Stomachion

mercoledì 8 maggio 2024

Due o tre note sulla barriera corallina

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Sfruttando il gentile invito da parte di Roberto Rizzo e del Circolo Legambiente Zannabianca di commentare insieme a lui la proiezione del documentario Chasing Coral, ho messo insieme alcune note e osservazioni sull'argomento, per lo più tratte dal prezioso Il mondo senza di noi di Alan Weisman. Partiamo, però, dal documentario.
Prodotto e realizzato da Jeff Orlowski, è stato diffuso nel 2017 sulla nota piattaforma di streaming Netflix. Il documentario si occupa proprio della barriera corallina e dello stato in cui versa in un pianeta dominato dalle attività umane, in particolare puntando l'attenzione sulla Grande barriera corallina (Great Barrier Reef) in Australia.
Una barriera corallina è un sistema ecologico ricco di biodiversità costruito grazie ai resti calcarei dei polipoidi (la famiglia dei polipi). Questi ecositemi vivono in un equilibrio delicato tra i vari componenti, ed è messo in pericolo proprio dalle attività umane.
Un esempio di quanto facilmente li possiamo distruggere e di quanta difficoltà hanno nel ricostituirsi è fornito dalla fine del corallo rosso nel Mediterraneo. Come, infatti, possiamo vedere nella mappa della diffusione delle barriere coralline nel mondo, il nostro mare è ormai scomparso da questa mappa.
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Quelli sempre attenti a quanto dichiara Matteo Salvini, ricorderanno infatti che un po' di tempo fa il politico citò un vecchio numero di Topolino in cui Paperon de' Paperoni si imbarcava nell'impresa di costruire il famigerato ponte di Messina. Paperone, dopo aver esaminato diversi progetti, decise di costruire un ponte con i coralli presenti nel Mediterraneo. I coralli rossi.
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Il suo eterno rivale, Rockerduck, per rubargli l'idea riesce a bloccare la crescita dei coralli, per poi acquistarli e realizzare egli stesso il ponte. Solo che, su suggerimento di un apparentemente disperato Paperone, alla fine i turisti devastano il ponte, che quindi venne distrutto dall'attività umana, in una specie di metafora previsionistica del destino della nostra stessa barriera corallina. Questa, infatti, venne devastata da un'ondata di calore avvenuta nel Mediterraneo nel 2003, che, dopo 15 anni non è riuscita a ritornare, come raccontato da una serie di studi portati a conclusione un paio di anni fa.
Direi che questo esempio, che abbiamo giusto sotto casa, ci fa capire come le catastrofiche previsioni sulla scomparsa della Grande barriera corallina in tempi relativamente brevi non siano campate in arie.
Un altro esempio interessante, che però contiene anche alcuni elementi di speranza, viene raccontato da Weisman in un capitolo del sul Il mondo senza di noi dedicato al Kingman Reef, una piccola barriera corallina nel Pacifico settentrionale che gode di una condizione particolare: essere difficilmente raggiungibile dall'attività umana. E' stata quindi trasformata in una zona protetta e studiata da diverse spedizioni proprio per queste sue peculiari caratteristiche. Tra queste spedizioni si conta quella dell'agosto 2005 guidata da Jeremy Jackson ed Enric Sala.
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Jackson, in decenni di carriera nei Caraibi, ha avuto modo di osservare come la pesca e il surriscaldamento delle acque ha influito sulla biodiversità marina, riducendola sempre di più. In particolare, sulla barriera corallina, ha avuto modo di osservare un effetto particolare e preoccupante, come scrive Weisman nel suo libro:
Quando muoiono e collassano, i coralli e la miriade di forme viventi che ne abitano i recessi, e tutto ciò che le mangia, vengono rimpiazzati da qualcosa di viscido e sgradevole.
La spedizione in quell'isola era guidata da un obiettivo ben preciso: confrontare alcune zone con la presenza di coralli e con differenti livelli di presenza umana, per capire l'influenza di questi ultimi. L'isola fdi Kingman, di origine vulcanica e ormai sommersa, era l'ultima tappa di questa spedizione. E la prima osservazione era legata alla grande abbondanza di predatori, squali su tutti, presenti in quelle acque, paradossalmente segno di una presenza quantitativamente massiccia di piccoli pesci:
Sotto la pressione dei predatori, i piccoli erbivori si riproducono ancora piú in fretta.
Facciamo, però, un salto sull'isola di Kiritimati, dove la presenza dell'uomo non è diretta: su quelle isole si trova del copra (polpa di cocco essiccata), alcuni maiali per lo più utilizzati per la carne, e non c'è alcun segno di agricoltura. La spedizione del 2005, però, ha potuto osservare una grande quantità di sostanze nutritive presenti nelle acque di fronte ai quattro villaggi presenti sull'isola e una grande quantità di melma che ricopriva i coralli.
