Stomachion

giovedì 25 novembre 2010

Come funziona un impianto anti-incendio?

In un lontano pomeriggio di un paio di settimane fa, per staccare e riposarmi un attimo, mi sono letteralmente sdraiato sulla sedia, così il mio sguardo si è andato a posare sul tetto dell'ufficio in Osservatorio, posandosi su una piccola scatolina bianca, circolare, con un paio di lucine rosse lampeggianti postealle estremità del diametro corrispondente con l'uscita del filo dalla scatolina: ovviamente è l'allarme anti-incendio.
A quel punto, è scontato, potreste dire, la testa ha ricominciato a correre e la mente a curiosare, ponendosi la domanda: ma come funziona un allarme anti-incendio?
Cercando cercando, un po' tutti i siti di aziende che vendono questi allarmi, oltre a proporre prodotti più o meno complicati (alcune descrizioni mi hanno fatto pensare a operazioni di guerra!), si basano su piccoli strumenti di rilevazione del fumo. E quindi la mia attenzione si sposta, o si concentra, se volete, sul fumo, cui sulla wiki abbiamo dedicato una pagina. E, ad esempio, si scopre subito che il fumo è
una dispersione colloidale di particelle solide in un gas, in genere causata dalla combustione.
Ma cos'è un colloide? Vado a memoria, avendo affrontato i colloidi per uno dei tanti progetti che l'Università della Calabria organizzava e cui, per un fortuito e stranissimo caso, sono stato coinvolto. In quell'occasione bisognava portare e soprattutto creare un colloide in una classe opportunamente scelta di un istituto superiore della provincia di Cosenza. Bando, però, alle ciance, proviamo a rispondere alla domanda...
Innanzitutto dobbiamo distinguere tra fluido newtoniano e non newtoniano: il primo reagisce in maniera lineare all'azione di una forza esterna (aumenta o diminuisce la fluidità all'aumentare o al diminuire della forza applicata), un fluido non newtoniano ha invece un comportamento meno intuitivo, se paragonato, ad esempio, con l'acqua.

La stessa acqua può essere trasformata in un fluido non newtoniano, ad esempio aggiungendo un sapone. O ancora meglio si può proprio realizzare l'esperimento, utilizzando il salicilato di sodio, NaSal, e l'esadediltrimetilammonio bromuro, abbreviato in CTAB, noto anche come C16H33N(CH3)3Br, che è idrofobico, proprietà che sarà molto importante per spiegare il comportamento del gel che si andrà a creare.
Quando questi due amiconi si andranno a mescolare in acqua, la sostanza che ne verrà fuori sarà in tutto e per tutto un colloide, ovvero
(...) una soluzione composta di particelle distribuite di grandezza compresa tra 0,2 e 0,002 μm. E' proprio la dimensione delle particelle che distingue una soluzione colloide da un miscuglio e da una soluzione.
A questo punto prendiamo le sostanze di cui sopra, in quantità uguali pari a 0,05M e prepariamo due soluzioni distinte di acqua e di soluto. Bisogna avere l'accortezza di mescolare continuamente la soluzione di CTAB (in laboratorio, ad esempio, lo si può fare mettendo un pezzetto di metallo all'interno e poi accendendo una piccola calamita sotto alla soluzione), e poi, lentamente, versare la soluzione con il sale all'interno di quest'ultima. La soluzione così ottenuta, continuando a mescolare, diventerà via via più viscosa, ottenendo anche riflessi bluastri, che si possono osservare ad esempio mettendo uno schermo nero dietro la provetta (se non ricordo male, ovviamente!).

Una caratteristica interessante del colloide ottenuto è la creazione, quando viene versato, di veri e propri tubi o ponti che collegano il colloide nella provetta con quello che è già caduto. Effetti di questo genere, come ad esempio il fatto che la maionese non si sposta immediatamente se corichiamo il vasetto, o come il fatto che il vetro scivola verso il basso (i suoi movimenti, però, sono apprezzabili solo su un arco di tempo dell'ordine degli anni o più), sono spiegabili con la struttura che, grazie al CTAB idrofobo, viene a costituirsi all'interno del colloide. Il CTAB, infatti, tende a unirsi uno con l'altro e rintanarsi all'interno dell'NaSal, idrofilo, per tenersi lontano dall'acqua. Si vengono così a creare dei veri e propri tubi, una struttura molto simile a quella di un polimero, e che dal punto di vista geometrico è assimilabile a un frattale, nel senso che non ha una dimensione geometrica intera.

In maniera pittorica il colloide può essere visualizzato come un piatto di spaghetti, dove ogni spaghetto è un polimero differente. Queste strutture sono oggetto di studio, e presentano la peculiare caratteristica che l'idrofobia del CTAB riesce a vincere la repulsione coulombiana tra le teste idrofile costituite dagli ioni di NaSal, realizzando una vera e propria catena, simile concettualmente alle catene di spin delle transizioni di fase. In effetti la matematica che alcuni utilizzano per studiare questi spaghetti non è molto differente da quella delle transizioni di fase, che per inciso è una matematica molto potente e usata nei campi più disparati (come la finanza, o almeno qualche fisico prova a usarla in quel campo), però noi, per il momento, ci accontentiamo di queste quattro parole che vi ho raccontato, partendo dalla semplice domanda Come funziona un impianto anti-incendio?

P.S.: le immagini, a parte quella iniziale, sono tratte dalla presentazione realizzata da Francesco Veltri per spiegare agli studenti delle scuole l'esperimento e gli aspetti teorici dietro di esso.

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