
Tutto ciò fa indubbiamente de Il nostro tragico universo un romanzo d'amore, per certi versi tragico. La tragedia, però, non sta nell'amore, ma nell'universo. E questa tragedia viene rappresentata dal fantomatico Kelsey Newman, un filosofo, forse, o magari un ciarlatano, o chissà chi, ma certamente uno scrittore che cerca di divulgare la sua visione dell'universo, una sorta di mondo fittizio che ci prepara al raggiungimento di quello vero, reale, dove ognuno di noi è un eroe che riesce a compiere grandi imprese.
L'universo è, insieme all'amore e alla scrittura, uno dei tre punti cardine del romanzo, un interesse che nella protagonista nasce grazie alle recensioni di libri pseudo-scientifici che scrive per una rivista, un lavoro che le permette di rivelare i ciarlatani che usano la scienza per la propria autopromozione.
In fondo il problema di Meg è più o meno quello dell'informazione, in particolare quella scientifica, dalla sua nascita a oggi: dare credibilità a un certo modo di raccontare l'universo, cercando di inquadrare le ipotesi tra scientifiche e fantasiose. A margine di questo problema, però, ecco spuntare quello che in effetti ispira il titolo del romanzo: il destino dell'universo e degli esseri intelligenti che vivono in esso.
A questo problema in effetti, la fisica ha anche provato a rispondere: ad esempio partendo dall'ipotesi dei molti mondi, alcuni fisici teorici sono arrivati a teorizzare l'esistenza di una sorta di immortalità quantistica. Un po' tutto questo sembra riecheggiare all'interno del romanzo della Thomas, dove i protagonisti, una combriccola di scrittori e ricercatori, nelle loro discussioni intorno "alla vita, all'universo e a tutto quanto", parlano di cose come lo zen, la fisica, o di terapie particolari, ma tutto con un unico obiettivo: cercare il miglior modo di viaggiare in questo mondo.
In fondo è proprio questa l'essenza del romanzo, il messaggio ultimo al lettore: ognuno di noi deve semplicemente cercare il miglior modo di viaggiare e di costruirsi quella che ritiene la migliore compagnia possibile, con tutti i pregi e i difetti che questa scelta porta inevitabilmente. Spendo l'ultima parte di questo post per l'ultimo elemento essenziale del romanzo, la scrittura.
Se nei libri precedenti (almeno quelli che sono arrivati prima di questo) le connessioni con la metaletteratura erano presenti soprattutto grazie ai concetti metamatematici, ne Il nostro tragico universo il gioco metaletterario è evidente: Meg è non solo una critica letteraria, un'insegnante di scrittura creativa e una scrittrice, ma leggiamo anche i passaggi del romanzo impegnato che sta scrivendo, quello che ogni scrittore di romanzi seriali sogna di scrivere almeno una volta nella vita. E nel romanzo entrano passaggi della vita reale di Meg, trasformati e rielaborati dalla mente della scrittrice fittizia. E il colpo di genio è poi il fantomatico Newman, che un testimone, Tim, un corsista di Meg, afferma di aver visto (era arrivato nel paesotto della nostra protagonista per una conferenza), ma che alla fine del romanzo nessuno può realmente affermare di aver mai incontrato: forse è stato divorato dalla bestia immonda uscita dal romanzo che Tim sta scrivendo!
O forse non è mai esistito, visto che questo universo è in realtà un programma matematico...
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