Questa melma veniva prodotta da alcune alghe a loro volta foraggiate dal ferro di un mercantile affondato a Tabueran e arrivato fin lì grazie alle correnti oceaniche. Inoltre le pessime condizioni della barriera corallina in quei luoghi erano accompagnate da una conseguente assenza di grandi predatori acquatici.
Il meccanismo con cui alcune alghe, come quelle poc'anzi presentate, riescono a uccidere la barriera corallina è stato ben descritto dal microbiologo della spedizione, Forest Rohwer della San Diego State. Rohwer e i suoi colleghi
Hanno piazzato in piccoli cubi di vetro pieni d'acqua marina alghe e pezzi di corallo, separati da una membrana di vetro così fine che neppure i microbi riescono ad attraversarla. Gli zuccheri prodotti dalle alghe però ci riescono, perché si dissolvono. Nutrendosi di questa ricca sostanza nutritiva supplementare, i batteri che vivono sul corallo consumano tutto l'ossigeno disponibile, e il corallo muore.
Ulteriore verifica di questo meccanismo è stata l'introduzione, nell'acqua, dell'ampicillina che ha ucciso i batteri, permettendo ai coralli di rimanere sani.
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Coralli che a loro volta sono importanti per mantenere vivace la biodiversità delle acque oceaniche, anche solo pensando agli anfratti che concedono ai piccoli pesci per potersi proteggere dai predatori e così proliferare, permettendo anche ai loro stessi "nemici" di prosperare.
I dati raccolti dalla spedizione avrebbero in seguito dimostrato che un buon ottantacinque per cento del peso vivente a Kingman Reef andava attribuito a squali, lutiani e altri carnivori.
Kingman, d'altra parte, è anche un esempio di come, nonostante tutto, un ecosistema in equilibrio e, soprattutto, indisturbato trova la forza di superare anche situazioni di crisi. Nel 1998, infatti, una fluttuazione nelle temperature di El Niño, ha dato un duro colpo a metà dei coralli dei Caraibi, ma intorno all'isola sommersa la presenza di pesci brucatori che hanno limitato lo sviluppo delle alghe "cattive" ha permesso alla barriera corallina di riprendersi.
Eppure anche questo paradiso corre dei pericoli, visto che da uno dei lati di Kingman le correnti oceaniche hanno portato una serie di rifiuti plastici che costituiscono un pericolo a lungo termine. In effetti le capacità adattive dei coralli potrebbero essere importanti per il loro futuro, soprattutto in una zona che, in quanto parco marino, presenta regolari interventi umani di conservazione.
Se ogni attività umana collassasse insieme a quell'antenna, [Enric] Sala ritiene che le barriere coralline tornerebbero piú in fretta di quanto immaginiamo a farsi complesse com'erano nelle ultime migliaia di anni prima che fossero scoperte da uomini armati di reti e ami da pesca
(...)
«Anche con il surriscaldamento globale, credo che le barriere coralline si riprenderebbero nel giro di due secoli. Dipenderebbe dalle zone. In certi posti ci sarebbero un sacco di grandi predatori. Altre sarebbero coperte da una patina di alghe. Ma col tempo i ricci di mare farebbero ritorno. E i pesci. E poi i coralli»
Un altro sprazzo di speranza ci arriva dall'atollo Johnston, che è stato sede di diversi test con testate nucleari nel corso degli anni Cinquanta del XX secolo. Successivamente è diventato una specie di deposito di rifiuti tossici, fino alla sua chiusura nel 2004. Considerato una specie di Cernobyl del mare
I sommozzatori raccontano di aver visto pesci angelo con un disegno spinato su un fianco e una sorta di incubo cubista sull'altro. Tuttavia, nonostante questo guazzabuglio genetico, l'atollo Johnston non è una landa desolata. Il corallo sembra abbastanza sano, nonostante il – o forse grazie al – rialzo della temperatura.
Questo o forse grazie al di Weisman nel passo precedente sembra trovare conferma nei risultati di una recente spedizione del CNR nell'oceano Pacifico che ha scoperto alcune specie di coralli in grado di rivelarsi più resistenti ai cambiamenti di temperatura rispetto ad altre specie.
Tuttavia questi piccoli segni di speranza non devono far abbassare la guradia, come ricorda uno dei ricercatori della spedizione, Paolo Montagna. Infatti, senza la barriera corallina:
(...) la maggior parte delle specie andrà incontro ad un collasso, innescando effetti a catena disastrosi sulla biodiversità del pianeta.(1)
E in qualche modo anche per la sopravvivenza stessa del genere umano. Basti ricordare che fino a qualche decina di anni fa era ancora possibile trovare pesci di considerevoli dimensioni nelle acque oceaniche, mentre ormai nell'ultimo decennio un po' tutto il pescato, come si può ben constatare nella spesa di tutti i giorni al supermercato, si è ridotto sempre di più.
Molti degli ecologi "conservazionisti" ritengono che sia possibile poter mantenere vivi questi ecosistemi anche con la nostra presenza sul pianeta. Sta però a noi il compito di ridurre il nostro impatto e ritornare in equilibrio con quel pianeta che è la nostra unica casa nell'universo.
  1. Dal comunicato stampa ufficiale del CNR - un ringraziamento a Roberto per avermelo girato ↩︎

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