pezzi sempre più piccoli fino alle dimensioni dei polimeri che la compongono, la cui ulteriore biodegradazione è molto difficile.(1, 2)Così scomposta, la plastica ottiene delle dimensioni e un comportamento idrostatico simile a quello del plancton, e viene così facilmente catturata e digerita dagli abitanti del mare, entrando nel ciclo alimentare. Il problema non sarebbe ingestibile, o comunque non di proporzioni eccessive se non fosse che, come mostrato in uno studio del NOAA di Robert Day, David Shaw e Steven Ignell(3), il gioco di correnti nell'Oceano Pacifico avrebbe dovuto creare un'area in cui tutta la plastica si sarebbe raccolta creando la ben nota grande chiazza di immondizia del Pacifico, nome proposto per la prima volta dall'oceanografo Curtis Ebbesmeyer(2). La sua estensione non è nota precisamente, e questo è dovuto a un fatto semplice ma apparentemente non così banale, visto che sovente si parla di isola: semplicemente non lo è. E' una chiazza dai contorni indistinti, un vortice di immondizia i cui bordi, almeno quelli visibili, dipendono dalle correnti e dalla quantità di immondizia presente (stimata in 3.5 milioni di tonnellate(1)). E' ovvio che, a causa della fotodegradazione non è possibile essere certi dei propri occhi, anche se l'osservazione diretta è sempre meglio di una simulazione. In questo senso senza Charles Moore(2) oggi della grande chiazza si ignorerebbero probabilmente non pochi dettagli. Moore che, tra l'altro, ha fondato l'Algalita Marine Research Foundation proprio per tenere sotto controllo questa particolare chiazza, ma anche le altre sparse negli altri oceani della Terra, e ha anche mostrato come il rapporto plastica-plancton dell'area sia di 6 a 1.
Nonostante questi numeri, la grande chiazza è un ecosistema che vibra di vita, in particolare microscopica, definito dai ricercatori plastisfera(4), costituita da innumerevoli specie di diversi organismi (dando un'occhiata all'articolo di Zettler e soci ho spannometricamente contato circa 150 specie differenti di batteri), di cui alcuni potenzialmente dannosi.

In questa fase storica, infatti, il maggiore contributo alla plastica oceanica proviene dai paesi in via di sviluppo, Cina e India in testa. Il motivo di questa alta produzione è in parte da ricercarsi nella popolazione costiera, ma soprattutto in un particolare problema strutturale interno di questi paesi. E' infatti emerso dall'esame che 16 dei primi 20 produttori di immondizia hanno sì avuto un grande e veloce sviluppo economico, affiancato però da una mancanza nello sviluppo e nella gestione delle infrastrutture dedicate alla spazzatura(5).

(...) possono agire immediatamente riducendo gli sprechi e riducendo la crescita della plastica mono-uso.(5)Onestamente la soluzione più semplice e logica che ridurrebbe drasticamente la previsione dei ricercatori sarebbe quella di fornire supporto tecnico ai paesi in via di sviluppo, ma questa soluzione, come potete immaginare, andrebbe a scontrarsi con l'economia di tipo concorrenziale imposta dai paesi industrializzati per cui gli altri non sono visti come potenziali collaboratori, ma come affamati concorrenti.
Un simbolo del consumismo

Ad ogni buon conto, la possibilità che una porzione di oceano possa venire in qualche modo terraformata sembra interessare molto più il governo degli Stati Uniti che non la famiglia di Chas, fornendo alla serie un forte contesto politico. E', infatti, evidente il confronto tra delle istituzioni al tempo stesso corrotte e corruttrici e il giovane Chas, rappresentato in una delle copertine come un eroe americano bardato dalla bandiera a stelle e strisce, quindi metaforicamente difensore di quei valori fondativi che il governo ha dimenticato. Letto in questo modo, il contesto ecologico all'interno di Great Pacific perde di interesse, diventa sostanzialmente marginale, mentre quello politico si pone all'attenzione del lettore. Anche questo, però, risulterà parzialmente monco.

Isole libertarie
Il principale interesse che mi ha spinto all'acquisto di Great Pacific è stato, infatti, non tanto l'aspetto ecologico (che invece ho successivamente approfondito) bensì il contesto politico: la proclamazione di un'isola di rifiuti come stato indipendente. Uno dei principali sogni libertari è, infatti, quello di creare un'isola autosufficiente e abbastanza lontana da qualunque stato per poter costruire una società anarchica dove le esigenze dell'individuo non solo vengono rispettate, ma nemmeno calpestate in nome di una solo apparente solidarietà sociale. Il vero problema nel momento in cui si accosta la chiazza di immondizia di Chas al sogno delle isole libertarie è l'accostamento nazionalista del protagonista con gli Stati Uniti, e non c'è nulla di meno nazionalista di un libertario.Gli aspetti politici in Great Pacific non si limitano solo a questo (debole) spunto libertario, ma anche alle influenze da guerra fredda presenti nel primo volume: sull'isola di immondizia, infatti, è presente anche un gruppo di pirati e mercenari alla ricerca di un aereo russo contente materiale radioattivo, da recuperare e rivendere al migliore offerente. Se già tutto ciò vi sembra complicato, Harris vi complica ulteriormente la trama introducendo anche una sorta di autoctoni per la grande chiazza con una struttura sociale basata su una sorta di mistica religione non meglio identificata.

Ad ogni buon conto, in questo guazzabuglio non è, quindi, così strano che il personaggio meglio riuscito, sia come scrittura sia come descrizione grafica, sia il polipo gigante femmina che stringe una singolare amicizia con il giovane erede dei Warthington: la sua morte è, infatti, uno dei momenti più toccanti e meglio riusciti di tutto questo primo volume.
Lo stesso Morazzo ai disegni, forse influenzato dalla molta carne al fuoco che andava raccontata, si propone al lettore con un tratto certamente pulito, ma ancora un po' legnoso. Le potenzialità, però, ci sono tutte, come mostrato in alcune scene particolarmente spettacolari, soprattutto quelle con la piovra di cui sopra.

(1) Pacific trash vortex: it.wiki
(2) Charles Moore, Great Pacific Garbage Patch (archive.org)
(3) Quantitative distribution and characteristics of neustonic plastic in the North Pacific Ocean, 1985-88 (pdf)
(4) Zettler E.R., Mincer T.J. & Amaral-Zettler L.A. (2013). Life in the “Plastisphere”: Microbial Communities on Plastic Marine Debris, Environmental Science , 47 (13) 7137-7146. DOI: http://dx.doi.org/10.1021/es401288x (pdf)
(5) Jambeck J.R., C. Wilcox, T. R. Siegler, M. Perryman, A. Andrady, R. Narayan & K. L. Law (2015). Plastic waste inputs from land into the ocean, Science, 347 (6223) 768-771. DOI: http://dx.doi.org/10.1126/science.1260352 (pdf)
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