Prendiamo una retta e fissiamo su di essa un punto che chiamiamo origine: sarà il nostro 0. Segnamo a destra di questo punto (o a sinistra: il concetto dietro non cambia) un secondo punto. In questo modo abbiamo compiuto due operazioni: definito la nostra unità, l'1, e dato un verso alla retta. E proprio grazie a questa unità possiamo definire tutti gli altri numeri presenti sulla retta ordinata degli interi, prima spostandoci di un passo alla volta verso destra (o sinistra) definnendo così i numeri positivi, quindi spostandoci di un passo alla vola verso sinistra (o destra) definendo così i numeri negativi. Il tutto, ovviamente, a partire dallo 0.
Questo, ovviamente, è solo un modo geometrico per vedere i numeri negativi, che i greci avevano già incontrato ritenendoli semplicemente assurdi. Si narra, infatti, che Diofanto incontrò per la prima volta i numeri negativi quando risolse un'equazione di primo grado che in termini moderni può essere scritta come \(4x + 20 = 4\) che ha come soluzione \(x = -4\). In questo caso il matematico greco ritenne che proprio tutta l'equazione era da considerarsi assurda. Questa posizione discende abbastanza naturalmente dal fatto che i matematici greci erano anche dei geometri, e una misura negativa non aveva alcun senso.
I numeri negativi, però, non erano così spaventevoli per i matematici di altre parti del mondo, come per esempio i matematici cinesi, quelli indiami o quelli arabi, dai quali Fibonacci portò in Europa anche il concetto dello zero.
Nel frattempo nel 1489 Johannes Widmann introdusse i segni a noi oggi noti per i numeri positivi, +, e quelli negativi, -, che però venivano utilizzati per identificare i guadagni e le perdite, seguendo così proprio l'esempio di Fibonacci.
Infine nel 1545 Gerolamo Cardano, nei suo Ars Magna, finalmente realizzò, il primo in Europa, una trattazione completa dei numeri negativi.
Oggi i due segni sono utilizzati non solo per dare un segno a ciascun numero (anche se, in questo senso, il + viene spesso sottinteso), ma anche per identificare le rispettive operazioni di somma e sottrazione, anche se grazie ai numeri negativi si potrebbe tranquillamente fare a meno della sottrazione e intenderla, invece, come la somma tra un numero positivo e uno negativo.
Un'altra operazione che si compie con i numeri è quella della moltiplicazione. Di fatto gli algoritmi per il calcolo del prodotto tra due interi positivi sono vecchi quanto il mondo. Se infatti pensiamo alla sua definizione, non è difficile immaginare che sia sorta la necessità di trovare un metodo di calcolo più efficiente della sua definizione stessa. Questa, giusto per chiarirla, può essere esemplificata in questo modo, utilizzando la notazione della sommatoria:
\[r \cdot s = \sum_{i=1}^s r = \sum_{j=1}^r s\]
ovvero nel primo caso si somma per \(s\) volte il numero \(r\) a se stesso, mentre nel secondo si somma per \(r\) volte il numero \(s\) a se stesso.
Nella scrittura precedente ho utilizzato uno dei due simboli più noti per la moltiplicazione, il punto, \(\cdot\). L'altro è la croce inclinata, \(\times\), molto simile alla \(x\), anche se non confondibile se abbiamo una scrittura decente, che forse è il motivo principale per cui il punto è così usato!
Bando alle ciance, il primo simbolo della moltiplicazione, \(\times\), venne introdotto da John Napier nel 1618 nell'appendice a Mirifici Logarithmorum Canonis Descriptio. In effetti si ritiene che questa appendice non fu scritta dallo stesso Napier, ma da William Oughtred, che utilizzò egli stesso il simbolo nel Clavis Mathematicae del 1631.
L'adozione del punto, \(\cdot\), invece, viene generalmente attribuita a Gottfried Wilhelm Leibniz, come suggerirebbe una lettera di quest'ultimo a Johann Bernoulli datata 29 luglio 1698. In effetti un esame più attento della corrispondenza tra i due fa emergere la presenza del punto in una lettera precedente, del 1694, ma questa volta inviata da Bernoulli a Leibniz.
Esaminando, però, attentamente le opere di altri matematici, si scopre che il punto era stato precedentemente utilizzato come simbolo della moltiplicazione da Thomas Harriot in Analyticae Praxis ad Aequationes Algebraicas Resolvendas, pubblicato postumo nel 1631, e da Thomas Gibson in Syntaxis mathematica del 1655.
Ad ogni buon conto, man mano che i numeri negativi venivano accettati e utilizzati dai matematici, c'era la questione legata alla così detta regola dei segni, quella che si può semplificare con lo schema seguente:
\[+ \cdot + = - \cdot - = +\]
\[+ \cdot - = - \cdot + = -\]
In una lettura abbastanza diffusa della regola, questa viene presa come una semplice convenzione, sicuramente sensata, ma pur sempre una semplice convenzione. Proviamo, però, a ragionare in termini di prodotto cartesiano.
Per definire nella maniera più generica tale prodotto, prendiamo due insiemi, \(X\) e \(Y\). Il prodotto tra questi due insiemi sarà costituito dalle coppie dei punti appartenenti a entrambi:
\[X \times Y = \lbrace (x,y) | x \in X, y \in Y \rbrace\]
Supponiamo, ora, di avere due rette dei numeri al posto dei due insiemi che si intersecano perpendicolarmente, ovvero prendiamo il piano cartesiano. Il prodotto cartesiano tra un dato numero \(x\) e un dato numero \(y\) sui corrispondenti assi sarà dato dal punto di coordinate \((x,y)\). Questo punto cadrà in quello che è convenzionalmente detto primo quadrante se i due numeri sono entrambi positivi, nel secondo se \(x\) e positivo e \(y\) negativo, nel quarto se i segni sono invertiti e nel terzo se sono entrambi negativi. Ora, se congiungiamo ciascuno di questi punti con l'origine, avremo una retta la cui inclinazione sarà convenzionalmente positiva nel primo e terzo quadrante e negativa nel secondo e quarto, in un certo senso dimostrandoci in questo modo che, data la convenzione iniziale \(+ \cdot + = +\), le altre seguono naturalmente.
L'argomento qui trattato è solo una parte piccola della grande storia dei segni delle operazioni in matematica. Il post, oltre a essersi poggiato sul sempre ottimo MacTutor e, sulle voci wiki dedicate ai segni di moltiplicazione e somma e sottrazione, è anche ispirato all'ebook Più per meno diviso di Peppe Liberti.
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